Riportiamo di seguito una recensione del libro “Via Fiume Foggia una storia dimenticata” di Donato De Michele. E’ l’affresco di un’Italia che scompare, di una dimensione di rapporti umani e sociali dimenticati, racchiusi nel racconto di un medico che apre il diario dei ricordi della sua infanzia e dipinge una galleria di personaggi unici ma universali. De Michele, è nato a Foggia dove ha vissuto fino alla laurea e si è trasferito a Matera dove ha esercitato la sua professione per 40 anni.
L’affresco di un’Italia che scompare, di comunità che si disintegrano, di rapporti umani e sociali che sbiadiscono racchiusi nel racconto di un medico in pensione che apre il diario dei ricordi della sua infanzia e dipinge una galleria di personaggi unici ma universali.
“Via Fiume, Foggia (una storia dimenticata)” è il titolo del libro di Donato De Michele edito da Vertigo.
E’ la storia della vita nella periferia di una città del Sud che, negli anni ’50, rinasce dopo la guerra ma che vive il boom economico da molto lontano. Nato a Foggia, dove ha vissuto fino alla laurea, De Michele, cardiologo e dietologo, ha sposato una materana, la professoressa di Lettere Rosanna Del Giudice, e si è stabilito a Matera dove per 40 anni ha svolto la sua professione come medico di base, stando vicino alla gente e mostrando un’umanità fuori dal comune.
Non ha mai dimenticato i luoghi della sua infanzia, e le persone che l’hanno popolata. Non ha dimenticato la sua prima casa, in un palazzo ex Incis, danneggiato dai bombardamenti e diventata la dimora di famiglie sfollate che ritornavano in città dopo la fine della guerra.
E’ lì che si consuma la tragedia che viene raccontata nel libro: un bambino cade nella tromba delle scale prive di protezione e muore. La disperazione, il pianto e il lutto di una comunità restano impressi nella sua memoria. Poteva essere lui, quel bambino. Un pensiero che l’accompagna per molti anni e che riaffiora quando si trova, dopo la pensione, quasi senza volerlo di fronte allo specchio della sua vita passata.
Il racconto è minuzioso, pieno di particolari, e fa emergere lo spaccato di una vita che è simile a quella di tanti ragazzi della sua generazione. Uomini e donne nati dopo la guerra, che hanno attraversato la seconda parte del Novecento e che osservano il nuovo secolo provando nostalgia di un passato fatto di rapporti umani, di affetti reali.
Parla dei suoi genitori, dei suoi zii, dei suoi amici, dei giochi fatti in strada evocando nel lettore i propri ricordi. Peppino, Titina, zia Rosina, nonna Angiolina, lo zio sottufficiale di marina, Cochis, il bullo del quartiere, e la sua banda di scapestrati: personaggi e vite normali
di un mondo che non c’è più ma che continua ad essere presente nella memoria di coloro che l’hanno vissuto. Sono storie familiari ma comuni ed è questo che le fa diventare interessanti e coinvolgenti. Ognuno ritrova in questo libro un po’ di se stesso, di un nonno, di uno zio, di un amico, ripercorre un pezzo della propria vita e, quando gira l’ultima pagina del libro, prova sentimenti forti, di nostalgia. Non per i tempi andati ma per quella semplicità e quella straordinaria ordinarietà di esistenze che non avevano bisogno di proclamarsi per essere bellissime. Uomini e donne che non avevano bisogno di sforzarsi di apparire reali, di dover per forza commentare, sui social, fatti a loro incomprensibili. Vivevano nel mondo, nella famiglia, nella comunità e imparavano a conoscerli. Donne e uomini veri, come i fatti che De Michele racconta.
L’affresco di un’Italia che scompare, di comunità che si disintegrano, di rapporti umani e sociali che sbiadiscono racchiusi nel racconto di un medico in pensione che apre il diario dei ricordi della sua infanzia e dipinge una galleria di personaggi unici ma universali.
“Via Fiume, Foggia (una storia dimenticata)” è il titolo del libro di Donato De Michele edito da Vertigo.
E’ la storia della vita nella periferia di una città del Sud che, negli anni ’50, rinasce dopo la guerra ma che vive il boom economico da molto lontano. Nato a Foggia, dove ha vissuto fino alla laurea, De Michele, cardiologo e dietologo, ha sposato una materana, la professoressa di Lettere Rosanna Del Giudice, e si è stabilito a Matera dove per 40 anni ha svolto la sua professione come medico di base, stando vicino alla gente e mostrando un’umanità fuori dal comune.
Non ha mai dimenticato i luoghi della sua infanzia, e le persone che l’hanno popolata. Non ha dimenticato la sua prima casa, in un palazzo ex Incis, danneggiato dai bombardamenti e diventata la dimora di famiglie sfollate che ritornavano in città dopo la fine della guerra.
E’ lì che si consuma la tragedia che viene raccontata nel libro: un bambino cade nella tromba delle scale prive di protezione e muore. La disperazione, il pianto e il lutto di una comunità restano impressi nella sua memoria. Poteva essere lui, quel bambino. Un pensiero che l’accompagna per molti anni e che riaffiora quando si trova, dopo la pensione, quasi senza volerlo di fronte allo specchio della sua vita passata.
Il racconto è minuzioso, pieno di particolari, e fa emergere lo spaccato di una vita che è simile a quella di tanti ragazzi della sua generazione. Uomini e donne nati dopo la guerra, che hanno attraversato la seconda parte del Novecento e che osservano il nuovo secolo provando nostalgia di un passato fatto di rapporti umani, di affetti reali.
Parla dei suoi genitori, dei suoi zii, dei suoi amici, dei giochi fatti in strada evocando nel lettore i propri ricordi. Peppino, Titina, zia Rosina, nonna Angiolina, lo zio sottufficiale di marina, Cochis, il bullo del quartiere, e la sua banda di scapestrati: personaggi e vite normali
di un mondo che non c’è più ma che continua ad essere presente nella memoria di coloro che l’hanno vissuto. Sono storie familiari ma comuni ed è questo che le fa diventare interessanti e coinvolgenti. Ognuno ritrova in questo libro un po’ di se stesso, di un nonno, di uno zio, di un amico, ripercorre un pezzo della propria vita e, quando gira l’ultima pagina del libro, prova sentimenti forti, di nostalgia. Non per i tempi andati ma per quella semplicità e quella straordinaria ordinarietà di esistenze che non avevano bisogno di proclamarsi per essere bellissime. Uomini e donne che non avevano bisogno di sforzarsi di apparire reali, di dover per forza commentare, sui social, fatti a loro incomprensibili. Vivevano nel mondo, nella famiglia, nella comunità e imparavano a conoscerli. Donne e uomini veri, come i fatti che De Michele racconta.