Riportiamo di seguito il messaggio di auguri per il Santo Natale 2019 di Monsignor Pino Caiazzo
Durante il tempo di Avvento, come Chiesa di Matera – Irsina, vi ho invitati ad accendere in chiesa e in casa quattro candele (una per ogni domenica) con un significato ben preciso. Spero che qualcuno l’abbia fatto. Ho suggerito un percorso attraverso quattro luoghi che Gesù ha visitato e che significano “casa”.
La venuta di Gesù nel mondo ha cambiato completamente la storia. Celebrare la sua nascita non è festeggiare un compleanno ma riconoscere Gesù nelle persone, a partire da quelle più vicine, senza escludere nessuno. Penso alle donne che, come la Madonna, hanno una gravidanza non attesa. Sicuramente molte, dopo i primi momenti di smarrimento, sono liete di accogliere la vita come dono di Dio.
Quanta infelicità, invece, nella decisione di porre fine ad una vita!
Quanta tristezza sapere che ci sono genitori che non trovano tempo da dedicarsi o da donare ai figli!
Altrettanta tristezza constatare che ci sono dei figli che non hanno tempo da dedicare ai loro anziani genitori, a volte parcheggiati in case di riposo, e lasciati nella loro solitudine.
Eppure Gesù è nato in un contesto familiare. Povero, ma ricco di affetto.
Oggi, forse, noi nasciamo ricchi ma poveri d’amore.
Non è possibile parlare d’amore ed escludere la gioia di accogliere una vita nuova. Il lavoro, le condizioni economiche, la mancanza di tempo possono essere una giustificazione?
Dio ha tanto tempo per noi, mentre noi non sempre abbiamo tempo per lui. Celebrare la nascita di Gesù diventa un’occasione ulteriore per riconciliarci tra di noi, con la Storia, con Dio che sempre più spesso, come dice l’evangelista, “non trova posto dove nascere”.
Celebrare il Natale, per noi cristiani, vuol dire capire che il pane della solidarietà si condivide sempre. Gesù nasce nella povertà per indicarci chi oggi è debole, bisognoso di essere amato e protetto, rispettato nella sua dignità di uomo.
Nel territorio della nostra diocesi, ci sono tanti luoghi di speranza dove la vita è accolta, servita, sostenuta, amata, respirata. Penso ai tanti senza tetto, agli immigrati, alle donne sole e maltrattate, che trovano un alloggio sicuro e un piatto caldo nelle comunità di Bernalda, Scanzano, Montalbano, nella mensa “Don Giovanni Mele”, nei centri di accoglienza “La Tenda”, “Don Tonino Bello” e di Maria SS. Della Bruna. Ma penso anche alle comunità di recupero di Salandra (Emmanuel), di S. Maria d’Irsi (Fratello Sole), della Casa dei Giovani e alla prossima apertura delle comunità di Serra Marina (Casa Betania) e di S. Antonio (Casa Anna Carla).
Quanto bene viene seminato dai centri che, sul territorio, si prendono cura dei diversamente abili e degli anziani!
Gesù continua a nascere là dove la vita viene accolta e coltivata con amore: qui c’è il vero presepe.
Viviamo il tempo delle grandi contraddizioni. C’è chi vuole eliminare nelle scuole qualsiasi riferimento al sacro, come il presepe o le recite sul Natale di Gesù, in nome del rispetto delle altre religioni. La cosa non mi meraviglia: fin dai tempi di Erode il Bambinello Gesù ha contrastato i potenti, lottando contro le ingiustizie per l’affermazione della Verità.
Ma ci sono anche i puritani, difensori di una fede personale, infastiditi se il presepe viene contestualizzato in una situazione di miseria, quale può essere la presenza di migranti o di degrado, non conforme ai dettami della nostra cultura occidentale. E’ l’ipocrisia di chi pensa di celebrare il Natale collocandolo all’inizio del cristianesimo senza volerlo calare nella storia attuale. E’ esattamente l’idea opposta di S. Francesco d’Assisi.
E perché Gesù non potrebbe nascere tra i capannoni della Ferrosud o di altre aziende o situazioni di sofferenza? Perché non potrebbe nascere nei luoghi frequentati dai giovani, spesso giudicati e mortificati a causa della mancanza di lavoro?
Gesù non potrebbe nascere nelle viscere nella nostra amata terra deturpata in nome di interessi di pochi rispetto alla realizzazione di un bene più grande che appartiene alla collettività?
Bisogna ripartire dalle nostre radici. Il senso dell’appartenenza alla propria famiglia ci riporta al forte senso di appartenenza al Vangelo e a Gesù. Non si può essere o vivere da cristiani senza conoscere e vivere con Gesù, il vero festeggiato: la sorgente dalla quale le radici attingono acqua.
Diciamocelo chiaramente: il rischio che stiamo correndo è che ogni nostra festa religiosa, quindi anche il Natale, tende a coltivare più l’esteriorità e il bello emozionale fatto di luci, musiche e feste varie, che non l’interiorità e la crescita spirituale, nutrita dall’ascolto della Parola, dalla partecipazione alla vita sacramentale, dalla preghiera e dall’impegno concreto nel sociale con attenzione verso gli ultimi.
Papa Francesco, nella lettera “Admirabile signum”, sul significato del Presepe, dice: “I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi” mentre il palazzo di Erode “è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe – afferma il Papa – Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza”.
Alla luce di queste considerazioni vogliamo sentirci più poveri e quindi bisognosi della luce di Dio che ci riporti ad essere realmente umani, aprendo i nostri cuori, affinché, come direbbe S. Agostino, diventino una culla per accogliere Dio che si fa uomo.
Auguro a tutti un S. Natale.
Vi abbraccio e benedico tutti.