Dati Svimez, Summa (Cgil): “Al Mezzogiorno servono investimenti e una classe dirigente che dia rappresentanza politica al sud”. Di seguito la nota integrale.
Il quadro del Mezzogiorno che emerge dagli ultimi dati Svimez è devastante. Si allarga sempre di più la forbice tra il nord e il sud del Paese, a discapito delle regioni meridionali. A nulla è servita la seppur debole ripresa del triennio 2015-2017, che ha avuto degli strascichi anche nel 2018, registrando in Basilicata un incremento del PIL del +1% dopo la forte accelerazione della crescita negli anni scorsi, pari addirittura +8,9% nel 2015.
Un incremento che porta ugualmente la Basilicata a essere fanalino di coda rispetto ad altre regioni del sud, come Abruzzo, Puglia e Sardegna, che registrano il più alto tasso di sviluppo. Diminuiscono fortemente gli investimenti e soprattutto aumenta il divario tra Nord e Sud anche sulla qualità del lavoro, in particolare negli ultimi tre trimestri il lavoro a tempo indeterminato cresce di 54mila unità al Nord e diminuisce di 84mila unità nel Mezzogiorno.
Ma la vera emergenza è lo spopolamento, è l’emigrazione verso il Centro-Nord e l’estero. Nel solo 2017 sono andati via 132mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità e sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord o all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali.
Questi numeri dimostrano che l’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze.
Tale dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti. Anche gli ultimi esultanti annunci sui dati Istat e relativi al saldo occupazionale mensile in realtà nascondono una situazione molto più complessa e in chiaroscuro, in cui sostanzialmente si registra un travaso di occupati tra le diverse classi di età e in definitiva una riduzione della forza lavoro per effetto del dato demografico e dell’invecchiamento della popolazione.
Fuga dei cervelli è fuga di competenze, indispensabili per lo sviluppo di un Paese dove, al Mezzogiorno, mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap occupazionale col Centro-Nord, attestati per la gran parte sui servizi e sull’industria.
Mancherebbe mezzo milione di occupati anche nei servizi sanitari e alle famiglie, segno che ad un rallentamento del dettaglio occupazionale corrisponde un impoverimento complessivo di politiche di welfare e della persona, in un Sud sempre più povero di infrastrutture sociali e che invecchia.
Di fronte a un quadro così drammatico si consuma un altro dramma, quello di una politica di governo in cui il dibattito sul Mezzogiorno è totalmente assente e in cui il sud non ha più alcuna rappresentanza politica. Una situazione che persiste nonostante gli strumenti con cui il governo nazionale ha ottenuto consensi, specialmente al sud – reddito di cittadinanza, quota 100 e immigrazione – sono risultati del tutto fallimentari.
E mentre avanza lo “spettro di una nuova recessione”, così come definito dalla Svimez, il dibattito continua ad essere alimentato da questioni che nulla hanno a che vedere con una visione del Mezzogiorno, totalmente assente nel panorama politico nazionale e regionale e volto solo a raccogliere ulteriori consensi.
Emerge un quadro in cui l’odio e la ricerca di consenso abbagliano l’opinione pubblica e in cui una classe dirigente evita di confrontarsi con la complessità di un fenomeno, quello migratorio, che esaminato nel dettaglio e senza propaganda risulterebbe una voce di progresso e di futuro, specie per tanti nostri piccoli centri e aree interne che negli ultimi 15 anni perdono circa 250 mila abitanti.
Il Mezzogiorno chiede investimenti e diritti, servono infrastrutture materiali e sociali per garantire una scuola e un presidio sanitario laddove risulta più difficile: in Basilicata solo 4 su 10mila anziani con più di 65 anni usufruiscono di assistenza domiciliare integrata. Serve una classe dirigente capace, in grado di cooperare, di difendere la Basilicata e il Mezzogiorno e di rilanciarne lo sviluppo con visione e responsabilità.
Potenza, 2/8/2019