Inaugurato questa mattina all’Unibas di Potenza l’anno accademico 2019-2020. Durante la cerimonia la rettrice Aurelia Sole ha annunciato che sarà conferita la laurea honoris causa a Liliana Segre. “In questo momento, in Italia, “è necessario un atto di coraggio per uscire da questa palude, bisogna investire in cultura, e di conseguenza nell’Università. Qualcosa è cambiato nel nostro paese ed è cambiato purtroppo in peggio. La mozione Segre, e la risoluzione europea in tema di totalitarismo – ha aggiunto la Rettrice dell’Unibas – segnano due elementi fondamentali e ci ammoniscono sul fatto che il rapporto tra cultura e politica può ridiventare un’emergenza”.
Di seguito testi delle relazioni della Rettrice Unibas, Aurelia Sole, del presidente del Consiglio degli Studenti, Giuseppe Cerone, del Presidente della Rete UNEeCC, Flora Carrijn, la prolusione di Mauro Viccaro, e il saluto inviato all’Unibas dalla Senatrice a vita. A seguire l’intervento dell’assessore regionale Rosa.
Intervento Rettrice Aurelia Sole
Signor Ministro,
Autorità,
Magnifici Rettori e loro delegati,
cari studenti e studentesse, cari colleghi e colleghe,
cari ospiti,
a tutti rivolgo il benvenuto alla cerimonia di inaugurazione del XXXVII anno Accademico
dell’Università degli Studi della Basilicata.
A tutti il mio più cordiale ringraziamento per la vostra partecipazione.
Ringrazio la prof. Flora Carrijn Presidente della Rete delle Università delle Città Capitali
europee della Cultura (UNeECC ) – e rettrice dell’Università K. di Leuven (Lovanio) Belgio.
Ringrazio il Presidente della Regione per la sua personale vicinanza alla nostra Università, e
come rappresentate della massima istituzione territoriale con cui abbiamo avviato e rilanciato una
rinnovata stagione di collaborazione.
Ringrazio poi in modo particolare il Ministro Roberto Speranza, che ci onora con la sua
presenza. Ci riempie di orgoglio, infatti, il suo essere nostro Dottore di ricerca in Storia, con una
tesi su Carlo Rosselli e il “socialismo liberale”.
Questa volta abbiamo derogato dalla data tradizionale del 23 novembre per il nostro giorno
inaugurale. Ma abbiamo ricordato quel drammatico evento con un convegno organizzato a Matera,
in collaborazione con altri enti, dal titolo “La fragilità della bellezza. Riflessioni sull’Italia
vulnerabile, la necessaria prevenzione del rischio sismico e la salvaguardia del patrimonio
culturale”.
Ma è opportuno, anzi necessario ricordare sempre che il nostro Ateneo, nato dopo il
terremoto del 1980, ha rappresentato e continua a rappresentare, un riferimento centrale per lo
sviluppo dell’intera regione, così come era nell’intento lungimirante dei legislatori della
ricostruzione, e continua in questo compito con forza, in modo coerente, esercitando con
determinazione una forma speciale di resilienza, anzi direi di resistenza, che noi tutti
rivendichiamo con orgoglio, come ho avuto modo di ribadire recentemente a Matera anche al
ministro Fioramonti, operiamo in questa regione – e non solo – per combattere da queste latitudini,
“l’interminabile lotta per il progresso del sapere e della pietas” come ci ammoniva Umberto Eco
in occasione della firma della Magna Charta (1988).
Come docenti, infatti, siamo impegnati, in un’azione costante e quotidiana, al fianco dei
nostri studenti non solo per fare didattica e ricerca di qualità, ma anche per sviluppare in loro
spirito critico e per mobilitare le coscienze nelle dimensioni sempre più urgenti che il nostro tempo
impone: ambiente, diritti, discriminazioni, libertà, giustizia.
Una resistenza, caro Ministro e caro Presidente, che è anche una lotta sociale e culturale per
questa nostra Regione, una lotta, necessaria e giusta, per difendere e ottenere pari opportunità per i
nostri studenti e per tutta la comunità accademica.
Anche questa volta abbiamo dovuto constatare una perdita di circa 350.000 € sul Fondo di
Finanziamento ordinario assegnato al nostro Ateneo per il 2019.
Quest’anno solo 15 atenei potranno leggere il segno + davanti all’indicazione delle risorse
assegnate loro nel 2019, rispetto a quelle trasferite nel 2018; tutti gli altri avranno di meno.
Ministro, il Governo deve dare risposte certe al sistema universitario; le università hanno
bisogno di ulteriori finanziamenti. Il Governo è chiamato innanzitutto a garantire l’integrità del
sistema con un progetto, capace di tenere assieme atenei forti e atenei deboli, piccoli e grandi,
antichi e di recente istituzione, questo va fatto nell’interesse dell’intero Paese.
Perché la forza del nostro Paese è nella sua varietà, nella relazione tra aree forti e aree
marginali, tra centro e periferie, tra città e paesi. Ma spesso proprio dai margini, dalle periferie,
dalle zone interne di questo nostro Paese arrivano nuove forme di conoscenza e sviluppo, idee
dirompenti, possibilità e speranze. E, il valore del sistema universitario italiano, sistema di assoluta
qualità scientifica e culturale in tutto il suo complesso, risiede anche nella sua funzione connettiva
di un paese che altrimenti imploderebbe nelle sue contraddizioni storiche e in quelle di nuova
emersione.
Mi accingo a completare il mio incarico di Rettrice, che si chiuderà il 30 settembre del
prossimo anno; e da questa condizione posso affermare con una certa esperienza che il nostro
lavoro, il lavoro della governance degli atenei, è diventato oramai insostenibile.
È impossibile gestire un ateneo con risorse che diminuiscono progressivamente e
ininterrottamente dal 2009, con un carico economico che invece aumenta continuamente
nonostante i pensionamenti. Penso agli aumenti dei costi fissi per l’applicazione di norme di legge
quali gli scatti stipendiali e l’applicazione alle retribuzioni dell’indice ISTAT; l’applicazione del
nuovo contratto Nazionale per il personale tecnico amministrativo; il costo di buona parte del
diritto allo studio. Tutti costi scaricati interamente sui bilanci degli Atenei. Su questi temi mi sono
battuta in CRUI ed ho avuto il sostegno di molti rettori, sostegno che mi ha consentito di essere
eletta quale loro rappresentante nella Giunta della Conferenza dei Rettori.
Vi pongo una riflessione: come è possibile assicurare qualità, come è possibile generare
innovazione, se a fronte di una riduzione, che prossimamente raggiungerà una quota di circa il
25% del personale tecnico amministrativo e prossima al 15% del personale docente, questo Ateneo
non può, per ragioni di sostenibilità economica, procedere all’assunzione di altro personale? Come
può essere affrontata la sfida dall’innovazione della didattica, dei processi, della qualità richiesta
dal sistema universitario e dall’agenzia nazionale di valutazione? Com’è possibile richiedere
sempre e di più ai nostri docenti, ricercatori, molti dei quali precari, se non diamo loro prospettive
di crescita professionale e di superamento della precarietà ?
Nonostante il finanziamento Regionale che, come sapete tutti, garantisce all’Ateneo 10 ML€
all’anno, Unibas riesce, con grande affanno seppur con efficacia, a realizzare le attività
dell’Ateneo, senza però riuscire a immaginare prospettive di crescita e senza avere la possibilità di
programmare nuovi corso di studio, né avere la possibilità di pianificare corsi più attrattivi per gli
studenti e più in linea con i fabbisogni di competenza e di occupazione espressi dal territorio; non
riusciamo, in questa condizione di ateneo che vede costantemente ridursi le risorse a sostegno della
sua azione, a programmare investimenti per poter acquistare nuove attrezzature scientifiche né
realizzare nuovi laboratori e servizi..
Eppure tante sono le possibilità, le idee, le sollecitazioni; si potrebbe programmare l’avvio di
progetti di qualità, si potrebbero rafforzare servizi a sostegno dei nostri studenti, per esempio
nell’orientamento e nel placement post laurea, si potrebbe scegliere di ampliare gli orari di
apertura dei nostri tre campus – due a Potenza e uno a Matera – attrezzandoli ed innovandoli per
una migliore fruizione; si potrebbe avviare un sistema di trasporto rapido tra Potenza e Matera,
magari con mezzi elettrici e sostenibili, servizio che sarebbe utilissimo per la nostra comunità di
studenti e dipendenti – e non solo -. Si potrebbe sostenere un ampliamento dell’offerta di corsi di
laurea, ma anche di competenze trasversali, cruciali per la ricerca di una occupazione; si potrebbe
potenziare l’Academy U-Link, che abbiamo lanciato a luglio a Matera, per formare in maniera
ancor più efficace giovani lucani – e non solo – sui temi dell’innovazione tecnologica e del sapere
digitale; si potrebbe potenziare la nostra capacità di sostenere la mobilità degli studenti e di tutto il
personale, rafforzando il presidio delle attività di internazionalizzazione svolte del nostro Ateneo.
Tanti progetti, tanta qualità, tanti giovani con speranze ed aspettative giuste, poche le risorse,
sempre meno. Per queste ragioni chiedo alla Regione l’avvio di una rinnovata stagione di
collaborazione, una più forte sinergia; rilanciamo lo spirito fondativo dei nostri costitutori,
ampliando e modificando sia l’accordo dodicennale – ormai datato- che l’accordo di programma
con il MIUR, ridiscutendo finanziamento e finalità, date le condizioni mutate del sistema
universitario e data anche l’imminente scadenza (il 2024) del suddetto accordo.
Oggi dobbiamo stringere ulteriormente i rapporti di collaborazione tra gli enti di ricerca e la
Regione, dobbiamo essere ancora più attenti a ciò che accade sul nostro territorio ed a come
favoriamo la rete di collaborazioni. Penso alla richiesta del comune di Matera di estendere la
formazione nel campo delle arti e del design, penso che da poco sia stato inaugurato un centro di
ricerca a Metaponto su una tematica sulla quale il nostro Ateneo ha gruppi di ricercatori di
eccellenza. Oggi ospitiamo tre borse di dottorato finanziate su quel centro. Probabilmente. Sarebbe
stato un buon investimento coinvolgerci nella fase di istituzione. Ringrazio a tal riguardo
l’assessore all’ambiente Gianni Rosa per la sua apertura ad una collaborazione stretta con i nostri
ricercatori sui temi dell’ambiente.
Questa non è una lamentazione. Posso certamente affermare, infatti, che UniBas non è
l’esempio di chi chiede in una posizione passiva e di attesa, i nostri risultati nel campo della
qualità della ricerca e della didattica dimostrano che facciamo “miracoli”, come con grande onestà
intellettuale è stato riconosciuto in Commissione Bilancio della Regione Basilicata dove ho
recentemente relazionato sul nostro operato, ricevendo complimenti e attestazioni di stima.
Non ripeterò in dettaglio l’elenco delle molte cose fatte, di cui sono davvero orgogliosa,
elenco raccontato e presentato in molteplici occasioni pubbliche e istituzionali, tra cui fra le più
recenti, l’inaugurazione del Campus di Matera alla presenza del ministro Lorenzo Fioramonti, e in
un incontro con la comunità accademica; C’è un lungo anno di lavoro e ci sarà certamente un
momento più in là nel tempo, per restituire un rendiconto complessivo dell’attività.
Accenno solo a alcuni recenti passaggi che ritengo essenziali. L’accreditamento da parte
dell’Anvur di tutti i nostri corsi di studio e di dottorato; i progetti competitivi conquistati nei vari
bandi europei e del Miur; circa 60 borse di dottorato industriale in 3 anni, realizzati per facilitare
processi di trasferimento tecnologico con le aziende; la conquista di 20 ricercatori nel bando AIM
in cui siamo stati i primi classificati nel rapporto “n. di posizioni ottenute/n. docenti dell’Ateneo”.
I più di mille eventi tenuti in questi anni di coinvolgimento dei cittadini sulle due sedi, con grandi
nomi dell’arte della scienza e del sociale, penso a Zigmund Bauman, Agnes Heller, Gino Strada,
Eusebio leal, Fabiola Gianotti, Muhammad Yunus, Luigi De Filippo, e tanti altri, vorrei
aggiungere anche il maestro salvatore Sebaste che ci ha donato la sua collezione delle opere
Matematicarte, e il maestro Michelangelo Pistoletto, assoluta autorità nell’arte contemporanea,
che ha donato la sua opera il terzo Paradiso al nostro Ateneo, oggi esposta nell’atrio di ingresso del
Campus di Matera, E infine, ma non per ultimo, vorrei sottolineare il gradimento dei nostri
studenti che è tra i più alti in Italia.
È evidente che si possa considerare quindi che ciò che la Regione destina all’Unibas non è
un sostegno, non è un regalo, ma un vero e proprio investimento. Ed è possibile dimostrare come
quell’investimento, sul piano meramente economico, attraverso la spesa dell’Università in stipendi
e acquisti di beni e servizi, generi annualmente un impatto diretto superiore a 60 milioni di euro,
attivando una produzione indotta sul sistema economico pari a 180 milioni, di cui due terzi a
livello regionale e un terzo nel resto d’Italia; tale produzione attiva, inoltre, un impiego di ulteriori
550 unità di lavoro. A questo deve aggiungersi la spesa, stimata in circa 60 milioni annui,
risparmiata alle famiglie lucane che hanno i propri figli iscritti nel nostro Ateneo e parimenti la
ricaduta economica della presenza degli studenti fuorisede nella nostra regione.
Sugli effetti sul piano culturale e sociale, e sulle ricadute positive della presenza di
un’Università in un territorio – che poi generano condizioni ottimali per lo sviluppo economico –
esistono ormai biblioteche intere di studi e ricerche che ne raccontano e dimostrano il valore.
Abbiamo oggi graditissima ospite Flora Carrijn Presidente della Rete UNeECC, che saluto
con grande piacere. La sua presenza è anche testimonianza del ruolo strategico svolto dalle
Università nel sistema delle Capitali Europee della Cultura.
Posso affermare, con orgoglio, che il nostro ruolo è stato cruciale per Matera 2019; una
vera terza missione dell’Ateneo, per aver disincagliato il progetto in un momento particolarmente
difficile della sua gestazione, per averlo rilanciato e portato al riconoscimento europeo certificato
dal premio Melina Mercouri; e per aver realizzato una delle più importanti infrastrutture previste
nel dossier, il campus di Matera già centro di riferimento con moltissime iniziative realizzate e in
programma.
Siamo e saremo impegnati nel ruolo di monitori del progetto e, soprattutto, nel difficile
impegno di raccoglierne la Legacy. E la rete UNEEC offre, anche con il nostro contributo, la
possibilità di una partecipazione continua e piena al movimento delle Capitali Europee della
Cultura, promuove la cooperazione interuniversitaria per sviluppare e rimodellare la posizione
regionale delle università al fine di creare nuove attività nelle relazioni città/università. Ancora una
volta attestiamo il nostro lavoro sul territorio portandolo nel mondo e nelle nostre reti
internazionali.
La prolusione sarà tenuta dal più giovane ricercatore della Scuola di Scienze Agrarie,
Forestali e Ambientali Mauro Viccaro con un tema dal titolo: Sostenibilità e sicurezza alimentare:
sfide ed opportunità, ancora una volta il nostro territorio sarà al centro dei nostri studi e delle
nostre ricerche. Questa scelta penso facilmente possa raccontarvi del valore che diamo – che do –
alla promozione e al sostegno dei nostri giovani ricercatori.
Ma vorrei concludere toccando un tema che mi è particolarmente caro, il rapporto tra
università e democrazia.
L’università, e la scuola, sono organi vitali della democrazia come noi la concepiamo.
Il nostro ruolo è quello di essere uno strumento per incoraggiare la lettura critica del reale,
di creare cittadini coscienti e non sudditi. Il ricercatore e il docente o sono liberi o non sono.
“Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si
dovrebbe dire che la scuola e l’università corrispondono a quegli organi che nell’organismo
umano hanno la funzione di creare il sangue che porta ossigeno al cervello”, così affermava il
padre costituente Piero Calamandrei, citato anche nel messaggio di saluto della Senatrice Liliana
Segre.
Prosegue “Il compito dell’università e della scuola è quello di formare la classe dirigente,
non solo quella politica, ma anche la classe dirigente culturale e tecnica, e, nel nostro pensiero di
democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto
degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie.”
Questo pensiero si è tradotto nell’art. 34 della Costituzione in cui è detto: “La scuola è aperta
a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti
degli studi”. E ancora oggi dopo 70 anni discutiamo di diritto allo studio. All’art. 9 della
costituzione è riportato che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica [33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
I padri costituenti non agirono a caso, non scrissero “lo stato promuove” ma la Repubblica
promuove, perché si era appena usciti dal dominio di un Ministero della cultura che imponeva le
linee culturali, linee che purtroppo le università applicarono, accettando di espellere i colleghi e gli
studenti ebrei, sostenendo perfino assurde teorie razziali.
La Repubblica che nella sua funzione primaria, condiziona e dirige l’organizzazione
democratica dello Stato.
L’università dunque è tema di competenza della Repubblica, e l’Università “è una o
non sarà” come ha ribadito in un suo recente discorso a Reggio Calabria, Ivano Dionigi presidente
di “Alma Laurea”, e a lungo straordinario Rettore dell’Alma Mater di Bologna. Stiamo attenti
dunque a proposte di autonomia differenziata, così come si sono configurate non faranno altro che
approfondire un divario voluto e attuato – anche per inerzia – dal 2009 da tutti i governi che si sono
succeduti. L’unico finanziamento aggiuntivo al sistema universitario è stato quello che giudico
sciagurato dei dipartimenti di eccellenza, che ha creato disparità all’interno degli atenei e disparità
tra gli atenei, 10 Università si sono viste escluse completamente dal progetto e per loro non è stata
definita alcuna forma alternativa di sostegno.
Raccogliamo oggi i cocci di un Paese che ha creato un contesto economico/culturale che
sembra non credere nel valore della conoscenza, della cultura, se osserviamo l’andamento degli
investimenti in cultura e ricerca degli ultimi 50 anni.
La situazione è aggravata oggi dal ruolo della rete, con tutto quello che ne consegue.
Dobbiamo interrogarci e chiederci come mai la rete riesca tanto facilmente ad influenzare, a
condizionare, spesso spargendo notizie false. Non solo i caricaturali terrapiattisti o no-vax, ma
fenomeni di razzismo, antisemitismo, omofobia e violenza di genere.
Qualcosa è cambiato nel nostro paese ed è cambiato purtroppo in peggio. La mozione Segre
e la risoluzione europea in tema di totalitarismo segnano due elementi fondamentali e ci
ammoniscono sul fatto che il rapporto tra cultura e politica può ri-diventare un’emergenza. I
negazionisti avanzano ed avanza la cultura dell’odio e dell’intolleranza. Ieri a Roma sono state
imbrattate le targhe delle vie intitolate alle “vittime leggi razziali” , questo gesto non solo offende
le vittime e i loro familiari ma imbratta noi tutti, la nostra dignità e la nostra intelligenza.
Dobbiamo essere vigili tutti.
E’ necessario dunque un atto di coraggio per uscire da questa palude, bisogna investire in
cultura e di conseguenza nell’Università.
Ho invitato il Ministro per l’Università Lorenzo Fioramonti e il Ministro per il Sud e per la
Coesione Sociale, Giuseppe Provenzano ad un incontro con le Università poste nelle aree interne
del paese per discutere, qui, di Università e Sviluppo. Invito accettato da entrambi. Colgo
l’occasione per estendere l’invito anche al presidente della Regione e a lei signor ministro che in
questo momento si trova a gestire la difficile situazione della carenza di medici e di specializzandi,
ancora una volta un problema legato all’Università.
Concludo ringraziando nuovamente tutti i Colleghi, il Prorettore vicario, i Prorettori delegati,
i Direttori delle Strutture Primarie di Ricerca e Didattica e dei centri di ateneo, che in questi anni
mi hanno aiutato e sostenuto, il Personale Tecnico Amministrativo che non ha fatto mancare la
propria professionalità e il proprio sostegno, i Dirigenti e il Direttore Generale per l’impegno e la
professionalità e perché insieme a me si trovano continuamente a far fronte e a dare risposte ai
numerosi problemi che viviamo.
Vorrei chiudere, come sempre, con il pensiero rivolto ai nostri studenti che in questi anni
hanno lavorato fianco a fianco con noi in modo responsabile e maturo. Siamo uno degli Atenei con
il più alto indice di gradimento da parte degli studenti – già lo accennavo – pari al 92%!
Ho chiesto che questo dato venisse inserito in una classifica delle Università analoga a
quella sulla qualità della vita nelle città.
Ringrazio inoltre i colleghi del personale che hanno reso possibile la realizzazione di questa
giornata.
Ringrazio come sempre la mia famiglia che mi sostiene e sopporta con me il peso dei miei
impegni.
Voglio concludere con il ricordo affettuoso di due persone che hanno lavorato per il nostro
Ateneo e sono venute a mancare improvvisamente: la professoressa Silvana Rinauro e la
studentessa di Scienze Umane Vera Manco, due persone generose, entrambe nei loro ruoli
appassionate del proprio lavoro e di grande spessore umano. Ci mancheranno, ma, lo dico
accomunando in un abbraccio caloroso i loro famigliari, non dimenticheremo quanto ci hanno
lasciato. Continueremo nel nostro impegno anche pensando a loro.
Intervento Dott. Mauro Viccaro
Sostenibilità e sicurezza alimentare: sfide ed opportunità
SOSTENIBILITÀ E SICUREZZA ALIMENTARE: SFIDE ED OPPORTUNITÀ
Il sistema alimentare tra (in)sicurezza e sostenibilità
È un onore essere qui all’inaugurazione del XXXVII anno accademico dell’Università degli
studi della Basilicata, Università dove mi sono formato, con gli studi prima e la ricerca poi,
acquisendo conoscenze e capacità tali da permettermi di partecipare a progetti di ricerca di
carattere internazionale, fornendo il mio contributo sui temi della sostenibilità nel settore
agroforestale e alimentare, ai fini della promozione dello sviluppo rurale.
Quest’oggi vi parlerò di Sostenibilità e Sicurezza Alimentare, descrivendovi le sfide che
l’intera comunità è costretta ad affrontare e le opportunità che la ricerca scientifica ha da
offrire per un futuro più sostenibile.
Nel 1996, il World Food Summit definisce la sicurezza alimentare come “la situazione in cui
tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti
sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze alimentari per
condurre una vita attiva e sana”. Il concetto di sicurezza alimentare, secondo tale definizione,
va dunque oltre la qualità e la sicurezza igienico-sanitaria del cibo prodotto (food safety),
elementi tutelati dalle normative vigenti e garantiti dai continui controlli igienico-sanitari. È
prima di tutto una sicurezza legata all’approvvigionamento (food security).
Secondo l’ultimo rapporto SOFI 2019 – State of Food Security and Nutrition in the World, il
9,2% della popolazione mondiale (poco più di 700 milioni di persone) è stata esposta a gravi
livelli di insicurezza alimentare nel 2018, cioè a condizioni di fame. Uno sguardo più ampio
all’estensione dell’insicurezza alimentare, indica come altri 1,3 miliardi di persone non ha
avuto accesso regolare ad alimenti sufficienti e nutrienti. La combinazione di livelli moderati e
gravi, porta la stima dei livelli di insicurezza alimentare al 26,4 percento della popolazione
mondiale, per un totale di circa 2 miliardi di persone. È un problema, quello dell’insicurezza
alimentare, che riguarda principalmente i Paesi in via di sviluppo dove la popolazione affronta
gravi problemi di salute dovuti a fenomeni di denutrizione: circa 155 milioni di bambini sotto i
cinque anni, principalmente nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale, continuano a
soffrire di una crescita stentata.
Sebbene tali problemi siano stati in parte risolti nei Paesi occidentali come l’Italia (il report
della FAO evidenza che l’8% della popolazione del Nord America e dell’Europa soffra ancora di
insicurezza alimentare), un atteggiamento egoistico lascerebbe pensare che l’insicurezza
alimentare legata all’approvvigionamento non sia un nostro problema.
Ma è davvero così?
L’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change evidenzia il Mediterraneo
come una delle regioni più vulnerabili al mondo per gli impatti del riscaldamento globale. Gli
impatti più critici dei cambiamenti climatici nella regione del Mediterraneo sono
probabilmente associati alla disponibilità di acqua.
Dott. Mauro Viccaro – Sostenibilità e sicurezza alimentare: sfide ed opportunità 2
L’intera regione è già vulnerabile alla carenza idrica e alla siccità, in particolare i Paesi del
sud e dell’est, mentre nei Paesi del nord si assiste ad uno sfruttamento eccessivo delle risorse
idriche sotterranee. Tra i Paesi che circondano il Mar Mediterraneo, l’agricoltura assorbe oltre
l’80% della domanda totale di acqua nei Paesi africani ed il 60% in quelli europei. In Italia e
Basilicata ammontano rispettivamente al 70 e all’ 85%. La diffusa riduzione dell’umidità del
suolo e della disponibilità di acqua in generale, e l’aumento della frequenza e dell’intensità di
periodi siccitosi a causa dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo, accresceranno gli attuali
stress legati all’acqua e avranno effetti negativi rilevanti sulle colture e sull’agricoltura in
generale, con conseguente ripercussione sugli approvvigionamenti alimentari. La crescente
necessità di irrigazione sarà limitata dalla riduzione dei deflussi e degli approvvigionamenti
idrici in generale ed ostacolata dalla concorrenza di altri settori, in particolare insediamenti
umani ed energia.
Il tema della sicurezza alimentare si sta dunque arricchendo di nuovi e complessi significati
che lo pongono in relazione sempre più stretta con un altro importante concetto: la
sostenibilità.
Riflettendo su quanto affermato da Garnett e Godfray, se è condivisibile che “un sistema di
produzione alimentare che sia socialmente, economicamente o eticamente inaccettabile per
un’ampia parte della popolazione manca di ‘continuabilità’, o resilienza, indipendentemente da
quanto possa essere in armonia con l’ambiente naturale”, è pur vero, tuttavia, che un sistema
alimentare socialmente ed economicamente giusto e accettabile non può prescindere dalla
considerazione dei processi di degrado ambientale.
In quest’ultimo anno ho partecipato al progetto del Programma Ambientale delle Nazioni
Unite (UNEP) per la redazione del report GEO-6 for Youth, un derived product, insieme al GEO6 for Business, del sesto Global Environment Outlook. Nei report si invitano i giovani, gli
imprenditori e i decisori politici ad agire immediatamente per affrontare le pressanti questioni
ambientali per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development
Goals – SDG). Nei report vengono presentati i principali sistemi antropici che richiedono azioni
decisive per poter garantire un futuro più sostenibile. Negli ultimi anni si parla sempre di
cambiamenti climatici che colleghiamo immediatamente al processo di industrializzazione e
all’uso intensivo dei combustibili fossili. Più recentemente siamo circondati da campagne di
sensibilizzazione per la riduzione dell’uso delle plastiche (e dei rifiuti in generale) che
inquinano i nostri mari. Ma nel report si fa riferimento ad un altro sistema, oltre a quello
energetico e dei rifiuti: il sistema alimentare, un sistema integrato verticalmente con i
precedenti, che necessità di profonde trasformazioni in tutte le fasi che vanno dalla produzione
primaria al consumo.
Se, infatti, da un lato il sistema alimentare subisce gli effetti negativi delle problematiche
ambientali, in primis il cambiamento climatico, dall’altro è uno dei principali driver di tali
problematiche.
La produzione alimentare rappresenta il più grande uso antropogenico della terra:
l’agricoltura utilizza il 38% delle terre emerse prive di ghiacci, con un uso spesso inefficiente
Dott. Mauro Viccaro – Sostenibilità e sicurezza alimentare: sfide ed opportunità 3
delle risorse naturali; ad essa sono imputabili il 70% dei prelievi idrici globali, il 30% dei
consumi totali di energia ed oltre il 20% delle emissioni totali di gas effetto serra.
Sebbene l’agricoltura rappresenti un settore chiave per combattere la fame (SDG 2 – Zero
hunger) e la povertà (SDG 1 – No poverty), nonché la principale fonte di reddito per circa tre
quarti delle persone povere che vivono nelle aree rurali, per soddisfare la crescente domanda
di cibo, dalle piccole fattorie tropicali alle grandi fattorie del Nord America e dell’Europa,
l’agricoltura ha generato un impatto enorme sulla Terra, diventando un importante motore del
cambiamento climatico globale, a seguito del cambiamento dell’uso del suolo e delle emissioni
di gas serra. Il cambiamento nell’uso del suolo associato allo sviluppo agricolo è responsabile
della deforestazione tropicale e della perdita di biodiversità, dell’esaurimento delle acque dolci,
delle perdite di qualità del suolo a causa di fenomeni di erosione e salinizzazione.
Tra i diversi comparti agricoli, domina quello zootecnico: con circa tre quarti di terreno
agricolo utilizzato per la produzione di mangimi, foraggi e pascoli, gli allevamenti
rappresentano il settore agricolo a più alta intensità energetica, causa del deterioramento
qualitativo del suolo e delle acque, con effetti diretti sui cambiamenti climatici. Considerando
che il settore zootecnico fornisce solo il 16% dell’energia alimentare e il 32% del fabbisogno
proteico, gli allevamenti rappresentano un uso inefficiente della terra, con un impatto in
termini di emissioni pari a 29 kg CO2eq. per produrre un kilogrammo di manzo, contro i 0,51 kg
CO2eq. per produrre un kilogrammo di legumi.
Ma come siamo giunti a questa insostenibile situazione?
La crescente pressione sull’ambiente esercitata dal sistema alimentare è dovuta ai profondi
cambiamenti che hanno interessato il tessuto sociale ed economico a livello globale. La crescita
demografica e il benessere economico registrati negli ultimi cinquant’anni hanno portato ad un
aumento consistente dei consumi alimentari e ad un drastico cambiamento delle abitudini
alimentari dei consumatori non solo nelle società occidentali, ma in misura sempre crescente
anche nei paesi in via di sviluppo. L’aumento del reddito pro-capite, in particolare, ha generato
una crescente domanda per prodotti di origine animale. Dall’inizio degli anni ’60, il consumo di
latte pro capite nei paesi in via di sviluppo è quasi raddoppiato, il consumo di carne è più che
triplicato ed il consumo di uova è aumentato di ben cinque volte.
Tale fenomeno è causa, oltre dei citati problemi ambientali, di nuove forme di
malnutrizione, opposte ai problemi di denutrizione, legate ad una sovralimentazione,
eccessivamente ricca di prodotti di origine animale: attualmente oltre 2 miliardi di adulti sono
in sovrappeso e 500 milioni sono obesi, con gravi problemi di salute.
È necessaria dunque una transizione verso diete più sostenibili definite come “diete a basso
impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale e alla vita sana
per le generazioni presenti e future”. Un esempio è rappresentato dalla dieta Mediterranea,
legata a produzioni alimentari locali che, ottimizzando l’uso di risorse naturali e umane,
promuovono e rispettano la biodiversità e gli ecosistemi, sono economicamente eque e
conveniente, nonché nutrizionalmente adeguate, sane e sicure.
Questa transizione deve essere affiancata da un approccio ecosistemico in agricoltura al fine
di rafforzare il suo ruolo multifunzionale e rispondere agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Una
gestione agricola sostenibile consente di fornire cibo sano (SDG 2 – Zero hunger e SDG 3 – Good
health and well-being) ed energia (SDG 7 – Affordable and clean energy) e di migliorare, allo
stesso tempo, i servizi dell’ecosistema agricolo quali il sequestro del carbonio nel suolo (SDG
13 – Climate action), la conservazione delle risorse idriche (SDG 6 – Clean water and
sanitation), la salvaguardia della biodiversità (SDG 15 – Life on land), il miglioramento della
sicurezza da pericoli e malattie naturali (SDG 3) e la mitigazione dei cambiamenti climatici
(SDG 13). Inoltre, la gestione agricola sostenibile è importante per preservare i servizi
culturali, come i paesaggi rurali e il patrimonio culturale, che devono essere salvaguardati sia
per il valore intrinseco che per le generazioni future. L’agricoltura, infatti, si è storicamente
caratterizzata come un insieme di attività produttive che trovano il proprio fondamento nel
capitale fondiario e, attraverso di esse, caratterizza e modella profondamente il territorio
dando vita a paesaggi unici e tradizioni locali, elementi distintivi di tante economie rurali.
La produzione non rappresenta tuttavia l’unico problema alla questione della sostenibilità e
della sicurezza alimentare. Un altro importante punto di attenzione è rappresentato dagli
sprechi alimentari (food wastage) che non interessa solo i consumatori con i rifiuti alimentari
(food waste), ma tutta la catena di stoccaggio, trasporto e distribuzione, ovvero la perdita di
cibo ancora prima che questo giunga al consumatore (food loss). Circa un terzo del cibo
prodotto per il consumo umano a livello globale viene sprecato, e con esso le risorse utilizzate
nella produzione (terra, energia, acqua, ecc.), con i relativi impatti ambientali. Una stima
riferita al 2007, mostra che la superficie dedicata alla produzione di cibo sprecato ammonta a
circa 1,4 miliardi di ettari di terra, pari a circa il 28% della superficie agricola mondiale. Sulla
base dei dati sulle colture alimentari per il periodo 2005-2007, per le produzioni alimentari
sprecate è stato consumato il 23% del totale di fertilizzanti usati a livello globale e il 24% del
totale delle risorse di acqua dolce usate in agricoltura. Inoltre, si stima che il 99% degli sprechi
alimentari nella fase di produzione agricola sia generato in aree in cui il suolo è sottoposto a
fenomeni di degrado medio-forti, ponendo ulteriori stress in queste aree. Lo spreco alimentare
inoltre genera gas serra. Se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe il terzo Paese al
mondo in ordine di emissioni. Circa il 56% dello spreco alimentare totale si verifica nei paesi
sviluppati, mentre il 44% si riscontra nei paesi in via di sviluppo. Nel Sud del mondo, le perdite
sono dovute principalmente all’assenza di infrastrutture della filiera alimentare e alla
mancanza di conoscenza o investimenti nelle tecniche di stoccaggio. Nel Nord del mondo, le
perdite pre-vendita sono inferiori ma quelle derivanti da altre fasi della filiera alimentare
(vendita al dettaglio, servizi di ristorazione e fasi domestiche) sono cresciute drasticamente
negli ultimi anni. Si stima che ogni anno lo spreco alimentare dei consumatori è compreso tra
95-115 kg a persona nei paesi sviluppati, mentre i consumatori nei paesi in via di sviluppo
buttano via solo 6-11 kg di cibo a persona.
Il sistema alimentare: quale futuro?
Considerando che entro il 2050, bisognerà produrre almeno il 50% in più di cibo per nutrire
la popolazione globale che si prevede raggiungerà i 10 miliardi di persone, sono necessarie
profonde trasformazioni nei sistemi alimentari, dalla produzione (o meglio ancora dalla preproduzione) al consumo, al fine di garantire la sostenibilità e la sicurezza alimentare nel
prossimo futuro.
Siamo ancora in tempo per cambiare, abbiamo ancora delle opportunità.
In tale contesto, l’Università e la ricerca scientifica giocano un ruolo fondamentale nella
ricerca di soluzioni innovative, volte a promuovere un sistema alimentare sostenibile e sicuro.
Come dicevo prima, ho collaborato alla stesura del report GEO-6 for Youth, un report scritto
da giovani per i giovani, in quanto la comunità internazionale vede nelle nuove generazioni la
possibilità di un radicale cambiamento degli attuali sistemi antropici: i giovani di adesso
saranno i futuri educatori, professionisti, imprenditori, ricercatori e decisori politici.
Non a caso la prima missione del sistema universitario è rappresentata dalla formazione:
attraverso i nostri corsi di studio sarà possibile indirizzare i futuri professionisti del settore
verso una visione del sistema alimentare fondata su modelli sostenibili di produzione e
consumo, in un’ottica di sicurezza alimentare.
Ma la missione dell’università va oltre, attraverso la ricerca e il trasferimento tecnologico. La
ricerca è chiamata ad analizzare i modelli di produzione e consumo dell’attuale sistema
alimentare, proponendo soluzioni capaci di favorire forme differenziate di sviluppo sostenibile
nei differenti contesti territoriali.
A tale scopo, i modelli economici rappresentano un valido strumento della ricerca, in quanto
consentono di studiare l’attuale sistema alimentare, ipotizzando e valutando l’impatto di
scenari futuri per guidare l’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile. I modelli economici
possono essere classificati in due categorie: modelli di tipo bottom up, e modelli di tipo top
down. Mentre nei primi l’attenzione è rivolta ad un settore (o sistema) specifico senza
considerare le sue connessioni con il resto dell’economia, nei modelli di tipo top down viene
analizzato il sistema economico nel suo complesso. Il tipo di modello economico da adottare
dipende dall’obiettivo dell’analisi ma, per le tematiche affrontate in precedenza, è più che mai
necessario adottare una prospettiva sistemica che superi la mera analisi delle sole componenti
individuali del sistema alimentare, e che affronti in maniera olistica le complesse relazioni che
intercorrono tra diverse fasi e attori del sistema. In tale prospettiva, l’analisi dovrebbe essere
basata su approcci multi-settoriali, di tipo top down, che contemplino le dinamiche del settore
agroalimentare nel contesto del più ampio sistema economico.
Dott. Mauro Viccaro – Sostenibilità e sicurezza alimentare: sfide ed opportunità 6
Verso la metà degli anni ’50, gli economisti Davis e Goldberg svilupparono il concetto di
agribusiness valutando l’estensione e la quantità delle relazioni agricole e industriali, usando il
modello input-output (I-O) dell’economista russo-americano Wassily Leontief. Si tratta di un
modello macroeconomico basato sulle tavole Input-Output (o delle interdipendenze settoriali),
in cui vengono descritti i flussi economici che intercorrono tra i vari settori che compongono
l’economia permettendo così di misurare le relazioni esistenti e quantificare gli effetti di
politiche settoriali. A partire dal lavoro di Davis e Goldberg, l’analisi input-output è stata
ampiamente utilizzata per studiare la struttura di un’economia sia a livello regionale che
nazionale. In particolare, utilizzando le giuste informazioni economiche e disaggregando i
settori con maggiore dettaglio, è possibile studiare a fondo il sistema agroalimentare di una
data regione o Stato per valutarne i punti di forza e di debolezza, al fine di dare indicazioni di
policy, indirizzare scelte e risorse, rendendolo più competitivo e sostenibile.
Applicando un modello I-O, basato su una matrice di contabilità sociale (Social Accounting
Matrix -SAM), il nostro gruppo di ricerca, coordinato dal prof. Severino Romano, ha effettuato
un’analisi strutturale del sistema agroalimentare della regione Basilicata per valutarne le
relazioni con il resto dell’economica, non solo regionale e ma anche nazionale. Sebbene i
risultati del lavoro mettano in evidenza l’importanza per l’economia regionale sia del settore
agricolo che di quello dell’industria alimentare, con 18395 imprese attive ed un contributo
nella formazione del valore aggiunto pari al 7,7%, si registra una scarsa integrazione fra tali
settori e il settore turistico e dei servizi di ristorazione. Il livello di partecipazione nella
ristorazione dell’agroalimentare lucano è più basso rispetto a quello «medio» delle restanti
regioni d’Italia (3,0% contro 7,3% in termini di occupazione e 1,4% contro 3,7% in termini di
valore aggiunto). Ciò significa che la domanda finale che si rivolge alle imprese lucane che
forniscono servizi di ristorazione è meno capace di attivare produzione e generare
occupazione nel comparto agroalimentare regionale rispetto a quanto avviene nel resto
d’Italia, risultando dunque meno competitiva. Considerate le potenzialità del sistema regionale
in termini di qualità agroalimentare e le prospettive positive in termini di domanda turistica, il
modello in questo caso suggerisce uno spazio di azione significativo per le politiche regionali di
sviluppo, in particolare per la promozione dei sistemi alimentari locali, considerati un
elemento chiave nel promuovere lo sviluppo rurale sostenibile e la sicurezza alimentare.
Le analisi socio-economiche sono solo una caratteristica di tali modelli: c’è molto di più.
La consapevolezza del deterioramento ambientale e dei suoi effetti a lungo termine ha
portato ad un’estensione dei modelli input-output classici, con l’inserimento di indicatori
ambientali strettamente connessi al sistema economico e allo sviluppo dei cosiddetti
“environmental extended input-output (EEIO) models”. Come modello macroeconomico di tipo
top-down, l’analisi mediante tale modello spiega le complesse relazioni tra settori economici e
inquinamento ambientale nelle economie moderne, focalizzando l’attenzione su diverse
problematiche ambientali, come ad esempio il contributo dei differenti settori o sistemi
dell’economia alle emissioni di gas climalteranti.
Utilizzando tali metodi, recentemente con il gruppo di ricerca di cui faccio parte abbiamo
condotto una ricerca allo scopo di valutare l’impatto e l’andamento delle emissioni di gas a
effetto serra (GHG) del settore agroalimentare italiano dal 1995 al 2015, adottando un’analisi
di decomposizione strutturale per analizzare i driver responsabili di un eventuale
cambiamento, focalizzando l’attenzione su progresso tecnologico, connessioni settoriali,
struttura economica, economie di scala e crescita della popolazione. Nel 2015, secondo i nostri
risultati, il settore agroalimentare ha contribuito, con 45,7 milioni di tCO2eq., al 14% delle
emissioni totali di gas a effetto serra in Italia. Il contributo principale viene dal metano con il
42,3%, seguito da CO2 con il 28,4%. Tuttavia, in linea con il resto dell’economia, vi è
un’evidente riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del settore agroalimentare nel
periodo considerato: -17% per CO2 (-2,6 Mln tCO2eq.), -11% per CH4 (-2,4 Mln tCO2eq.) e -6% per
altri GHG (-0,9 Mln tCO2eq.). Tale riduzione è dovuta essenzialmente dal progresso tecnologico,
promosso dalle passate politiche agricole comunitarie (PAC).
Tali modelli, dunque, consentono di valutare il legame esistente tra gli impatti ambientali
derivanti da un dato settore e le politiche finalizzate alla loro mitigazione. Pertanto,
focalizzando l’attenzione sul settore agroalimentare, è possibile valutare l’efficienza delle
precedenti azioni della PAC e fornire suggerimenti per attuare nuove azioni sostenibili nel
prossimo futuro, in particolare nella visione della nuova PAC post-2020, per incrementare la
sostenibilità del sistema alimentare.
Come abbiamo visto, l’aspetto più interessante dei modelli I-O è la loro flessibilità, che
permette di adeguare le analisi attraverso l’adozione e l’integrazione dei più recenti approcci
legati all’uso sostenibile delle risorse in agricoltura.
Tra questi approcci ricordiamo il Water Energy Food Nexus (WEF), discusso per la prima
volta a livello internazionale alla “Conferenza Bonn 2011: The Water Energy and Food Security
Nexus – Solutions for the Green Economy”. Esso costituisce un approccio integrato per l’analisi
delle interrelazioni dinamiche tra acqua, energia e sistemi alimentari, utile all’ottenimento di
un’equa e sostenibile sicurezza idrica, energetica ed alimentare e sviluppare strategie per lo
sviluppo sostenibile.
Come evidenziato precedentemente, la sicurezza alimentare da sola non garantisce la
sostenibilità economica, sociale e ambientale. Approcci isolati e lineari non sono adatti a
risolvere i complessi problemi del mondo, in condizioni di scarsità di risorse. Ecco che
l’approccio Nexus associa al problema della sicurezza alimentare quello della sicurezza idrica,
intesa come “disponibilità e accesso all’acqua per usi umani ed ecosistemici”, e della sicurezza
energetica, definita come “accesso a servizi energetici puliti, affidabili e convenienti per la
cottura e il riscaldamento, l’illuminazione, le comunicazioni e gli usi produttivi”.
Le relazioni tra cibo, energia e acqua sono dinamiche. Le azioni in un sistema di solito hanno
un impatto in uno o entrambi gli altri, con profonde implicazioni economiche, ambientali e
sociali. In effetti, la sicurezza di un sistema spesso non può essere raggiunta senza
comprometterne un altro. Il WEF nexus postula, dunque, che la sicurezza alimentare, la
sicurezza idrica e la sicurezza energetica siano indissolubilmente legate.
Mentre clima, acqua, cibo ed energia sono stati spesso trattati separatamente, l’approccio
nexus rappresenta una nuova frontiera, considerando di raggruppare tali sistemi individuare
soluzioni integrate a problemi che, ormai, sono stati riconosciuti essere indissolubilmente
interconnessi.
Il WEF nexus è dunque un approccio sistemico utile ad analizzare le interdipendenze
intrinseche dei sistemi alimentare, idrico ed energetico nell’uso delle risorse, valutando
elementi conflittuali e sinergie, e le conseguenze sociali e ambientali delle stesse. Comprendere
le correlazioni tra i sistemi alimentare, energetico e idrico può offrire opportunità per
aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse e migliorare la cooperazione e la coerenza delle
politiche tra i tre sistemi, riducendo al minimo i rischi e gli impatti ambientali. La prospettiva
del WEF nexus ha l’obiettivo di promuovere azioni interdisciplinari e reciprocamente
vantaggiose, contribuendo in tal modo a soddisfare le esigenze future della popolazione
mondiale, in particolare di coloro che non hanno accesso al cibo, all’acqua potabile e
all’energia.
Malgrado le forti correlazioni tra cibo, acqua ed energia, i programmi e le politiche di
sviluppo continuano ad essere strutturati secondo una visione monosettoriale. Pertanto,
appare essenziale attivare processi di sensibilizzazione verso i decisori e promuovere forme di
collaborazione tra enti pubblici, comunità, società civile e settore privato nella progettazione e
attuazione delle strategie di sviluppo. La ricerca è chiamata a studiare e spiegare le connessioni
tra tali sistemi ed a individuare le strategie, gli investimenti e le azioni politiche più opportune.
Le scelte politiche, così supportate dalla ricerca, potranno essere decisive per promuovere
una radicale trasformazione del sistema alimentare. La promozione dell’efficienza tecnica,
come abbiamo visto, riveste un ruolo determinante per una transizione dei sistemi produttivi
verso un’economia a basse emissioni. Diversi studi enfatizzano il ruolo delle politiche di
incentivazione delle produzioni locali e di promozione della filiera corta nell’aumentare la
resilienza e la sostenibilità del sistema alimentare. I sistemi locali hanno una profonda
connessione con l’ambiente circostante, che consente un migliore utilizzo delle risorse naturali
per produrre alimenti di alta qualità, mentre le brevi distanze tra produttori e consumatori
hanno il vantaggio di ridurre gli sprechi alimentari che possono verificarsi durante il trasporto
e lo stoccaggio degli alimenti. In tale contesto le certificazioni e la tutela di marchi di prodotti
con indicazione geografica riveste un ruolo importante. Le iniziative con marchi ombrello
regionali garantirebbero il consumatore verso l’acquisto di cibi più salutari soprattutto se
certificati per mezzo di strumenti come le blockchain. Ne è un esempio la cerealicoltura, che in
Basilicata rappresenta un importante comparto produttivo, terzo per dimensione a livello
nazionale, messa a dura prova dalle importazioni dall’estero di grano maturato con uso di
prodotti chimici che ne inficiano la food safety e che sicuramente hanno poco a che fare con la
sostenibilità ambientale.
Dott. Mauro Viccaro – Sostenibilità e sicurezza alimentare: sfide ed opportunità 9
La tassazione di prodotti ad alto impatto ambientale e le politiche di welfare sociale possono
promuovere la transizione verso diete sostenibili. Il fenomeno dell’obesità sta aumentando
considerevolmente nelle regione a basso reddito in quanto il prezzo dei cibi energivori è calato
negli ultimi 10 anni del 26% mentre quello di frutta e verdura è aumentato del 75%. Piuttosto
che limitare il welfare al solo reddito di cittadinanza si potrebbero attivare strumenti quali ad
esempio il “paniere di solidarietà”, con prodotti locali della nostra agricoltura, permettendo
alle fasce reddituali più deboli l’accesso ai cibi più salutari.
Vorrei chiudere invitandovi a riflettere sull’importanza delle nostre scelte: quali
consumatori, infatti, siamo responsabili degli impatti generati dai sistemi antropici, siamo noi
che creiamo la domanda e le nostre preferenze influenzano l’andamento dei mercati. La piena
consapevolezza delle nostre scelte e dei nostri atteggiamenti, infatti, congiuntamente a
specifiche strategie di programmazione a tutti i livelli, dal locale al globale, potrà contribuire a
garantire la sostenibilità e la sicurezza alimentare per le future generazioni.
Il Presidente del Consiglio degli Studenti, Giuseppe Cerone
Care colleghe e colleghi, Magnifica Rettrice, Direttore Generale, Amplissimi Direttori dei Dipartimenti e
delle Scuole, Chiarissimi Professori, Personale Tecnico Amministrativo, Gentile Ministro, Presidente della
Giunta Regionale, Autorità civili, militari e religiose, gentili ospiti.
E’ grazie al grande senso di appartenenza alla mia terra ed alla mia università, condiviso con i miei colleghi,
che mi trovo qui a rappresentare il Consiglio degli Studenti e la comunità studentesca tutta.
Una comunità, questa, che attualmente è costituita da circa 7000 giovani, miei coetanei, che hanno scelto
di studiare e formarsi qui, in Basilicata, dove ad oggi dovrebbero rappresentare il cuore pulsante della
crescita culturale ed economica del nostro territorio, ma purtroppo non è così. Assistiamo da tempo, ormai,
ad un flusso migratorio che in maniera chiara e marcata pone in ginocchio i giovani lucani, formatisi qui, ma
costretti ad emigrare al Nord Italia o addirittura all’estero: è sotto gli occhi di tutti, la gravità della “fuga di
cervelli lucani”.
Sto parlando di una fuga di cervelli che dal 2000 al 2015, secondo i dati Svimez, è costata al meridione circa
30 miliardi di euro. Negli ultimi 16 anni, di fatto, hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila
residenti e metà di questi sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto sono laureati e il
16% di questi si è trasferito all’estero. Il dato più preoccupante, però, è che quasi 800 mila non sono
tornati! E’ questo il ‘bollettino’ della ‘fuga’ dal Sud, il cui peso demografico non fa che diminuire, per via
della profonda ridefinizione della struttura occupazionale a sfavore dei giovani.
Alla luce della critica condizione del Meridione, anche la Basilicata non è esente dal grave esodo che affligge
le nostre generazioni e la nostra Unibas ne risente e ne rispecchia la condizione in maniera analoga.
Nello specifico, mi riferisco ad uno dei rischi più incombenti per il nostro contesto universitario, ossia il calo
degli iscritti che potremmo subire: gli studenti lucani, al termine del proprio percorso di formazione di
secondo grado, proseguono il proprio iter di studi in altre università italiane, in quelle stesse università che,
grazie alla legge di stabilità del 2017, godono della misura di Dipartimenti d’Eccellenza, che sono state
definite di serie A, a fronte della nostra università di ‘’serie B’’ che, sebbene piccola e depauperata in
termini di incentivi ministeriali e finanziamenti, offre una formazione di altissima qualità ed un ampio
ventaglio di corsi di studi.
Perché, allora, i giovani lucani preferiscono abbandonare la propria terra? Quali sono le motivazioni di
fondo? Come consiglio studenti ci siamo interrogati a lungo su tali problematiche ed abbiamo riflettuto in
maniera attenta sulla condizione dei giovani lucani, facendo riferimento ripetutamente alla nostra
esperienza diretta di studenti universitari.
La nostra offerta formativa è di tutto rispetto, tuttavia resta ancora troppo rigida e chiusa ai cambiamenti.
Occorre un ulteriore potenziamento di quest’ultima all’interno di percorsi di studio, anche post lauream;
solo tramite questi interventi possiamo tendere ad un aumento degli iscritti e contestualmente favorire
l’inserimento dei neo laureati all’interno del tessuto produttivo lucano per superare un contesto socioeconomico-infrastrutturale, inefficiente e a tratti quasi inesistente che ancora fa da sfondo alla nostra
regione. Sarebbe necessario, quindi, che la Regione investisse maggiormente nell’Università, sia da un
punto di vista infrastrutturale che nelle opportunità di formazione e professionalizzazione.
L’università non è una spesa, ma è un investimento a lungo termine.
La proposta che avanziamo è di scommettere in maniera forte e decisa su progetti come U-Link, ad oggi
uno dei pochi programmi di rilancio di cui disponiamo; attrarre in Basilicata aziende di caratura
internazionale è di vitale importanza ed è anche l’unico modo per rendere il nostro Ateneo all’avanguardia
nel campo della ricerca, inoltre ci garantirebbe quel collegamento con il mondo del lavoro spesso citato ma
mai realmente messo in atto.
Siamo ancora troppo lontani dal definire Potenza e Matera città universitarie, ma non ci arrendiamo all’idea
che lo possano diventare ed è per tale ragione che lanciamo un appello anche alla nuova amministrazione
comunale Potentina. Ci auguriamo che vengano ripresi seriamente e con cognizione di causa i lavori avviati
con l’Accordo unitown. Dopo quattro anni di silenzio assordante e di totale disinteresse per la comunità
universitaria, ci lasciamo alle spalle un anno in cui si è solo tentato di portare avanti una linea di lavori
all’interno del comitato stesso, ma ad oggi, come Consiglio Studenti, possiamo amaramente affermare che
non se n’è concluso nulla.
Ebbene sì, ho parlato dei trasporti urbani a Potenza… un problema che non è affatto da trascurare!
Autobus in precarie condizioni e linee che non garantiscono un servizio funzionale sono cause di disagio
quotidiano e sempre più allarmante nonché, ovviamente, ulteriore fattore che contribuisce a rendere poco
attrattiva la nostra università. Altra nota dolente è la situazione riguardante la possibilità di garantire un
alloggio agli studenti che ne necessitano. A Potenza il progetto, un tempo nuovo, della casa dello Studente
ad oggi è lontano dal partire e rischia di diventare l’ennesima occasione persa per la garanzia di un diritto
alla comunità studentesca e per il rilancio della città in chiave universitaria.
Spostando poi l’attenzione sul versante materano, è doveroso fare alcune considerazioni. L’importanza
culturale ed economica della città dei Sassi ( riconosciuta anche dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca Lorenzo Fioramonti in occasione dell’inaugurazione del nuovo campus), non riflette i suoi
effetti positivi sull’università. Matera infatti risulta attrattiva, ma prevalentemente da un punto di vista
turistico. Allora sfruttando l’onda di Matera 2019, come possiamo rilanciare anche il nostro Ateneo agli
occhi dei giovani del mezzogiorno?
Ciò che manca e si aggiunge ad una serie di disservizi è sicuramente un efficiente collegamento
infrastrutturale in primis tra i due capoluoghi di regione e in secundis tra Matera ed il resto del contesto
extraregionale. Disponiamo di un’unica linea Potenza-Matera definita ‘’linea universitaria’’ che ferma a
circa 1,5 km dal Campus della Città dei Sassi! Per non parlare degli innumerevoli ritardi che presenta
giornalmente, non permettendo agli studenti pendolari di presentarsi in maniera puntuale alle lezioni. Se
non disponiamo di un collegamento ad alta frequenza ed efficiente tra i due capoluoghi, come possiamo
mai pensare di puntare ad uno standard qualitativo sufficientemente elevato da attrarre nuovi iscritti?
Non finiscono qui le problematiche… ad oggi, presso il nuovissimo Campus di Matera, non esiste ancora
una casa dello Studente e, per via della nuova proroga, sicuramente non ci sarà almeno fino a Dicembre
2020!
Matera 2019 sarebbe dovuto essere un punto di partenza e non un punto di arrivo, tuttavia ha causato uno
spropositato aumento dei prezzi degli affitti e non riusciamo a garantire un alloggio per gli studenti in
difficoltà. L’ARDSU, ente preposto alla garanzia di questi servizi, deve essere anch’esso potenziato: ci
sembra infatti necessaria l’istituzione di uno sportello stabile sul polo Materano.
Bisogna investire oggi per il futuro, investire sul diritto allo studio, ampliare i corsi di studio, migliorare le
infrastrutture, garantire i premi di laurea e i rimborsi per i programmi di mobilità internazionale. Questi
sono i punti da cui ripartire se vogliamo crescere e scrollarci di dosso l’etichetta di piccolo Ateneo di serie B.
Una ripartenza che non potrà essere effettuata se non riusciamo a garantire determinati servizi essenziali.
D’altro canto, ci rendiamo perfettamente conto di quanto siano stati penalizzanti il costo standard ed i tagli
che hanno diminuito drasticamente l’FFO destinato alla nostra università negli ultimi anni. E’ normale che
uno scompenso economico vada accompagnato sempre da un compenso e, spesso, ciò avviene con
l’incremento della tassazione per gli studenti, incremento evitato grazie alla mediazione avvenuta nel corso
di questi anni tra la rappresentanza e l’amministrazione. Una conseguenza logica che, nel contesto Unibas,
andrebbe, tuttavia, ad aggravare la situazione, considerando che quasi il 40% degli immatricolati rientra
nella no tax area! L’istruzione è un diritto inalienabile, lo sancisce anche il 4 Goal dell’Agenda 2030:
garantire a tutti un’istruzione di qualità. Occorre continuare in questa direzione tutelando l’accessibilità al
sistema universitario.
Ci appelliamo, allora, alle autorità locali e nazionali: necessitiamo di ulteriori investimenti; i ritardi o
l’insufficienza dei trasferimenti dei fondi regionali a valle degli Accordi Programmatici Triennali
rappresentano un grosso problema per la comunità universitaria tutta.
Consci di quanto sia lodevole l’ingente ed importante finanziamento di 15 borse di dottorato innovative con
specializzazione in tecnologie abilitanti in Industria 4.0 di durata triennale e di 26 borse di studio destinate
agli specializzandi della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, a partire dall’anno accademico 2019-
20, tuttavia, per nostra esperienza diretta, possiamo affermare che occorre incentivare ulteriormente la
ricerca e soprattutto la formazione post lauream. occorre creare un vero e proprio ponte di collegamento
tra università e mondo del lavoro e rendere la Basilicata la regione capofila del Meridione. Il Rapporto
ANVUR per l’accreditamento Periodico delle Sedi e dei Corsi di Studio recita : ”L’Ateneo della Basilicata,
nato dopo il terremoto del 1980 con l’obiettivo di aiutare il rilancio e lo sviluppo della Regione, è un Ateneo
con caratteristiche peculiari nel panorama nazionale: unico Ateneo in una regione in via di sviluppo (ex
obiettivo 1). L’Ateneo ha un ruolo strategico di presidio culturale nel territorio regionale, con riflessi sia
sullo sviluppo sia sulla coesione sociale, tanto da portare la Regione Basilicata a varare nel 2009 una legge
regionale per il sostegno all’Università. Oggi la Basilicata cresce più delle altre regioni del Sud (SVIMEZ e
Banca d’Italia) e questo può essere anche attribuito alle attività portate avanti dall’Ateneo.’’
Per sviluppare ulteriormente il ruolo strategico che sia SVIMEZ che ANVUR ci attribuiscono non possiamo
prescindere dal potenziamento del settore dell’internazionalizzazione, i dati parlano chiaro “Il 72% degli ex
studenti Erasmus+ afferma di aver trovato impiego anche grazie all’esperienza di studio oltreconfine”.
Unibas registra un netto incremento degli studenti outgoing (circa 200 quest’anno) a testimonianza
dell’importanza che i programmi Erasmus+ e Betforjobs rivestono per i nostri studenti.
Per concludere, ci tengo a ringraziare tutte le mie colleghe ed i miei colleghi senza i quali non avrei potuto
essere qui a parlarvi, in particolar modo a tutti coloro che fanno parte della rappresentanza studentesca e
che si impegnano giorno dopo giorno per contribuire alla crescita e allo sviluppo della nostra Unibas come
luogo di confronto e di crescita, un giardino fertile dove diventare uomini e donne consapevoli, auspicando
di vederla, in futuro, al pari delle attuali grandi università. Non smettiamo di lottare e sognare.
Il saluto di Liliana Segre
Cara Rettrice, professoressa Aurelia Sole,
autorevoli membri del Corpo Docente, ma soprattutto care ragazze e cari
ragazzi,
con vero piacere saluto l’inaugurazione del XXXVII anno accademico
dell’Università di Basilicata.
Quando lo scorso anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi
fece l’onore di conferirmi la carica di Senatrice a vita, superata la sorpresa, chiesi
subito di essere collocata presso la Commissione Cultura del Senato. Ho avuto
infatti sempre chiaro che memoria e cultura debbono andare insieme. La mia stessa
testimonianza degli orrori della Shoah non andrebbe davvero ad effetto se non
incontrasse un’opinione pubblica quanto più possibile formata e informata,
recettiva e attenta.
Di qui il mio impegno in Commissione per il ripristino di un esplicito tema di
storia all’esame di maturità. Il nuovo Ministro dell’istruzione, università e ricerca
ha mostrato disponibilità, lo considero un segnale importante, che spero significhi
però anche una svolta nelle politiche nazionali per la scuola e l’Università.
Vorrei concludere questo saluto con un richiamo del Professor Salvatore
Settis, che di recente abbiamo audito sempre in Commissione Cultura del Senato.
Riprendendo le parole di Piero Calamandrei il professor Settis ha ricordato a tutti
noi come scuola e università costituiscano a pieno titolo “un organo
‘costituzionale’”, insieme a musei, istituti e centri di ricerca. Una delle colonne
della nostra democrazia costituzionale. Perché la cultura è ricchezza. Da
valorizzare. Ma da valorizzare prima di tutto come ricchezza personale e morale,
formazione di uomini e donne migliori, cittadini più consapevoli e democratici.
Ricchezza poi anche per la Nazione, per la sua economia, per la sua immagine nel
mondo. Particolarmente per le regioni del Sud che tutto hanno da guadagnare dalla
qualità della cultura e della formazione dei cittadini, dei giovani, dei lavoratori,
della classe dirigente.
Un cordiale saluto a voi tutti e i migliori auguri di buon lavoro e buono studio,
Intervento di Prof. dr. Flora Carrijn, President of UNeECC (The University Network of European Capitals of Culture), Provost KU Leuven e Managing director Flanders Business School
Onorevole Rettrice, membri del Senato Accademico e del Consiglio di Direzione,
Onorevole Ministro della Sanità,
Onorevole Presidente della Regione Basilicata,
Cari colleghi e studenti,
Cari ospiti,
In qualità di Presidente dell’ UNeECC (University Network of European Capitals of
Culture), è per me un privilegio essere stata invitata ad indirizzare questo discorso alla
comunità accademica dell’Università della Basilicata ed ai suoi illustri ospiti in occasione
dell’inaugurazione dell’ Anno Accademico.
Per un’università questa cerimonia rappresenta sempre un’occasione per ribadire la
propria missione accademica e le proprie responsabilità nei confronti degli studenti, del
mondo scientifico e della società, cioè per quanto attiene formazione, ricerca e
divulgazione, il triplice dovere di un’università. Questa cerimonia è anche
un’affermazione festosa dell’impegno dell’intera comunità accademica a dispiegare tutte
le proprie risorse—individuali e collettive, intellettuali, tecnologiche e pedagogiche—per
continuare a creare opportunità per le generazioni future e gettare solide basi per
assicurare a tutti un futuro sostenibile, fiorente e culturalmente ricco.
E’ un momento commemorativo che assume particolare importanza per un’istituzione
relativamente giovane come l’Università della Basilicata che è stata fondata dopo il
terremoto del 1980. Quella catastrofe ha avuto un costo elevatissimo in termini di vite
umane e danni alle infrastrutture ed ha sconvolto il normale andamento della vita
normale e dell’attività economica. E tutto ciò è accaduto in una regione che aveva già
bisogno di sostegno per il suo sviluppo sociale ed economico.
La decisione presa dal governo di fondare un’università in Basilicata come incubatrice di
cervelli e quindi motore dell’attività economica della regione è stata una scelta giusta. È
stato dimostrato che gli investimenti sulla ricerca e l’istruzione superiore, cioè sulle
università, hanno per l’economia e la società un rendimento superiore a qualunque altra
forma di introito. Le università hanno sempre avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della
vita intellettuale degli individui e della società. Il fatto stesso che le università ruotino
intorno a ricerca e formazione, che si interroghino con duttilità sulla loro missione, sul
contributo che possono dare a cultura, economia e benessere, illustra il ruolo sociale
delle università come parte integrante della responsabilità di un paese. Nella primavera
del 2009, i ministri dell’Università dei paesi dell’Unione Europea hanno incontrato a
Leuven il gruppo di follow-up del processo di Bologna e sottolineato che l’istruzione
superiore favorisce l’innovazione e la creatività che sono necessarie per ricerca e
sviluppo e che la cultura è uno dei fondamenti della democrazia.
La ricerca è finalizzata all’arricchimento e alla salvaguardia della conoscenza, alla
raccolta critica di nuove idee e all’introduzione creativa dell’innovazione. Quindi la ricerca
è il vero motore dell’evoluzione intellettuale della società, e va ad accrescere ciò che noi
descriviamo come cultura. Un aspetto fondamentale della forma mentis di un ricercatore
universitario deve essere quello di allargare e superare i confini di quanto è già noto, ma
la ricerca può anche portare alla valorizzazione economica attraverso brevetti, spin-offs,
o collaborazioni con il mondo dell’industria che abbiano un impatto sulle opportunità di
lavoro, il reddito pro capite, la qualità della vita e il PIL.
La formazione universitaria mira alla disseminazione di quanto finora esplorato e
acquisito e a nuove scoperte, e alla loro valutazione critica in una prospettiva sociale. È
pertanto nodale nel favorire l’evoluzione intellettuale degli individui e nel motivarli ad
offrire un personale contributo all società e alla cultura.
In sintesi, da un lato le università sono templi universali del sapere, dall’altro sono parchi
ricreativi per viaggi di esplorazione scientifica, ma sono anche custodi di valori culturali.
Nel creare, custodire, comunicare o disseminare il sapere, le università hanno un ruolo
determinante per l’evoluzione intellettuale degli individui ed il contributo che essi
possono dare alla civiltà. Attraverso attività di ricerca, formazione e divulgazione, le
università producono innovazione economica e benefici sociali e quindi contribuiscono a
formare la società e a salvaguardare la cultura. L’università è un ambiente ideale dove le
menti aperte possono continuare a produrre crescita intellettuale e culturale, dove la
collaborazione interdisciplinare e la creatività possono portare all’innovazione, dove la
cultura nella sua interezza è preservata e difesa. Ed è per questo motivo che nei paesi
democratici le autorità hanno il dovere di finanziare la ricerca e la formazione
universitaria.
Molte università europee fondate nel tardo Medio Evo nacquero dall’evoluzione
dell’insegnamento impartito nelle scuole delle chiese cattedrali e dei monasteri o furono
fondate con bolla papale (come la mia università KU Leuven nel 1425, la prima nei Paesi
Bassi) e la formazione nelle ‘septem artes liberales’ aveva come obiettivo principale
quello di offrire uno ‘studium generale’ mirato alla crescita intellettuale dell’individuo e al
consolidamento delle gerarchie sociali esistenti. La riflessione critica si fece strada
durante il Rinascimento preparando il terreno per Razionalismo ed Empirismo. Tuttavia,
l’università moderna, dove il sapere viene acquisito attraverso l’interazione e lo scambio
di idee, dove la libertà accademica e l’autonomia istituzionale sono una strutturale
conditio sine qua non, risale solo al XIX secolo. Attualmente, le università tendono a
presentarsi come istituti di ricerca/imprese, in cui la valorizzazione economica si concilia
con la ricerca libera e con la libertà accademica nel contesto dell’innovazione. Lo sforzo
accademico verso l’eccellenza si accompagna alla dinamica dell’interdisciplinarietà.
L’Università della Basilicata deve essere stata concepita come un’università di questo
tipo sin dall’inizio per soddisfare i bisogni intellettuali della regione in modo più diretto.
La Scuola di Ingegneria e la Scuola di Scienze Agrarie Forestali Alimentari e Ambientali
sono come bozzoli in cui gli studenti della regione si (tras)formano a livello accademico
in quei campi che maggiormente contribuiscono a rinvigorire l’agricoltura e l’industria.
Queste Scuole sono supportate e integrate dai Dipartimenti di Matematica, Informatica
ed Economia e dal Dipartimento di Scienze. Anche le Scuole di Dottorato sono incentrate
sull’innovazione e la sostenibilità (ad esempio Biologia applicata e tutela dell’ambiente,
Ingegneria per lo sviluppo innovativo) e sostenibile.
Il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo, dell’Ambiente e Patrimonio
Culturale e il Dipartimento di Scienze Umane completano le discipline offerte dagli altri
dipartimenti. “La ricerca culturale, come forma complessa di umanizzazione, permea
tutte le cose, dagli individui alle comunità, dalla natura alla tecnologia, dale strutture
sociali alle istituzioni, con l’obiettivo di renderle più umane; cioè più appropriate alla
dignità e alla libertà dell’umanità” (Papa Giovanni Paolo II, 1991, discorso tenuto
all’Unibas) – o nelle parole dei ministri europei dell’Univeristà in occasione dell’incontro
tenutosi a Leuven nel 2009; “ la cultura è uno dei fondamenti della democrazia”.
La genesi dell’Unibas come seme per la crescita e la prosperità della regione ha portato
al consolidamento di una competenza accademica con un alto potenziale sinergico nei
vari dipartimenti. Inoltre, sin dall’inizio, l’istituzione dell’ateneo deve aver favorito la
collaborazione con le autorità locali. Pertanto, l’università è stato un partner
assolutamente cruciale nella preparazione, organizzazione e probabilmente anche nel
follow-up di Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
Ed è in tale contesto che l’Unibas ha proposto alla University Network of European
Capitals di ospitare a Matera per il 2019 il Convegno Annuale dell’UNeECC che si è tenuto
negli ultimi due giorni. Il tema generale del convegno di quest’anno è stato ispirato da
tematiche di interesse locale: “Cultural Resilience: physical artifacts, tangible attributes,
natural risks”. In linea con la tradizione dell’UNeECC, studiosi provenienti da diverse
università europee hanno presentato i risultati delle loro ricerche e discusso diversi
approcci metodologici in relazione all’impatto di grandi eventi come ECoC (European City
of Culture) su città, territori e comunità coinvolti:
prendendo in considerazione cultura e natura, individuo e gruppo, patrimonio
tangibile e intangibile;
considerando aspetti culturali, economici e ambientali;
esplorando consapevolezza culturale e accessibilità con particolare riguardo a
comunità periferiche e realtà territoriali fragili.
In breve, l’obiettivo è stato quello di mirare a una ‘qualità della vita’ per tutti con risultati
inclusivi, giusti e sostenibili.
Vorremmo dunque esrimere la nostra gratitudine all’Università della Basilicata, alla
Rettrice e al comitato organizzatore, in particolare a Maria Mininni e Francecso Scorza,
per aver ospitato il nostro Convegno Annuale.
Signore e Signori,
La Basilicata, un tempo solo il ‘collo del piede’ dello stivale italiano, fra la punta della
Calabria e il tacco della Puglia, la terra dimenticata attraversata solo quando si viaggiava
dal Mar Tirreno a Salerno verso il Mare Adriatico a Bari o il Mar Ionio a Taranto, sta
diventando una regione attrattiva per l’industria, la Fiat ne è un esempio. Ma anche per il
turismo, nel cui ambito la regione coniuga la salvaguardia del proprio patrimonio
culturale e architettonico (basti pensare alle meravigliose chiese rupestri nei Sassi di
Matera, alla cattedrale e al ponte Musumeci a Potenza) con le manifestazioni artistiche e
culturali innovative della Capitale Europea della Cultura. Il New York Times giustamente
la definisce “il segreto dell’Italia meglio custodito”.
La resilienza consolidata da secoli di repressione e ribellione, e di dominazioni (greca,
romana, saracena, normanna, spagnola, francese, etc.) con le insurrezioni che le hanno
accompagnate, ha certamente reso la popolazione locale più forte nel superare le
calamità e le avversità del passato e nel lavorare con impegno per il futuro. Ma il
successo della rinascita di questa regione è dovuto anche, in misura ragguardevole, alla
presenza di accademici qualificati – ingegneri, scienziati, archeologi etc – che si formano
all’Università della Basilicata. Grazie ai campus di Potenza e della Basilicata c’è stata
un’inversione di tendenza che ha consentito alle nuove generazioni di investire le
competenze acquisite in modo creativo, dinamico e imprenditoriale per il bene della
comunità.
A nome del Consiglio direttivo dell’ UNeECC auguro a tutta la comunità dell’UNIBAS di
continuare a perseguire con successo i propri obiettivi, in un clima piacevole e gobibile
dal punto di vista intellettuale:
Rettrice, che l’università possa rimanere un porto del pensiero critico in cui ‘menti
aperte’ possano contribuire alla crescita culturale e intellettuale della società, un
porto in cui la collaborazione tra vari ambiti disciplinari e la creatività possa
portare all’innovazione, un porto in cui la cultura nella sua interezza sia
preservata e difesa;
Colleghi, vi auguro successo accademico e appagamento intellettuale
nell’adempimento delle vostre responsabilità, vi auguro che la vostra attività di
ricerca e didattica continui ad essere fonte di ispirazione per i vostri studenti;
Cari studenti, vi auguro di cogliere a pieno le opportunità formative e di affrontare
le sfide intellettuali che l’Unibas vi offre.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Università, assessore regionale Rosa: sia un riferimento per il sistema economico
L’assessore all’Ambiente ha portato all’inaugurazione dell’anno accademico il saluto di Bardi: “Il compito di chi amministra, è quello di creare le condizioni perché le vostre aspettative e i vostri sogni diventino realizzabili, qui in Basilicata”
“L’Università degli Studi della Basilicata ha tutti i requisiti per diventare veicolo di una rinnovata coscienza sociale e per contribuire alla ripartenza dell’economia del nostro territorio. E allora, ecco il passo avanti che dobbiamo fare insieme, Università e istituzione regionale: dare ai giovani lucani un motivo per laurearsi in Basilicata e rimanere a lavorare in Basilicata. Posso dire sin da ora che questo Governo regionale è impegnato sui tavoli nazionali per chiedere criteri più equi nella distribuzione del Fondo di finanziamento ordinario che consentano il consolidamento delle realtà universitarie, specialmente di quelle di piccole dimensioni, dove piccolo, proprio perché si parla di conoscenza e cultura, e non di mercati e di economie di scala, non è sintomo di pessima qualità ma, al contrario, è indice di maggiore attenzione e cura verso l’insegnamento e verso gli studenti”.
Lo ha detto l’assessore all’Ambiente ed Energia della Regione Basilicata Gianni Rosa, che è intervenuto oggi a Potenza alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università degli studi della Basilicata.
Rosa si è rivolto innanzitutto agli studenti, ai quali ha portato il saluto del presidente della Regione Vito Bardi, assente per impegni concomitanti. “Sono tempi di grandi trasformazioni – è il messaggio di Bardi -, che vedono voi giovani al centro di grandi mutamenti. Il nostro compito, il compito di chi amministra, è quello di creare le condizioni perché le vostre aspettative e i vostri sogni diventino realizzabili. E diventino realizzabili, qui in Basilicata”.
“Il periodo universitario è proprio quello in cui i sogni iniziano a prendere forma – gli ha fatto eco Rosa -. L’Università è il luogo in cui il pensiero può nutrirsi e svilupparsi liberamente, dove l’individuo esercita il suo pensiero critico e getta le basi per la realizzazione del suo futuro. Ma è di più. È il luogo dove dalla dimensione del singolo, luogo della conoscenza, si passa alla dimensione collettiva, luogo che contribuisce allo sviluppo della società. Del resto, l’Università come la conosciamo oggi è l’evoluzione della conoscenza ‘particolare’ fornita a pochi, che è divenuta conoscenza diffusa, aperta ad una ‘università’ di studenti. Ed è ripartendo dalla dimensione collettiva che dobbiamo riscoprire la centralità dell’Università nella società come risorsa strategica fondamentale del Paese e della Regione”.
“La concertazione tra Regione e Università – ha aggiunto Rosa – deve essere la sintesi di una visione della Basilicata che vogliamo per i nostri giovani. È la ‘terza missione’ dell’Università, accanto a quelle classiche di ricerca e didattica. È questo che chiediamo al nostro Ateneo di implementare: la valorizzazione delle competenze, delle professionalità lucane, dei risultati della ricerca e dell’innovazione. Siamo consapevoli che non è una cosa nuova per la nostra Università che, anzi, si è contraddistinta in questi anni per numerose azioni realizzate. Tuttavia, nei prossimi anni, questo Governo regionale ha intenzione di supportare maggiormente l’Università della Basilicata affinché diventi un reale punto di riferimento per il sistema economico regionale nelle strategie di innovazione. È un processo lungo, lo sappiamo. Ma è un processo indispensabile per rigenerare la nostra Terra e dare slancio al nostro Ateneo. I nostri giovani meritano di più, meritano un futuro in Basilicata e noi tutti, Università ed istituzioni dobbiamo impegnarci per poterglielo assicurare”.
Inaugurazione anno accademico 2019-2020 dell’Unibas, intervento Presidente del Consiglio Cicala: “Istituzioni e Università insieme per la crescita della regione”.
“Le istituzioni universitarie sono considerate da sempre importanti motori di crescita all’interno della società. Lo è l’università degli studi della Basilicata che, sin dall’anno della sua istituzione, con impegno e passione si è aperta al territorio, divenendo culla culturale, luogo di incontro e confronto. Un ateneo che tanto ha dato alla regione in termini di trasmissione dei saperi ma che tanto può dare anche in termini di sviluppo economico”. Così il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Carmine Cicala, a margine della cerimonia di inaugurazione del 37° anno accademico dell’Unibas.
“L’auspicio per la Basilicata e, quindi, per i giovani che scelgono di formarsi all’interno dell’Unibas – ha sottolineato Cicala – è che qui si continui a dare, come si è colto nelle parole della rettrice dell’Università degli studi della Basilicata, Aurelia Sole, quella fondamentale cura alla cultura e allo sviluppo del pensiero critico, così da rendere gli studenti non solo fruitori di conoscenza ma costruttori pronti ad accogliere il sapere e poi elaborarlo per farne ricchezza”.
“E’ importante investire in progetti che possano produrre sinergie – ha affermato il Presidente del Consiglio regionale – al fine di costruire nuovi orizzonti a beneficio dei giovani. Insieme, Istituzioni e Università, quale connubio strategico per un nuovo e fiducioso sguardo al futuro, così come ci è stato chiesto dal presidente del Consiglio degli studenti, Giuseppe Cerone. Cogliamo il suo invito, portando tutti il giusto contributo per far sì che i giovani che qui si formano possano scegliere di rimanere per contribuire allo sviluppo culturale, economico e infrastrutturale della Basilicata”.
Erano presenti alla cerimonia i consiglieri regionali Sileo, Bellettieri, Pittella e Trerotola, e l’assessore all’ambiente e all’energia, Rosa.