Si è concluso nel pomeriggio nella Cattedrale di Matera, nel segno del dialogo ecumenico e con la partecipazione dell’intera comunità ecclesiale, il primo Sinodo della Diocesi di Matera-Irsina.
Preceduto da un anno di studio ed approfondimento dell’Evangelii gaudium di Papa Francesco e delle quattro Costituzioni conciliari: Sacrosanctum Concilium (sulla liturgia), Dei Verbum (sulla Parola di Dio), Lumen gentium (sulla Chiesa), Gaudium et spes (su la Chiesa nel mondo contemporaneo), il sinodo si è aperto il 12 gennaio 2019 ed ha fatto “camminare insieme” sacerdoti, religiosi e laici (oltre cento i delegati sinodali, in rappresentanza di tutte le comunità della diocesi) attraverso 15 sessioni di lavoro.
Nell’immagine biblica scelta per tracciarne il percorso ”Vino nuovo in otri nuovi“ l’arcivescovo Monsignor Pino Caiazzo ha indicato l’obiettivo da perseguire: un discernimento dei segni dei tempi per un rinnovato slancio missionario, fuori dagli schemi consueti del ”si è fatto sempre così”.
Il frutto di tale cammino non è appena un ”documento finale” da consegnare agli archivi della Diocesi: il testo è attualmente all’esame della Commissione teologica prima della valutazione ed approvazione da parte dei delegati al Sinodo, segno di un lavoro che non si interrompe ma continua.
Che immagine di Chiesa esce da questo Sinodo? Possiamo dire con Paolo VI che il popolo di Dio, questa «entità etnica sui generis», ha riscoperto la vocazione a vivere in comunione di spirito, con identità di sentimenti ed in spirito di carità com’era agli albori del cristianesimo (udienza generale del 23 luglio 1975). E’ da questa «coscienza di appartenere ad una società speciale, soprannaturale, che fa corpo vivo con Cristo» che deriva la capacità di generare tracce visibili nel campo culturale, sociale e politico.
Riportiamo di seguito il messaggio che l’arcivescovo di Matera-Irsina Monsignor Pino Caiazzo ha pronunciato alla solenne celebrazione relativa alla conclusione del Primo Sinodo dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina nella Cattedrale di Matera.
Festa della conversione di S. Paolo Apostolo – “Coraggio, sono io, non abbiate paura”! (Mc 6,50)
1.In questo giorno, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, festa della Conversione di S. Paolo Apostolo, alla domanda di Saulo, sulla via di Damasco: «Chi sei, o Signore»? facciamo nostre le parole di un altro grande convertito, S. Francesco d’Assisi, che ha sviluppato la risposta di Gesù: «Io sono Gesù il Nazzareno, che tu perseguiti», in una sintesi biblica e teologica mirabile:
«Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose (Sal 76,15).
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo (Cfr. Sal 85,10), Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra (Gv 17,11; cfr. Mt 11,25).
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi (Cfr. Sal 135,2), Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero (Cfr. 1Ts 1,9).
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine (Cfr. Sal 70,5), Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia, Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore (Cfr. Sal 30,5), Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio (Cfr. Sal 42,2).
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore».
Allo stesso modo, con S. Francesco d’Assisi, nel chiudere questo Primo Sinodo Diocesano dell’Arcidiocesi di Matera – Irsina, insieme a voi tutti, fratelli e sorelle, sento di ringraziare il Signore.
Lo ringrazio perché in questi anni voi laici, consacrati e consacrate, diaconi e presbiteri, comunità parrocchiali, gruppi, movimenti, associazioni, cammini di fede, ci avete creduto, avete pregato e sostenuto i lavori sinodali.
Ringrazio per la vicinanza e la preghiera i fratelli della Chiesa Battista e della Chiesa Ortodossa Rumena rappresentati dai loro pastori: il Pastore Luca Reina, e il parroco P. Nicola Mihaisteanu.
La promulgazione degli orientamenti e delle norme del Sinodo avverrà con decreto del Vescovo e sarà presentata all’assemblea a suo tempo. Solo allora potremo dire che la celebrazione del Sinodo si è conclusa e iniziare l’attuazione dello stesso.
A norma del Can. 467, appena tutto sarà pronto, invierò al Metropolita della Basilicata e alla Conferenza Episcopale i testi delle dichiarazioni e dei decreti sinodali.
Durante questi anni, anche noi come Saulo abbiamo chiesto continuamente: «Che devo fare, Signore»? (At 22,10a). Abbiamo capito che la prima cosa da fare è quella di metterci nell’atteggiamento dell’ascolto della Parola pregata. «E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”» (At 22,10b). Ci siamo alzati, coscienti della nostra cecità e dei nostri limiti ma anche delle nostre ricchezze, fidandoci della Parola.
Non è stato semplice ma non si sono spenti né l’entusiasmo né la fiducia in ciò che lo Spirito Santo ci indicava, nonostante diversi componenti del Sinodo si siano persi lungo il tragitto. Nella Chiesa come nella vita civile è stato e sarà sempre così. Ma ciò che viene da Dio, proprio perché è Lui che ci precede e guida nel nostro cammino, (come la colonna di fuoco quando il popolo d’Israele uscì dall’Egitto) non può essere fermato.
Il Signore ha mandato incontro a noi, come novelli Anania, i Vescovi Rino Fisichella, Giovanni Intini, Claudio Maniago, il Sacerdote Don Dario Vitali, il Prof. Franco Miano e la Prof.ssa Pina De Simone, che ci hanno detto: «Saulo, fratello, torna a vedere»! (At 22,13). Attraverso loro abbiamo sperimentato quanto fossero vere e attuali le parole di Anania: «Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito…”» (At 22,14-15).
Ora sentiamo la responsabilità del mandato che Gesù ci ha affidato per il bene di tutta l’Arcidiocesi di Matera – Irsina: «Andate invece fra la gente smarrita del popolo d’Israele. Lungo il cammino, annunziate che il regno di Dio è vicino. Guarite i malati, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, scacciate i demòni. Come avete ricevuto gratuitamente, così date gratuitamente. Non procuratevi monete d’oro o d’argento o di rame da portare con voi. Non prendete borse per il viaggio, né un vestito di ricambio, né sandali, né bastone. Perché l’operaio ha diritto di ricevere quel che gli è necessario. «Quando arrivate in una città o in un villaggio, informatevi se c’è qualcuno adatto a ospitarvi e restate da lui fino a quando partirete da quel luogo. 12 Entrando in una casa dite: La pace sia con voi! 13 » (Mt 10,5°.6-12).
Un mandato, quello di Gesù, affidatoci nel cuore della nostra Chiesa locale, la Basilica Cattedrale, attraverso me, indegno successore degli apostoli.
Durante questo tempo un’icona evangelica mi ha accompagnato: la tempesta sedata. L’evangelista Marco esplicita in maniera realistica quanto sta accadendo: le tenebre stanno scendendo «era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,47). Ma Gesù dalla riva vede quanto i Suoi discepoli siano ormai «affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario» (Mc 6,48). Non è facile remare contro vento. La fatica aumenta, la paura di non farcela s’insinua, la tentazione di lasciare tutto è forte. Eppure hanno sperimentato, nonostante tutto, che Gesù, il Maestro e Signore, li ha fissati negli occhi, li ha presi per mano e ha detto: «Coraggio sono io, non abbiate paura» (Mc 6,50).
Come è accaduto con i discepoli, anche sulla nostra “barca” della Chiesa di Matera– Irsina è salito Gesù per approdare, con la quiete e la gioia riaccesa nei cuori, a riva: «E salì sulla barca con loro e il vento cessò» (Mc 6,51).
Da questo momento inizia il vero e proprio Sinodo: «Compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennésaret e approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse» (Mc 6,53-55).
E’ il momento di guardare la nostra Chiesa: i volti della gente, le problematiche, le sofferenze, le ansie, i malati che vengono portati davanti a Gesù, attraverso di noi, sulle barelle, ma anche le gioie e le speranze. E’ quanto ha fatto Paolo a Malta, come abbiamo sentito nella prima lettura. Grazie a tutti voi che avete animato e celebrato il Sinodo nell’impegno delle diverse sessioni, nella segreteria, nella commissione teologica che per la verità ancora sta lavorando, nella figura di Mons. Filippo Lombardi che non si è risparmiato affinchè tutto venisse vissuto pienamente.
La storia della nostra Chiesa locale è stata costellata dalla presenza di insigni e santi pastori, vescovi, presbiteri, consacrati/e, innumerevoli laici che hanno dato la vita per Cristo e il Vangelo. Presenza significativa che anche oggi attraversa la nostra Chiesa.
La nostra non è una Chiesa disincarnata. E’ viva, presente, silenziosa, che semina amore, costruisce ponti di fraternità, impegnandosi a far crollare i muri dell’odio, della paura, della rassegnazione, della discriminazione, dell’ingiustizia. Un impegno che nasce dalla consapevolezza che per noi «è un dovere annunciare Cristo» (1 Cor 9,16).
Abbiamo seriamente preso in considerazione quanto Gesù ci ha chiesto: “Vino nuovo in otri nuovi”.
Facciamo nostro l’interrogativo di Paolo VI nell’ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II del 7 dicembre 1965: «Possiamo noi dire d’aver dato gloria a Dio, d’aver cercato la sua conoscenza ed il suo amore, d’aver progredito nello sforzo della sua contemplazione, nell’ansia della sua celebrazione, e nell’arte della sua proclamazione agli uomini che guardano a noi come a Pastori e Maestri delle vie di Dio»? Rispondiamo: si! Il Sinodo ci ha consentito di prendere coscienza di ciò che lo Spirito infonde nella Chiesa intera oggi «nello spirito proprio del discepolo e alla luce della Parola di Dio e della Tradizione, ci porta a una profonda conversione dei nostri schemi e strutture a Cristo e al suo Vangelo» (Sinodo sull’Amazzonia).
In un cammino di conversione ci sono tre passi decisivi (conversione pastorale, conversione culturale, conversione ecologica), che sintetizzerò a breve. Sono passi che dobbiamo compiere e che, non a caso, sono emersi nei recenti Sinodi sull’Amazzonia e in quello dei Giovani. Come riportano il documento finale del Sinodo dell’Amazzonia e l’esortazione apostolica, Christus Vivit. «Sono proprio i giovani che possono aiutarla (la Chiesa) a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà» (CV 37).
La prima conversione è quella pastorale, a cui tutti noi battezzati siamo chiamati per mostrare il volto di una Chiesa missionaria attraverso tre icone evangeliche:
1. Una Chiesa Samaritana. In un crescendo di indicazioni avute in questi anni, con Benedetto XVI possiamo dire che questo è il tempo in cui bisogna “abitare i deserti spirituali” e con Papa Francesco “le periferie dell’esistenza”.
E sempre Paolo VI ricordava: «Non mai forse come in questa occasione la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare, di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante, e di coglierla, quasi di rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento… dobbiamo essere cultori dell’uomo. Una Chiesa samaritana è una Chiesa madre». Non abbiamo forse meditato tutto questo attraverso la Gaudium et Spes e le altre costituzioni conciliari? E Papa Francesco, consegnandoci la “Evangelii gaudium”, non ci ha rimandati sempre al Concilio Vaticano II e al Convegno ecclesiale di Firenze?
Una Chiesa per essere samaritana deve essere necessariamente in uscita. Le sofferenze sono molteplici, le malattie da curare non sono solo quelle materiali. Alla base di tante sofferenze c’è quella spirituale.
2.Una Chiesa Maddalena, che sperimenta di essere amata e riconciliata per annunciare con gioia che Cristo è Risorto.
La Maddalena è l’immagine della Chiesa che non si arrende all’idea che il Rabbunì, il Maestro, sia morto e che il suo corpo sia stato portato via. La forza dell’amore che la possiede le fa superare la pressione del dolore e della paura, uscendo dal chiuso di recinti sicuri e di comodo, facendola correre per le strade della vita: dal cenacolo della paura al sepolcro della disperazione; dal sepolcro dove Cristo ha distrutto la morte al cenacolo dove ancora gli apostoli gemono impotenti; dal cenacolo finalmente aperto al luogo della vittoria della vita.
Una Chiesa per essere Maddalena deve mostrare la gioia dell’amore per il Risorto che la abita. Si è credibili non per quello che si dice ma per come si annuncia quanto si dice. Una Chiesa innamorata dell’Amore capace di far innamorare i giovani.
«La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione» (CV 71).
Una Chiesa che annuncia Cristo, Via, Verità e Vita, per non compromettere il valore dell’unità pastorale, deve adempiere efficacemente la sua missione evangelizzatrice.
I gruppi, le associazioni, i cammini di fede riconosciuti dalla Chiesa non sono Chiese parallele. Hanno bisogno di essere seguiti, accompagnati, guidati e sostenuti. Nelle e tra le comunità parrocchiali siamo chiamati a creare e vivere un cammino di comunione, con lo stile della fraternità e della condivisione. Non è carità accontentare. E’ carità accompagnare, aiutare a capire, mostrare il volto del Cristo risorto. Misericordia non è giustificare ogni cosa. Misericordia è non condannare, ma avere il coraggio di dire la verità evangelica con amore e comprensione.
Quando non si ubbidisce alla Chiesa non si ubbidisce nemmeno a Cristo, perché la Chiesa è di Cristo. E nessuno, né laici né sacerdoti né vescovo possono seguire un codice di regole personali che non rispettino l’insegnamento della Chiesa nella Celebrazione liturgica, nell’amministrazione dei sacramenti, nella pastorale ordinaria come in quella straordinaria. Lo stile sinodale è della Chiesa e chi opera nella Chiesa tutto ciò che fa lo svolge a nome della Chiesa e per la gloria di Dio.
2. Una Chiesa mariana che non si stanca di generare figli alla fede e di educarli con affetto e pazienza, con l’umiltà di chi sa che ha molto da imparare. E’ Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, colei a cui dobbiamo guardare per essere una Chiesa serva, kerigmatica, educatrice e portatrice di cultura in mezzo alle comunità che serviamo.
La nostra devozione verso Maria, che esprimiamo in modo solenne e coinvolgente soprattutto quando la veneriamo sotto il titolo di Madonna SS. Della Bruna o di Viggiano, deve andare oltre le tradizioni che vanno pure rispettate. Bisogna essere, come lei, servi della storia, mettendoci con decisione in cammino, bussando ed entrando nei luoghi della sofferenza, rimanendo il tempo necessario ed indispensabile di cui l’altro, chiunque sia, ha bisogno. L’invito è di passare da una pastorale “di visita” a una pastorale di “presenza permanente”.
Maria è la vera immagine della Chiesa in uscita che suona il campanello, entra nelle case e serve con calma e pazienza. Maria ritorna a casa sua dopo tre mesi, il tempo necessario perché la cugina Elisabetta, dopo il parto di Giovanni Battista, ritorni alla vita quotidiana nella gioia e nella gratitudine a Dio.
La seconda conversione è culturale: è un’apertura sincera all’altro, visto non come mezzo di cui servirsi bensì come fratello da cui si può imparare.
Abbiamo da poco chiuso l’anno di Matera Capitale Europea della Cultura. Ci siamo inseriti, come Chiesa di Matera – Irsina, nelle attività culturali, proponendo la nostra identità cattolica aperta ad ascoltare ed accogliere idee e modi di leggere la vita oggi, come processo culturale che porti al cambiamento per attuare quella che poc’anzi ho definito “apertura sincera all’altro”.
In quest’ottica di fraternità abbiamo sperimentato come deve procedere l’alleanza tra l’identità del nostro territorio e la Chiesa che si deve aprire a nuove forme di inculturazione della fede per incontrare cattolici, separati, agnostici e difensori del pensiero unico.
Una Chiesa capace di dialogare, esattamente come S. Paolo. L’areopago è molto vicino a noi e non dobbiamo avere paura di evangelizzare con la nostra fede illuminata che oggi come ieri orienta, sostiene, annuncia la verità che è Cristo.
Riporto ancora uno stralcio del Documento finale del Sinodo dell’Amazzonia: «Cristo con l’incarnazione non ha ritenuto un privilegio quello di essere come Dio e si è fatto uomo in una cultura concreta per identificarsi con tutta l’umanità. L’inculturazione è l’incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone (“ciò che non si assume non è redento”, Sant’Ireneo, cfr. DP 400) e allo stesso tempo l’introduzione di queste culture nella vita della Chiesa. In questo processo i popoli sono protagonisti e accompagnati dai loro agenti pastorali e dai loro pastori» (n.51).
Ai giovani sento di rivolgermi in maniera particolare. Ben cosciente della potenzialità e della ricchezza di cui siete portatori, ma anche della fragilità, frutto di mortificazioni per la mancanza di un posto di lavoro e quindi di una vera e propria progettualità di vita, costretti a lasciare la nostra bella e amata terra, dico con Papa Francesco: «Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore» (CV 174).
La terza conversione è ecologica. La Chiesa sostiene decisamente la «difesa della vita, della terra», indicando nuovi cammini di sviluppo, «amichevoli» verso la casa comune. In tale luce si comprende il «peccato ecologico»: ogni azione o omissione contro Dio, il prossimo e l’ambiente.
Papa Francesco, scrivendo al Cardinale Peter Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (lo scorso marzo è stato da noi partecipando al Convegno su “Etica, cultura e bellezza. Le strade per una nuova economia”), riporta: «In occasione della conferenza internazionale intitolata “Conversione ecologica radicale dopo la Laudato si’”, le chiedo di trasmettere i miei cordiali saluti e oranti buoni auspici a tutti i partecipanti. Consapevole, in modo particolare in questo tempo di Quaresima, dell’importanza della conversione nel rinnovamento della vita cristiana, che comprende la gestione responsabile del creato, incoraggio tutti i partecipanti a ribadire il loro impegno a promuovere una più profonda riconoscenza per il dono della nostra casa comune. Confido anche che attraverso le loro deliberazioni riusciranno a comunicare meglio al mondo la bella verità che ogni creatura è “oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto”» (Laudato si’, n. 77).
Anche la nostra bella e ricca terra di Basilicata è stata e rischia di continuare ad essere violentata, sfruttata, avvelenata. E’ un peccato ecologico che non possiamo negare. Abbiamo bisogno di creare, e su questo stiamo riflettendo e progettando in sinergia a livello regionale, un vero e proprio osservatorio socio-ambientale pastorale che sia capace di lavorare in alleanza con i vari attori ecclesiali e con le diverse associazioni che con dedizione stanno affrontando il tema.
Fondamentale sarà il collegamento con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con la Prefettura di Matera e con gli altri soggetti istituzionalmente preposti.
Carissimi fratelli e sorelle, sento di ringraziarvi ancora una volta per la preghiera, il tempo, i sacrifici che avete fatto. Grazie perché ci avete creduto, perché avete mostrato il volto più bello della Chiesa: quello della comunione.
Nelle prossime settimane, dopo l’approvazione dei documenti finali del Sinodo, saranno a voi consegnati.
Vi affido, come sempre, alla nostra Madonna della Bruna e ai nostri Santi patroni, Eustachio, Eufemia e Giovanni da Matera, e vi benedico con le parole di D. Tonino Bello: «Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di gioia. Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove che, con la Risurrezione, irrompono nel nostro mondo vecchio e lo chiamano a tornare giovane Amen! Alleluia»!
✠ Don Pino
La fotogallery della cerimonia conclusiva del primo Sinodo della Diocesi di Matera-Irsina (foto www.SassiLive.it)