Basilio Gavazzeni, presidente della Fondazione Lucana Antiusura, ha inviato alla nostra redazione alcune riflessioni in vista della missione che la Commissione bicamerale antimafia ha programmato per il prossimo 24 febbraio a Scanzano Jonico, nel Comune sciolto per infiltrazioni mafiose. Di seguito la nota integrale.
Si può plaudire con giudizio che il 24 febbraio la Commissione bicamerale antimafia giunga in missione a Scanzano Jonico. Lo Stato deve pur rimediare all’errore di aver sguarnito quel territorio dei presidii più necessari a tutelarlo.
Sarebbe un peccato che la visita apparisse come la stigmatizzazione di un popolo già troppo afflitto e umiliato quasi che la cittadina fosse il picco lucano dell’intrusione mafiosa.
È avvenuto, almeno un paio di volte nel passato, che la Prefettura di Matera mettesse a tema la peste che non colpisce solo il Mezzogiorno, proprio nella Sala consiliare dell’Amministrazione comunale riconosciuta sotto contaminazione.
Di quelle occasioni ricordo il gran numero degli interventi e, nel contempo, la genericità delle analisi e delle proposte cui non sono seguite decisioni performative di spessore.
Le vie della malavita sono così oblique e imperscrutabili da ridicolizzare gli estemporanei vaniloqui sia delle Istituzioni, sia delle Associazioni (fra le quali la stessa Fondazione antiusura da me presieduta).
È che la conoscenza difettiva del fenomeno non ne ha permesso l’arginamento.
Dall’autorevolissima Commissione, che non sarà qui per una passerella politica, ci si attende il massimo che può disporre perché lo “ius” garantisca sicurezza e pace a un territorio tormentato.
Ma che cosa è lecito attendere dagli stessi Scanzanesi (e, allargando, dai cittadini stanziati nel Metapontino e altrove) che patiscono la protervia mafiosa?
Nessuna bonifica sociale è possibile senza il protagonismo positivo e incondizionato degli abitanti che, nella distretta, non possono comportarsi come “un volgo disperso”, per dirla con Manzoni, rinunciando a essere una comunità responsabile di sé stessa.
Da un punto di vista urbanistico Scanzano si dilata in tale estensione di spazi da rendere inevitabile una certa diaspora dei suo abitanti. Scanzano non è certo un iper-luogo fitto di uomini e di relazioni (non lo è nessun paese in Basilicata), ma non è nemmeno un non-luogo anonimo e disseccato.
È legittimo supporre che anche sui suoi tetti si librino i soffi dell’etica e della legalità e che vi si verifichi una netta separazione fra i molti, onesti ma talora inerti, e i pochi, attori o complici di prevaricazioni mafiose ora sornionamente striscianti ora abruptamente impennate.
La grandezza di un popolo risiede nei vincoli e nei rapporti di lealtà e di collaborazione che le persone creano fra di loro, soprattutto nella condivisione delle prove.
Pare che da qualche stagione a Scanzano una sorta di minoranza profetica vada costituendosi attorno al parroco, nella consapevolezza che solo l’ordine morale può sorreggere la conversione di ognuno dalla menzogna alla verità, dall’egoismo all’altruismo, dalla pavidità e dalla rinunzia al coraggio e alla speranza operosa.
È più che un seme di cittadinanza attiva. È un lievito che, sorgendo dal basso e muovendo dall’interno, potrebbe aggregare con mitezza il meglio delle presenze sociali dalle scuole ai corpi intermedi.
La Commissione bicamerale antimafia non verrà a registrare passivamente gli accadimenti neri. Vorrà capire e si interrogherà e provvederà le misure più adeguate, ma sarebbe bello che trovasse la fiducia e l’entusiasmo di una comunità pronta ad alimentare un’azione di potente compattezza nella ricerca del bene di tutti.
Bisogna che sia scongiurato il pericolo che sia prustrata dal pernicioso quietismo di quanti piegano fatalisticamente la schiena davanti alla protervia dei facinorosi.
Ma i rappresentanti dello Stato prendano ancora atto del contesto economicamente fuori tempo massimo del nostro Mezzogiorno, che non è l’ultima causa dell’irradiazione mafiosa.