Una storia troppo presto dimenticata e recuperata, a quasi un secolo di distanza, da Giuseppe Coniglio e Angelo Tataranno che l’hanno raccontata in un saggio presentato anche a Pisticci, dopo Bernalda. Eppure l’“Eccidio. Bernalda 31 gennaio 1923” -è il titolo dell’opera- fu un evento particolare e unico che rischiò di mettere in crisi il fascismo della prima ora e che suscitò l’ira del duce, che non riusciva a spiegarsi le motivazioni per cui tra i fascisti e nazionalisti del Materano an-cora non si era instaurato quello spirito di collaborazione già in atto nelle altre regioni. E nemmeno le numerose ispezioni ministeriali e i rapporti delle autorità riuscirono a chiarire il complesso ca-so.Mussolini si adirò quando dall’indagine dell’ispettore Paolo Di Tarsia emerse che in Basilicata non c’era né fascismo né antifascismo ma dominavano le antiche caste sempre pronte a cambiare casacca. Il provvedimento più immediato fu lo scioglimento del consiglio comunale di Bernalda, cittadina che comunque andava fascistizzata e punita per questa sua ritrosia al fascismo. A reggere le sorti amministrative una strana coalizione, che, sotto la sigla nazionalista, raggruppava anche so-cialisti, reduci, liberali di Alessandro Bruni, nittiani e finanche un compatto numero di “Giovani bi-blici” in opposizione ad uno sparuto gruppo di esponenti del fascio. Per la l’inaugurazione del ga-gliardetto di Bernalda fissata il 31 gennaio 1923, pochi giorni prima che le squadre d’azione fossero sciolte, per confluire nella Milizia Volontaria, si riunìrono i vertici delle gerarchie lucane, D’Urso, Simonetti, Pelazzi, Loreto, Catalani, e persino Sansanelli e Viggiani-Navarra che pochi mesi prima erano nazionalisti e che ottennero benefici e titoli per il loro rapido trasformismo. Tutta Bernalda si era mobilitata con molte famiglie che preferirono trasferirsi in campagna. Uno scontro armato era nell’aria tra nazionalisti e fascisti, un derby nerazzurro, per i rispettivi colori delle casacche. Circa ottocento camice nere convennero a Bernalda, la più numerosa quella di Pisticci, eterogenea e va-riegata, con uno schieramento di quaranta uomini, oltre a infiltrati, opportunisti e persino guardia-spalle dei signori. Spesso si è voluto intravedere in questa vicenda una contrapposizione fra la squa-dra di Pisticci, in cui militavano esponenti di famiglie agiate e dell’imprenditoria agraria, e la classe contadina e bracciantile che sfociò nel nazionalismo e che prestava opera di lavoro proprio nelle a-ziende pisticcesi. Ma oltre alle motivazioni politiche e sociali giocarono un ruolo importante anche antichi contrasti tra famiglie, gli interessi, le aspirazioni, i protagonismi e l’immancabile campanili-smo fra paesi vicini. Gli autori danno poi ampio risalto alla cronaca di quella giornata con l’arrivo delle squadre di Pisticci, Craco, Ferrandina, Potenza, Laurenzana e Taranto, che strinsero d’assedio Bernalda e si abbandonarono a saccheggi, incendi e furti, spesso anche con la complicità di basisti locali. Il bilancio fu di tre vittime innocenti e una ventina di feriti ma non è stato mai individuato chi abbia esploso il primo colpo d’arma da fuoco. Nei processi i responsabili furono tutti assolti per mancanza di prove, testimonianze non attendibili e per intervenuta amnistia mentre gli assalti fasci-sti alla sede nazionalista furono spacciati per azione difensiva.Il libro, dopo Bernalda, è stato pre-sentato anche a Pisticci su iniziativa del Centro Sociale. Dopo la presentazione di A. Pietro Avan-taggiato, hanno relazionato, oltre agli autori Dino D’Angella, Maristella D’Alessandro e il sindaco Verri. Moderatrice M. Antonietta D’Onofrio.
Lug 16