Fabrizio Corona festeggia il nuovo anno in famiglia, lontano dal carcere, ma il suo pensiero va a chi sta in cella e al suo ex compagno. Nel fare gli auguri per un buon 2020, l’ex re dei paparazzi posta una serie di foto che ritraggono il carcere e la vita che si svolge al suo interno, facendo gli auguri ai detenuti.
“Auguri a tutti i Detenuti e a tutte le loro famiglie. Auguri al mio compagno di cella Christian Bonello.Forza!Sempre Forza”, scrive sulla sua pagina Instagram e tra gli hashtah mette San Vittore, ovvero il carcere in cui è stato detenuto per diversi mesi. Corona è da poco tornato in libertà e per ora le sue apparizioni pubbliche si sono limitate ai social, in cui però raramente mette la faccia.
Prima dell’ultimo arresto erano molte le dirette e le storie in cui parlava ai followers, adesso non lo fa quasi mai, mostra attimi di vita e chi parla, (per lui?) è spesso invece Carlos, il figlio avuto con Nina Moric, anche lei presente in alcune storie. Il carcere ha nuovamente segnato Fabrizio, che non nasconde la sua sofferenza e tra i commenti risponde a chi gli fa notare che chi si trova in carecere è comunque una persona che ha infranto la legge. Fabrizio parla di pene che dovrebbero essere rieducative, lasciando intendere che in realtà il carcere non è un posto adatto e parla anche di disumanità.
Di Giacomo (SPP): “Quanti altri Fabrizio Corona possono postare foto e scritte inneggianti all’innocenza dei detenuti in in cella?”
“Quanti altri Fabrizio Corona possono postare foto e scritte inneggianti all’innocenza dei detenuti in in cella?”. E’ la domanda di Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria che aggiunge: “sia chiaro: siamo i primi a condannare minacce ed insulti inviati a lui attraverso i social ma anche i primi a denunciare che non si può ignorare la condizione che vive il 12% dei detenuti con malattie psichiatriche accertate e che a differenza di lui restano in carcere. Lo vogliamo ricordare al Ministro alla Salute Speranza che in visita per Capodanno al carcere di Potenza ha detto che si impegnerà per migliorare l’assistenza sanitaria a tutti i detenuti e dovrebbe essere a conoscenza che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 99 del 19 aprile 2019 spazza via l’inspiegabile divergenza di cura tra le persone detenute che si trovano in stato di grave infermità fisica e quelle affette da gravi patologie psichiatriche. Se si estende la valutazione sullo stato di salute nelle carceri – dice Di Giacomo- il quadro è allarmante più di 42 mila detenuti italiani – il 70% degli oltre 60 mila totali – convivono con un disagio mentale (dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi). Problemi gravi che possono portare a conseguenze estreme come l’autolesionismo (circa 7 mila episodi in un anno) o il suicidio (46 casi sinora e 67 nel 2018, oltre un migliaio di 900 tentativi). Il carcere – come avvertono gli esperti della Società Italiana di Medicina e Salute Penitenziaria – diventa così un amplificatore dei disturbi mentali: l’isolamento insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un problema psichico, a volte latente. Il panorama delle malattie mentali nelle carceri italiane è molto variegato, con una prevalenza nettamente più alta rispetto a quella che si registra nella popolazione generale. Se fuori dal carcere, ad esempio, i disturbi psicotici si riscontrano nell’1% delle persone, dietro le sbarre la percentuale sale al 4%. Più alti sono anche i numeri della depressione: nei detenuti la prevalenza si attesta intorno al 10% contro il 2-4% della popolazione generale. Inoltre più della metà dei reclusi, il 65%, convive con un disturbo della personalità, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%).
Di Giacomo denuncia la chiusura troppo affrettata degli Ospedali psichiatrici giudiziari, senza che l’amministrazione penitenziaria si preoccupasse, in modo concreto, di trovare adeguata collocazione per tutte le migliaia di detenuti affetti da problematiche di natura psichiatrica, che oggi sono relegati in strutture carcerarie comuni, spesso anche prive del indispensabile sostegno e della presenza costante di uno specialista in psichiatria o psicologia.