Non è facile accostare lo sport ai flussi migratori. Quando parliamo di sport ,di calcio in particolare, l’attenzione posa su una attività dove l’impegno fisico e il tempo libero appaiono predominanti .Il migrante tradizionale ,in generale, si trova sprovvisto dei due requisiti fondamentali :il tempo libero e l’attività sportiva. Anche per questi motivi solitamente il riferimento allo spor si ricompatta con lo spettacolo e quindi il migrante viene visto come un fruitore, ma le cose non stanno sempre cosi, in particolare per quanto riguarda l’esperienza italiana del 900.
Lo sport all’inizio del 900 non era un fenomeno di massa .Era ristretto ad una élite economica e sociale. Elite soprattutto del nord europeo ,in particolare la nobiltà e i commercianti inglesi, che hanno diffuso lo sport in tutto il mondo. Il calcio è stato veicolato prima di tutto nei grandi porti e nelle grandi città .Dopo questa fase sono entrate in scena le parrocchie e le società di mutuo soccorso.
In questo scenario si colloca la storia della fondazione di importanti squadre dentro i grandi flussi migratori, anche dei lucani, dove la componente contadina e operaia era prevalente. Inizialmente non accedettero alle attività sportive riservate a nobili ed alla borghesia ma questa storia non durò molto. Lo dice anche la gloriosa storia della fondazione del Boca Junior a Buenos Aires.
In questi tempi dove prevalgono le passioni tristi, la fabbrica della paura e del falso è utile ricordare che ci sono voluti 105 anni per appurare che tra i pochi fondatori della squadra portegna ci fossero due fratelli Farenga di origine lucana e in particolare di Muro Lucano.
E’ curioso che in tanti anni nell’ambito della comunità in Argentina questa vicenda sia stata oscurata.
Dobbiamo allo Sportello Basilicata, in particolare alla gia Coordinatrice Yolanda Labollita, il disvelamento della vera storia della squadra dove giocava Maradona. Da questo momento in poi, lucani e genovesi potranno dichiarare ciascuno i propri meriti per aver fondato la squadra.
Vogliamo dire che, in ogni caso, la ricostruzione dei percorsi di vita e di lavoro delle comunità
Lucane in Argentina,e non solo, è fatta di storie, vicende, situazioni che sono emerse dall’oblio, ma questo vale per tutto il mondo, per arricchire la ricerca e la storia dell’emigrazione e l’apporto dato dagli italiani alle nazioni che li hanno accolti .Non per abbracciare
Il fascino del passato e la datata retorica attorno al ruolo di Ambasciatori che in assenza di rinnovate politiche servono a giustificare la mancanza di iniziative tese soprattutto a affrontare il ruolo delle nuove generazioni che guardano con interesse al nostro Paese.
Attualmente ci sono nel mondo oltre 120 milioni di persone che discendono anche dalle generazioni precedenti. Di questi oltre 1,2 milioni sono di origine lucana in considerazione del fatto che dal 1870 ad 2017 sono emigrati oltre 780.000 persone.
La ricerca del professore Angel Sabatella sulla emigrazione lucana in Argentina e sul ruolo dell’associazionismo, ha mostrato lo spessore e la natura delle esperienze maturate nel lungo periodo.
La decisione degli eredi Farenga, in particolare Juan Antonio,di donare i documenti ed i reperti connessi alla Fondazione del Boca Junior ora conservati presso Il Museo Regionale di Lagopesole Nino Calice che abbiamo istituito e realizzato con una legge regionale del 2010,rappresenta uno dei tanti momenti della più generale iniziativa per nutrire la memoria e raccontare la storia di uomini e donne che hanno deciso di cambiare la loro vita uscendo dalla penuria e dalla disoccupazione. Ricordare agli smemorati cosa e accaduto in circa 150 anni di emigrazione italiana aiuta anche capire cosa accade oggi al tempo dell’industria dell’odio contro migranti ed emarginati.