Il presidente dell’associazione Aps Adamo, Gianni Sciannarella ha inviato una lettera aperta al presidente del Tribunale di Matera, Giorgio Pica, per chiedere che venga applicato il diritto alla bigenitorialità. Di seguito la nota integrale.
Stimatissimo Presidente,
come lei ben sa (sicuramente meglio di chi scrive) le attuali disposizioni in materia di affido minorile sono normate dalla legge 54 del 2006 che ha numerosi ed interessanti punti, tra cui piace citare i più significativi:
“Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.”
“La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.”
Elementi estremamente validi, moderni ed in linea con i mutamenti della società e con gli orientamenti giuridici più all’avanguardia in Europa e nel Mondo.
Una legge di cui andare fieri.
Spiace pertanto prendere atto di come la stessa venga puntualmente disattesa, per non dire ignorata, in nome di consuetudini giurisprudenziali che, non solo non tengono conto degli alti intendimenti del legislatore, ma che soprattutto non intercettano le esigenze di figli, genitori e di una intera comunità.
D’altronde, non siamo certamente noi a doverle ricordare quanto e come la CEDU duramente sanzioni l’Italia per il mancato rispetto dell’articolo 8 e di quale malcelato disinteresse purtroppo contraddistingua i tribunali di tutta Italia nei confronti della bigenitorialità. Diritto di figli e genitori che i fori competenti dovrebbero tutelare, proteggere e promuovere.
La legge 54 del 2006, gentile Presidente, è dunque lettera morta, sacrificata sull’altare della cosiddetta “maternal preference”, calpestata dall’oltraggio di provvedimenti emessi con il ciclostile che non tengono conto della dignità genitoriale che dovrebbe essere identica e dell’opportunità preziosa di una crescita equilibrata e serena che viene negata ai figli.
Gli esempi sono innumerevoli in tutta Italia, tanto che, quando un provvedimento si allinea alla legge attuale e sancisce tempi più o meno paritetici e sostanziale equilibrio nei diritti e nei doveri, non è raro riscontrarlo sui quotidiani.
L’uguaglianza genitoriale, che dovrebbe essere sempre la norma, fa paradossalmente notizia.
Pertanto siamo rimasti spiaciuti ma non certamente sorpresi nel leggere l’ordinanza del tribunale di Matera che ha interessato l’amico Michele Gaudiano. Ordinanza perfettamente in linea con la tendenza tesa a demolire sistematicamente ed immotivatamente la figura paterna a norma di legge. Il cosiddetto decreto standard (che si traduce in una manciata di ore spalmate su due pomeriggi a settimana e un weekend alternato) attuato anche in questo caso non potrà mai garantire la possibilità di costruire un rapporto sereno e solido con la figura paterna. Si sacrificano ancora una volta l’emozione di un abbraccio, la tenerezza di una passeggiata e la complicità di un gelato insieme in nome di una non meglio specificata stabilità abitativa.
Cosa è meglio, gentile Presidente, il poster nella cameretta o il consiglio di un padre? Da adulta, la figlia di Michele cosa riterrà più importante: l’aver avuto la possibilità di stare con il suo papà o aver potuto chattare con le amiche sprofondata sul divano della casa materna? E quando Michele ci non sarà più, la ragazza, ormai donna, sarà indifferente al fatto di aver vissuto un padre con diritto di visita o piangerà lacrime amare per non aver avuto il privilegio di sentirsi dire “Ti voglio bene…” una volta in più dall’uomo che le ha dato un cognome e che avrebbe potuto e saputo darle una storia? La sua storia… una storia d’amore… la più bella in assoluto: quella pura, meravigliosa ed indescrivibile che solo il padre di una bimba più narrare…
Una storia che Michele non potrà raccontare e che sua figlia non potrà mai vivere.
Permetta una forte riflessione, sig. Presidente: laddove, malauguratamente, un giorno, la ragazza per effetto della perdita della figura paterna, simbolo di forza, coraggio e protezione in questa età delicata dovesse imprudentemente commettere un errore di scelta, forse anche azzardato o fuori dalle regole, e semmai anche la giovane un giorno dovesse accorgersi di aver commesso sbagli la cui causa sarà stata proprio il venir meno del senso di appartenenza padre/figlia, a chi dovrà rivolgersi? A chi dovrà chiedere conto e spiegazione?
È questo, dunque, il vero bene superiore per il minore?
Si deve ricordare che la responsabilità genitoriale non cessa al compimento della maggiore età: genitori si è per sempre!
Michele, invece, non solo non potrà dare tutto se stesso a sua figlia ma non potrà neanche esercitare compiutamente nemmeno i suoi doveri di educatore in quanto la madre e solo la madre è autorizzata a prendere tutte le decisioni relative alla vita scolastica e sociale della ragazza e a decidere in totale ed indiscutibile autonomia anche per quanto riguarda la sua salute.
Ed è ovvio che sia così: Michele, come tutti i padri italiani, a seguito della separazione, non è più un padre. Egli, come tutti i padri separati è discriminato rispetto ai padri non separati: è “diversamente padre”.
In barba alla legge, al buon senso e ai sentimenti, egli ora è diventato un soggetto antropologico non meglio identificato: prima poteva educare, amare e sostenere la figlia; adesso, invece, “gode di un diritto di visita”, di frequentazione… come un conoscente o un parente che di tanto in tanto passa a prendere un caffè e a chiedere come va…
Come vogliamo definirlo, onorevole Presidente? Non certamente “padre” perché nei fatti l’interpretazione della legge lo ha privato dei connotati specifici e tipici di un “padre”.
Cosa è allora?
Esiste un nome per definire un uomo che vorrebbe disperatamente continuare ad essere padre e che non può più? E soprattutto cosa diventa un figlio che nei fatti è orfano di un genitore vivente?
Ci aiuti Presidente: in fin dei conti queste menomazioni affettive e materiali sono state create nei laboratori delle aule di giustizia, sperimentando tra codici e commi… quindi dovrebbe essere compito di un demiurgo togato battezzare queste nuove e strane creature.
Padri che non sono più padri e figli che non sono più figli.
Eppure le soluzioni alternative ci sono. Ci sarebbero. E anche tante, non ultima quella di far alternare i genitori all’interno dell’abitazione (provvedimento che in Spagna è la norma) ma mai sia a mettere in discussione un consolidatissimo e rodato statu quo.
Ma occorre fare attenzione: perché a venire sbriciolata (ai suoi stessi occhi ma soprattutto agli occhi della figlia) non è solo la figura del padre (in tal caso, pazienza, direbbero in molti… in fondo è “solo” il padre…) ma anche quella della figlia: perché chi perde il padre o la madre sarà sempre mancante di un pezzo di se stesso.
Un pezzo che si ritroverà a cercare inevitabilmente per tutta la vita…
Cordiali saluti
Il Presidente Aps Adamo, Gianni Sciannarella