Una discreta capacità gestionale, quella della Regione Basilicata, negli scorsi decenni, specie per le buone performances nella spesa dei Fondi UE. Una capacità, sostanzialmente amministrativa, che tuttavia ora fa fatica ad aggredire i termini nuovi del sottosviluppo, come si evince dall’involuzione degli indicatori socio-economici e dalla crisi demografica. Qui sta la svolta che attende le istituzioni locali, le forze sociali e del nuovo tessuto civico.
Nonostante il pubblicizzato raggiungimento nel 2018 dei target finanziari previsti del PO FSE Basilicata 2014/20, l’entità delle risorse in campo richiederebbe ben altra attenzione.
La dotazione finanziaria complessiva è di €289.624.168. Il costo totale ammissibile (impegni) delle operazioni registrato ammonta ad €154.543.150,49.
Sono le cifre del recente Comitato di Sorveglianza attestanti criticità e ritardi nella dinamica impegni-spesa del FSE nella passata gestione.
La Basilicata, considerata da anni un laboratorio positivo, ha impiegato al 31.12.2018 il 17,19% (€ 49.794.902,25) delle risorse messe a disposizione dall’Europa per il FSE, registrando valori inferiori alle aspettative.
La dinamica della spesa appare in affanno per gli ambiti con maggiore assegnazione.
Per l’Asse 1 (Occupazione) e 3 (Istruzione e Formazione) la spesa dichiarata dai beneficiari rappresenta rispettivamente il 16,11% e il 23,06% della dotazione complessiva.
L’Asse 2 (Inclusione sociale) a fronte di un impegno di ca. 23,8 mln, registra una spesa di 5,8 mln (7,94% della dotazione).
L’Asse 4 (Capacità istituzionale e amministrativa) evidenzia una spesa ammissibile pari al 19,25%.
È chiaro che per buona parte dei PON e dei POR è difficile effettuare impegni senza una ‘scossa’ entro la data ultima di fine 2020, rischiando di perdere i fondi disponibili.
Così gli esperti della materia segnalano la necessità di una netta inversione di rotta, propugnando per i prossimi Fondi Comunitari una logica intersettoriale, diversa dal passato modello delle decine di ‘misure ed interventi’ distinti in progetti frammentati e già dimostrati come insufficienti a promuovere sviluppo.
È evidente la necessità di un quadro programmatico della regione che non può che essere questa immaginifica figura della Basilicata “regione aperta” d’Europa dotata di in un piano strategico di cui occorre definire tutti gli elementi necessari.
Essenziale è il recupero della ‘metodologia Barca’ per rilevare il presuming degli interessi reali presenti sul territorio allo scopo di finalizzare i Fondi stessi. La sfida è di aggregare e coordinare tutti i fondi pubblici disponibili (nazionali e SIE) avviando uno sviluppo per contaminazione delle aree, creando ‘zone prototipo’ in grado di avviare un processo di apprendimento e replica dei meccanismi virtuosi.
Così la Dorsale appeninica, dal Monte Vulture fino a Maratea, può diventare il luogo vocato ed esemplificativo per esercitare i presupposti contenuti nell’avanzata progettazione del Piano Strutturale Provinciale, con una corretta azione pianificatoria, secondo il metodo delle ‘Aree interne’.
Una sorta di ‘spina’ su cui innestare sia interventi di armatura urbano-rurale e sia figure di gestione istituzionale del territorio (Associazioni/Unioni di comuni, gestione di aree protette), fino a tradurre gli interventi in azioni e misure seguendo le matrici dei recenti documenti europei.
Nell’ambito ‘Aree interne’ rimane centrale la proposta, originata dalla UIL, di costituzione di un’Agenzia Agro-forestale per interventi mirati di riqualificazione territoriale e di servizi di promozione del patrimonio boschivo e forestale. Un modello studiato persino dal Dipartimento agricoltura, fino a condividerne la proposta di legge istitutiva e poi denegato infaustamente per una mediazione di potere, consegnando la materia al Consorzio di bonifica.
Importante è la definizione di una vera e propria strategia di consolidamento dell’apparato produttivo valorizzando il sistema manifatturiero locale: favorire processi di filiera corta (l’agroalimentare, la vitivinicoltura, l’acqua, ect.) con la promozione di marchi d’identificazione ‘terre lucane’, riconoscibile come prerequisito essenziale per legare incentivi e localizzazione; innalzare la competitività delle aziende negli indotti industriali, creando partnership di sviluppo con FIAT, BARILLA, FERRERO, ENI, TOTAL.
Indispensabile è un vero unico polo tecnologico regionale, compartecipato pubblico-privato, operante in campi prescelti in coerenza con la programmazione dello sviluppo regionale, legati alla vision di politica delle produzioni e delle peculiarità economiche locali (la meccatronica, l’agroalimentare, la chimica delle estrazioni, l’innovazione sanitaria).
Insomma, si tratta di conferire un’“anima politica” alla programmazione dei Fondi UE che non può che essere l’idea di promuovere ed attivare nuovi meccanismi che producano lavoro ed occupazione.
La sfida è avvincente. Si può vincere con la definizione di un unico programma operativo regionale plurifondo per ampliare gli effetti dell’integrazione finanziaria e tematica.
Una stretta sinergia tra politiche “trasversali” dell’innovazione, della competitività, dell’internazionalizzazione e quelle legate all’asse “verticale” dell’ambiente, dei trasporti, del welfare e della salute, del patrimonio culturale. Anche questo la UIL ed altre forze avevano richiesto convintamente (ma infruttuosamente) alla compagine di governo precedente.
Una visione più intrecciata al territorio ed al sedimento profondo della regione, che evochi paesi, comunità, persone, settori non ritenuti ‘ospiti’ e ‘recettori’ di decisioni tecniche o ritenute tali.
Due condizionalità. La prima, valorizzare ed internalizzare al processo di Piano dei Fondi il partenariato sociale, il dialogo sociale, le forze sociali, sindacali e la rappresentanza di ciò che si muove sul territorio. Non nell’attuale logica asfittica di ‘registratori’ delle decisioni di piano o di ‘aggiustatori’ delle misure attuative inclusi i bandi e gli avvisi, ma nell’ottica di coprotagonisti di pari rango con la Regione, inseriti in strutture di missioni per tutte le fasi di svolgimento del lavoro di piano.
In secondo luogo, la definizione di strutture-laboratorio regionali, compartecipate, titolate in modo unico, ad accompagnare i soggetti nella definizione di progetti di beneficio e nella loro attuazione, fino all’erogazione della spesa (Modello imprenditorialità giovanile). Strutture adatte a sostenere anche i Comuni privi di competenze progettuali ed organizzative.
C’è spazio per un processo aperto da classi dirigenti nuove che decidono, con la ragione del moderno, di interventi diffusivi a sostegno della vitalità industriale, imprenditoriale e credibile nella promozione di nuova occupazione per le nuove generazioni.
Il presidente CSSEL Giancarlo Vainieri e la ricercatrice CSSEL, Sofia R. Di Pierro