Giovedì 16 aprile, ore 21, teatro Duni
Stagione teatrale 2009
“I due gemelli veneziani” di Carlo Goldoni Regia di Antonio Calenda
con Massimo D’Apporto
Capolavoro della comicità e della scrittura scenica, il testo offre al protagonista un banco di prova eccezionale, pari a pochi nella storia del teatro. Lo spettacolo, che fa omaggio al genio goldoniano nel trecentesimo della nascita, è un vero capolavoro della scrittura comica: s’incentra sull’incanto del gioco teatrale dei simili e degli opposti, portato a livelli altissimi da un Goldoni ormai pienamente padrone delle tecniche della drammaturgia settecentesca e della sapienza scenica di chi il teatro lo scrive ma sa anche “farlo”, di chi impone agli attori una parte, ma solo dopo averla costruita sulle loro personali potenzialità e inclinazioni.
Questa versione, che fa omaggio al genio goldoniano nel trecentesimo della nascita, ha debuttato al Politeama Rossetti di Trieste in prima nazionale il 16 novembre 2007, sempre con la regia affidata ad Antonio Calenda, abile concertatore di un allestimento in equilibrio tra realismo e fantasia, nonchè direttore di un cast in grado di armonizzare sensibilità di analisi e virtuosismo interpretativo, a partire da Massimo Dapporto, interprete di ben due personaggi: Tonino e Zanetto. Insieme a lui sul palco si muovono con grande maestria, attori di consolidata esperienza, che, in ordine di apparizione, sono: Alessandra Raichi (Rosaura), Giovanna Centamore (Colombina), Osvaldo Ruggieri (il dottor Balanzoni), Francesco Gusmitta (Brighella), Umberto Bortolani (Pancrazio), Marianna de Pinto (Beatrice), Carlo Ragone (Florindo), Felice Casciano (Lelio), Adriano Braidotti (Arlecchino) e Lamberto Consani (Bargello).
“I due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro” scrisse Carlo Goldoni stesso, all’esordio nel 1747, e infatti ne “I due gemelli veneziani” è racchiuso tutto un mondo di emozioni, sentimenti, inquietudini, miste ad umanissime rivalità, oltre a tutto il “ludus” del teatro, tipicamente fatto di mascheramenti, equivoci, frenesie, malintesi, fondamentali ingredienti che il grande autore veneziano sapeva usare con estrema destrezza, donando all’opera anche un soffio di universalità, nonostante il plot abbia radici lontane, che arrivano perfino all’antica tradizione latina, nelle commedie plautine e terenziane, quali i “Simillimi” o i “Maenechmi”.
Il testo, vero capolavoro della scrittura sia comica che scenica, offre al protagonista un banco di prova eccezionale, pari a pochi nella storia del teatro, ponendo al centro l’incanto del gioco teatrale dei simili e degli opposti, portato a livelli altissimi da un Goldoni ormai pienamente padrone delle tecniche della drammaturgia settecentesca e della sapienza scenica di chi il teatro lo scrive, ma sa anche “farlo”, di chi impone agli attori una parte, ma solo dopo averla costruita sulle loro personali potenzialità e inclinazioni, tanto che dal suo debutto la commedia non ha mai più smesso di sorprendere e divertire, come se fosse immune al peso del tempo.
Proprio a questo compito è atteso l’eccezionale Massimo Dapporto, sicuramente uno degli attori più versatili e completi che oggi la scena italiana possa vantare, maturo nell’espressività ed in grado di dar vita al paradosso di Zanetto e Tonino, giostrandosi fra i loro opposti caratteri di comico e spalla, sintetizzando quindi in un unico corpo sia il ruolo di antagonista che quello di protagonista.
Di assoluta centralità è anche il titolo che Goldoni elaborò nell’intento di mettere in luce le doti del Pantalone Cesare d’Arbes, come scrive l’autore stesso nei “Mémoires” : ”Per meglio consolidare la sua fama bisognava farlo brillare a viso scoperto; era quello il mio disegno, il mio principale scopo. […] Io lavoravo per lui a una commedia intitolata “I due gemelli veneziani”. Avevo avuto abbastanza tempo e modo per esaminare i vari caratteri personali dei miei attori. In D’Arbes avevo notato due movimenti opposti e soliti nel suo aspetto e nel suo giuoco. A volte era l’uomo di mondo più ridente, brillante e vivace; a volte assumeva l’aria, i tratti, i discorsi d’un sempliciotto, d’un balordo: e quei mutamenti accadevano in lui naturalmente, senza che ci pensasse. Tale scoperta mi suggerì l’idea di farlo comparire sotto quei due aspetti nello stesso lavoro”.
La commedia, con le scene di Pier Paolo Bisleri, i costumi di Elena Mannini, l’ ideazione luci di Sergio Rossi e le musiche di Germano Mazzocchetti, va detto infine che riesce a coniugare, con sapienza ed equilibrio, lo studio dei caratteri con il virtuosismo comico, lasciando al tempo stesso scorrere insolite inquietudini grottesche, come per esempio la descrizione della morte in scena, del tutto innovativa, che Goldoni inserisce nell’ultima parte dello spettacolo e che, solo in parte, adombra l’imminente ed inevitabile avvento del mondo borghese, denso di livori e di concrete preoccupazioni a cui, purtroppo, il gioioso gioco di scambi e travestimenti è destinato a cedere il passo, forse anche con qualche malinconia.