Sulla terrazza di Palazzo Viceconte, aperitivo con l’artista simbolo di un’avanguardia che ha slegato l’arte dalla tecnica e dalla materia tradizionale.
In occasione della mostra Tomaso Binga | Maurizio Mochetti – HYPÓGHEIOS, organizzata nell’ambito dei Padiglioni Invisibili progetto coprodotto con Fondazione Matera-Basilicata 2019 nel quadro del programma ufficiale «Matera 2019 Capitale Europea della Cultura», giovedì 8 agosto 2019, alle ore 11:30 si terrà un incontro speciale con l’artista Maurizio Mochetti.
Pensato nella forma di una conferenza/seminario, l’appuntamento vuole illustrare la ricerca e la pratica dell’artista con momenti di approfondimento sulle tematiche del progetto Padiglioni Invisibili dedicato ad un macro-tema centrale del dossier di candidatura di Matera a capitale europea della cultura: l’architettura scavata e ipogea quale elemento visivo e spaziale che ha istituito la città di Matera come patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO.
Curatore dell’incontro è Antonello Tolve, critico d’arte, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata e direttore della sede romana della Fondazione Filiberto Menna, che condurrà insiemi ad altri ospiti la conversazione sui temi legati alla luce, al suono, allo spazio e al tempo, all’architettura e al concetto di perfettibile delineati dall’artista.
L’appuntamento rappresenta l’inaugurazione di un ciclo di incontri che, partendo dal progetto PADIGLIONI INVISIBILI, passando per le immagini della ricerca artistica internazionale e per le parole di testi fondamentali della critica contemporanea, offre al pubblico uno strumento per vedere, discutere e comprendere lo sviluppo di un percorso in cui esplorare come l’arte possa definire e trasformare lo spazio, inteso come identità geografica, architettonica, ambientale e paesaggistica.
La serie di incontri si pone come un laboratorio di confronto, dialogo e contaminazione, un luogo di scambio e di interazione per condividere con il pubblico conversazioni di qualità tra diversi mondi in un momento storico nel quale è necessario dare spazio a una serie di confronti.
L’appuntamento con Mochetti è inoltre occasione per godere di una splendida location, la terrazza di uno dei più celebri palazzi di Matera: Palazzo Viceconte (XVII sec.) che, con la particolare ubicazione nel cuore dei Rioni Sassi, invita ad una riflessione sulla tangibilità del paesaggio urbano e naturale della città di Matera e sulla visibilità e la scala della nostra visione.
La conversazione proseguirà con un momento più informale articolato sulla formula dell’aperitivo.
Maurizio Mochetti è nato nel 1940 a Roma, dove attualmente vive e lavora. Nel 1968 ha esordito sulla scena artistica romana con la sua prima esposizione personale alla Galleria La Salita. Nel 1969 ha vinto il primo Premio Pascali a Polignano a Mare e nello stesso anno ha vinto il Premio Scultura alla VI Biennale Giovani di Parigi. Nel 1970 ha partecipato alla sua prima Biennale di Venezia, cui sono seguite quelle del 1978, 1982, 1986, 1988, 1997. Sin dai primi anni Settanta si è affacciato sul panorama internazionale partecipando nel 1976 alla Biennale di Sidney, nel 1991 alla Biennale Internazionale di Nagoya e nel 1998 alla XXIV Biennale di San Paolo. Nel 1988 viene invitato come artista in residenza all’ Exploratorium, San Francisco (USA).
Tra le importanti partecipazioni menzioniamo: Linee della ricerca artistica in Italia: 1960/1980 (1981), Arte italiana 1960-82 (1982), La otra escultura (1990), Roma anni ’60. Al di là della pittura (1990), The Italian Metamorphosis (1994), Arte italiana: ultimi quarant’anni. Materiali anomali (1997), Minimalia. Da Giacomo Balla a… (1997), L’avventura della materia. Dal Futurismo al Laser (2001), Italics. Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008 (2008), Anni ’70. Arte a Roma (2013).
Ha esposto inoltre allo Stedelijk Van Abbemuseum di Eindhooven (1975), allo Stadtische Kunsthalle di Dusseldorf (1978), al Forum Kunst di Rottweil (1982), al Museo Alvar Aalto in Finlandia (1985), al Tel Aviv Museum of Art (1993).
Nel 2000 ha tenuto una delle sue più suggestive mostre personali dal titolo Elica Infinita al Centro Cultural del Conde Duque di Madrid.
Il 2003 è l’anno di una importante mostra retrospettiva al Palazzo Ducale di Sassuolo, seguita da quella del 2009 presso il Palazzo Collicola di Spoleto.
Nel 2011 ha vinto il concorso internazionale MAXXI 2per100 con l’opera Rette di luce nell’iperspazio curvilineo, installata permanentemente presso il Museo MAXXI di Roma. Nel 2013 ha vinto, inoltre, il Premio Presidente della Repubblica e nel 2017 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dall’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Tra le esposizioni recenti: la mostra personale presso due delle sedi di Akira Ikeda Gallery (Berlino, Tokyo 2015-2016) e la mostra collettiva L’Image Volèe alla Fondazione Prada (Milano 2016).PADIGLIONI INVISIBILI
Proiezione del buio di Antonello Tolve
Omne quod est, idcirco est, quia unum est
Boethius
All’indomani d’una serie di workshop intavolati per definire al meglio le strade da seguire e da rendere confluenti lungo l’asse cardinale del programma Padiglioni Invisibili, la doppia personale di Binga e Mochetti non è soltanto raccordo estetico tra due mondi, tra due sistemi di pensiero che nascono dall’urgenza di materializzare l’immateriale (e in altre parole tra due possibili processi creativi che partono dall’impercettibilità di un’idea tesa a prendere forma e a concretarsi nella sua esternazione mediante tecniche e materiali utili a rendere fruibile l’idea stessa), ma anche ideale costruzione di un itinerario in cui la tradizione esplorativa di un luogo – tradizione che appartiene di diritto all’archeologia o alla speleologia – lascia il posto a una nuova investigazione immaginifica dove la visione drammaticamente personale e esistenziale del secretum terrestre diventa incandescente percezione collettiva, energia condivisa e condivisibile.
Nell’ambito di un progetto che muove dal sotterraneo e da una invisibilità intesa come traccia preesistente dell’agire umano, i lavori di Tomaso Binga e Maurizio Mochetti si pongono pertanto come ingredienti architettonici, come riferimenti grammaticali di un circuito da riscoprire e di cui prendersi cura tramite un percorso metanarrativo tra pensiero calcolante e pensiero pensante.
Puntando i riflettori sul lavoro di Tomaso Binga, recentemente chiamata sul palcoscenico dell’arte internazionale per mostrare un discorso che ha saputo lavorare nel silenzio sessista degli anni Settanta e che ha ritagliato un perimetro visivo lungo le strade della desemantizzazione linguistica, del dattilocodice o anche dell’abbecedario (più volte utilizzato dall’artista per intraprendere un lungo viaggio sul corpo), la prima fase del progetto è pensata come spazio edificante dove dieci lettere dell’alfabeto si rapportano con l’ambiente e mirano metaforicamente a sorreggerlo come colonne linguistiche, come masse fonetiche la cui vicinanza porta alla composizione di due parole (Domus Aurea) che se da una parte richiamano alla memoria la villa urbana di Nerone, dall’altra puntano l’indice sul luogo che le ospita per dargli nuova, momentanea vitalità.
Con una strategia strettamente luminosa legata in questo caso essenzialmente al laser («il laser mi ha permesso di realizzare opere senza dimensione, quindi sempre più vicine all’idea»), Maurizio Mochetti alimenta un vocabolario visivo che si nutre di stimoli provenienti dalle scienze dure e da processi riflessivi tesi a modellare l’intera area dei Padiglioni Invisibili con un camaleontismo che mira a dilatarsi, a abitare temporalmente lo spazio e e dunque a occuparlo («l’opera d’arte non ha dimensioni perché lo spazio è la misura della conoscenza», avvisa l’artista), fino a farlo diventare parte integrante dell’opera. Retta si nasce, curva si diventa (1988), Freccia Laser (1988), Mectulle (1989) e Filo con laser (1984) sono quattro punti cardinali di una filosofia del vedere che porta l’artista a investigare l’agire delle cose, la costante mobilità del tutto che nel perimetro dei Padiglioni Invisibili diventa confronto con l’opacità, soffio di luce in un purissimo buio da tagliare, con lame di sapere, sotto il segno della indivisibilità.
Lavoro di scavo nel sottosuolo del linguaggio, Hypógheios è dunque riflessione sul valore di un luogo che, toccato dal farmaco vitale dell’arte (in questo caso dall’arte di due artisti così lontani per modus operandi, così vicini per sensibilità analitica), esce dal sonno della ragione per entrare in un cosmo dove gli estremi convivono, dove è nuovamente permesso di esplorare (tra ombre e penombre) luoghi invisibili, dove è auspicabile la costruzione di una sfera culturale che non smetta di evolvere, di muoversi, di mostrarsi e rimostrarsi per tenere vivo quel riportare alla luce, quel far rimirare, quel palesare nuovamente le cavità e i meandri oscuri di un locus che coincide con il logos, con il pensiero, con la riflessione sull’arte e sull’abitare, sull’uomo e sulla sua inesauribile sete di sapere che lo fa, con il Giordano Bruno dell’invisibile armonia, ora possessore e dominatore del mondo, ora cooperatore dell’operante natura (operanti naturae homines cooperatores esse possint).