Sulle criticità che riguardano l’erosione della costa del Metapontino si registra un intervento di Nicola Locuratolo, che ripropone una proposta di intervento “sperimentale” pur dotato di Brevetto di utilità. Di seguito il testo integrale.
“Ecostruttura polifunzionale per bio-architettura ricostruttiva di fondali marini instabili” (Brevetto n°257894)
18 Febbraio 2016
Relazione sull’intervento sperimentale: Ipotesi di intervento sperimentale con eco-strutture per bio-architettura del fondale marino in fase regressiva con funzione di consolidamento e riqualificazione ambientale.
Premessa
È ambizioso pensare che l’intervento dell’uomo possa interferire con la potenza espressa dalla Natura; al più si è riusciti ad “imbrigliare” alcune forze naturali per utilizzarne il dinamismo intrinseco, basti pensare ai mulini ad acqua ed a quelli a vento usati nel passato ed alle centrali idroelettriche ed eoliche del presente.
Un intervento sicuramente riuscito è quello di Larderello nel campo della geotermia, ma come “imbrigliare” l’enorme potenza di un vulcano?Come fermare il trasporto eolico delle sabbie del deserto? Come tamponare l’azione costruttiva e demolitiva del mare?
È allora un’opera immane quella che ci proponiamo, non meno ardua di quella occorrente a tamponare l’ineluttabile crollo della Dolomiti e comunque val la pena di provarci.
I limiti dell’intervento proposto
Non si vuole “contenere” il mare, ma porre in essere un intervento mirato a consolidare una struttura del deposito sabbioso tale da favorire il consolidamento del fondale evitando la traslazione di materiale verso quote batimetriche profonde.
L’azione del mare è forte e sicuramente inoppugnabile là dove essa si esplica direttamente; le barriere frangiflutti posizionate sulla sabbia inesorabilmente affonderanno nella stessa, si opporranno sì all’azione dell’onda, ma poco potranno di fronte all’azione abrasiva delle correnti lungo la costa.
Questa azione possente è probabilmente controllabile nel sottocosta laddove il fondale soggiace alla lenta azione continua ed ineluttabile delle correnti marine e della forza di gravità e per cui troverà ragione d’uso una struttura che, al contrario di una barriera frangiflutti che affonda nell’acqua ed affonda nella sabbia, affonda anch’essa nell’acqua ma galleggi sulla sabbia.
Naturalmente la sua efficacia sarà solo successiva ad un rimodellamento della costa ed anche se si interviene tempestivamente, 10 o 15 metri di battigia e forse più sono già da mettere in conto come persi.
Avremo conseguito il risultato se riusciremo a contenere la perdita ed a fermare questo processo demolitivo, bloccando la traslazione del deposito sabbioso che dovremo utilizzare sicuramente nel futuro per il ripascimento.
I tempi e le fasi dell’intervento
Il primo e tempestivo intervento è quello di tamponare la prima traslazione, quella da quota 4-5 metri di profondità; è la quota più soggetta al dinamismo della corrente,alla sua azione abrasiva ed avulsiva, ma è anche quella che risente sensibilmente della forte azione dinamica delle mareggiate.
Nel mentre l’azione dell’onda sulla battigia procederà inesorabilmente avremo predisposto la zona di raccolta del materiale avulso dalla attuale linea di costa e che tenderà a ricoprire e superare la stessa barriera di contenimento.
Fase 1 – Una ulteriore barriera va posta sui 10-15 metri di fondale; questa struttura tenderà ad opporsi alla traslazione di fondo e quindi avrà l’importante funzione di fissare il deposito sabbioso che dovrà fornire il materiale per il ripascimento.
Fase 2 – Non siamo di fronte ad una scogliera che il mare aggredisce con la forza delle onde e demolisce clasticamente; siamo di fronte ad un mare che, con l’onda tranquilla, movimenta la sabbia con geotropismo positivo, facendola rotolare, assecondando il flusso della corrente, verso le quote più profonde.
La sua azione, sensibile nel risultato, resta impercettibile nel suo compimento quotidiano così come è impercettibile, nella sua quotidianità, il consumo di un pneumatico che scopriamo un giorno inesorabilmente consumato.
Nella stabilizzazione di una nuova linea di costa e nella armonizzazione tra ripascimento ed abrasione, si dovrà riproporre una ulteriore struttura di contenimento sulla prima posta in opera che sicuramente sarà stata, nel frattempo, occlusa.
Fase 3 – Ogni ulteriore intervento riguarderà le generazioni future.
Conclusione
Riferendomi all’ampio articolo “Verso la Sustainability Science” di G. Bologna, pubblicato sulla rivista “Biologi Italiani” del Febbraio 2004, mi piace concludere motivando l’opportunità dell’intervento sperimentale proposto con le testuali parole dell’articolo suddetto.
“In una disciplina di crisi molte azioni vanno avviate, anche senza una completa conoscenza, perché l’attendere prima di agire (ad esempio, attendere per ottenere una Maggiore conoscenza), lasciando agire indisturbate le azioni negative, potrebbe produrre danni ancor più gravi e rendere molto più difficile la soluzione dei problemi in un momento successivo.
Agire in queste condizioni significa lavorare con le informazioni e le conoscenze disponibili, cercando di avere grande creatività ed intuizione, tollerando i margini di incertezza esistenti e prendendo, in ogni caso, delle decisioni.
Una scienza non esatta. I sistemi ecologici sono complessi, le loro dinamiche si esprimono in probabilità, le influenze stocastiche possono essere molto forti, e molti processi significativi sono non lineari.
L’incertezza è un elemento costitutivo dell’ecologia e della conservazione, e risposte probalistiche, piuttosto che prescrittive ai problemi posti, costituiscono la norma.
Così è necessario pensare in termini probalistici comprendendo la natura dell’incertezza scientifica”.
E d’altra parte non può essere diversamente se si vuole conservare appieno l’aggettivazione di “intervento sperimentale”.