Franco Mattia, dirigente in pensione del Corpo forestale dello Stato, in una nota esprime alcune riflessioni a seguito delle ultime alluvioni che hanno colpito il territorio nazionale. Di seguito la nota integrale.
Alluvioni: una catastrofe annunciata. Analisi e proposte.
La montagna non si protegge con un decreto o con una dichiarazione dello stato di calamità ma con un progetto di grande ispirazione e di grande solidarietà. Richiamando alla memoria, dopo gli eventi alluvionali dei giorni scorsi, le sciagure analoghe che hanno arrecato laceranti perdite alle popolazioni indifese e ingenti danni all’economia del Paese, si rimane increduli – dopo aver ascoltato le diverse opinioni sulla cattiva gestione delle infrastrutture e sulla mancanza di manutenzione del territorio – rispetto ad un cliche’ antico omologato ad affermare la cultura dell’emergenza su quella dell’ordinarietà: lo Stato interviene con gli strumenti di Difesa civile, con il volontariato, con le Forze armate e con stanziamenti straordinari. Poi tutto tace. Dopo ogni alluvione c’e’ l’alluvione delle parole a cui seguono altre alluvioni sul fronte indebolito e trascurato della difesa del suolo. I governatori delle regioni alluvionate sulla emotività dell’emergenza invocano piani straordinari per mettere in sicurezza i rispettivi territori dimenticando che gia’ in passato in altri eventi alluvionali hanno beneficiato di provvedimenti urgenti accompagnati da rilevanti risorse finanziarie che avrebbero dovuto mitigare il disordine idrogeologico, che invece si ripropone ad ogni alluvione in maniera piu’ grave, per la mancanza di un politica organica di difesa del suolo. Lo stato di calamità adottato in conseguenza di disastri antichi e recenti riproduce un modello ripetitivo che pur concepito con valutazioni differenziate obbedisce a istanze urbane e a logiche di potere. Mettiamo da una parte i costi dell’emergenza e dall’altra i costi degli aiuti alle zone montane per ridurre o scongiurare l’emergenza, ne consegue da questo calcolo che la scelta della manutenzione “obbligata” a carico dello Stato della montagna, che copre i due terzi del Paese , non e’ più differibile. Un concetto fondamentale deve entrare nella mente di tutti: e’ sulla montagna che ha sede la diga più alta contro le alluvioni, che e’ il bosco. Ma e’ un bosco che ha bisogno di cure, di “cantieri verdi” per rendere piu’ efficienti gli ecosistemi forestali.
La nuova filosofia poggia sulla solidarieta’ con i fiumi, ma anche tra gente di montagna e gente di citta’, gente di fiume e gente di mare. Ma abbiamo allontanato dai montanari e dalla montagna, per una scellerata scelta politica, maturata tra l’altro in un fallito processo riformatore, la piu’ prestigiosa istituzione, che era il Corpo Forestale dello Stato, posta al servizio del Paese per la custodia e la vigilanza dei boschi e del territorio. Le conoscenze scientifiche, giuridiche, economiche ed amministrative del Corpo Forestale dello Stato oggi avrebbero rinnovato e aggiornato il quadro degli interventi per il restauro ecologico ed idrogeologico del nostro territorio rimasto ovunque solcato dall’erosione continua e dall’impeto delle acque ormai non piu’ trattenute dal sistema di difesa del suolo che si configura nel mutato equilibrio e disordine idrogeologico dei bacini montani, quest’ultimi sconosciuti non alla scienza ma alla impostazione programmatica delle regioni essendo materia delegata agli enti territoriali.
L’”inferno” purtroppo e’ salito anche in cielo a causa del disordine terrestre. Con i cambiamenti climatici in atto, l’ecologismo dell’abbandono, in assenza di una seria e attenta politica di gestione del territorio, ha reso piu’ fragile e piu’ vulnerabile la tenuta del suolo e soprassuolo, rendendoli incapaci di assorbire eventi eccezionali senza subire profonde trasformazioni (gli abeti del “Cansiglio” abbattuti da una tempesta eolica ne sono la testimonianza).
Oggi e’ cambiato l’intero quadro di riferimento nei bacini montani, sono cambiati quasi ovunque i tempi di corrivazione e di conseguenza le portate di massima piena e le localizzazioni delle porzioni di scavo e di deposito degli alvei. come pure i profili di compensazione delle briglie realizzate lungo i piccoli bacini complementari a protezione delle infrastrutture. C’e’ da fare una ricognizione nuova e sistematica di ogni corso d’acqua inteso come ramo dell’intera chioma dell’“albero” che e’ il bacino fluviale.
Il progetto, almeno per la parte montana, deve essere nuovo ed elastico, con progressione graduale, costituito da nuovi interventi, ma anche da manutenzione delle opere esistenti. Con l’avvento delle regioni e con il trasferimento di molte competenze in materia idraulico – forestale agli enti territoriali, condizionati da un certa confusione di potere, dalla mancanza di una legge quadro e da una lenta acquisizione della cultura del territorio, l’attivita’ sistematoria dei bacini montani si e’ affievolita se non interrotta.
L’attuale quadro delle leggi regionali, nazionali e comunitarie sulla montagna disorienta anche gli esperti. e’ un atlante di norme confuse senza punti cardinali per l’orientamento. Lasciare le cose cosi come sono equivale a scegliere semplicemente l’alternativa dell’attesa dei disastri, ricorrendo allo stato di calamità naturale per ottenere qualche fondo straordinario della Protezione Civile e qualche sussidio per le famiglie delle vittime. Se vogliamo sconfiggere le alluvioni che si affrontano da lontano, nel tempo e su tutto il territorio, occorre procedere senza indugi a varare una legge piu’ organica di difesa del suolo, di sviluppo ecologico e forestale, che attivi programmi pluriennali di investimenti nel settore e che consenta un ritorno alla tradizionale (alternative non ve ne sono) e piu’ efficace impostazione delle attivita’ nelle sistemazioni idraulico forestali dei bacini montani.
E’ il momento del rilancio della centralità delle risorse umane e professionali. Occorre ricostruire il Corpo Forestale dello Stato incardinato nel Ministero dell’Ambiente (non piu’nel ministero dell’agricoltura essendo stato da un suo ministro cancellato) e nelle regioni che attivi: piani forestali di nuova concezione, di cultura europea o alpina per le regioni del nord; di cultura mediterranea per la montagna appenninica e per le regioni del Centro Sud, improntati all’occupazione e allo sviluppo dell’economia montana.Per una svolta nel territorio, nella vita civile e nella cultura, si faccia in modo che forestali e montanari ritornino nel cuore della montagna abbandonata, ripercorrano i sentieri della restaurazione ecologica e idrogeologica, diventino protagonisti audaci, illuminati, per il rinascimento montano. La natura è la risorsa più grande della montagna, la seconda grande risorsa è la gente, la “gente stanziale”. Occorre riportarla là dove era una volta per una prospettiva di lavoro e di crescita civile. Gli investimenti devono essere concepiti con lo sguardo rivolto al domani, al futuro, gli investimenti in ambiente devono essere a lungo termine e ad effetto continuo e crescente. L’emergenza non ha futuro, è erba che dura una stagione, non un albero che dura una vita.
Franco Mattia, dirigente in pensione del Corpo forestale dello Stato