Lo studente lucano Donato Gioiosa, originario di Ripacandida e residente a Bologna per motivi di studio ha inviato una lettera aperta destinata al Rettore dell’Università degli Studi di Bologna affinchè sia data la possibilità di svolgere le sedute di laurea nonostante l’emergenza coronavirus che coinvolge anche l’Emilia Romagna. Di seguito la nota integrale.
Sono nato e cresciuto in Basilicata – mio caro lettore – mi sono trasferito a Bologna nel Settembre 2017 con una Fiat Multipla piena fino all’orlo di scatoloni, decine di libri e il mio pianoforte (Fryderyk).
Ho scelto questa città per la magistrale, Italianistica (LM 14), ne sono rimasto fin da subito affascinato: i colori dei palazzi, i portici, le decine di eventi culturali, i ragazzi che affollano le piazze con le loro canzoni. Persino la pioggia, nei periodi più uggiosi, mi affascinava. E poi l’Università dove, nonostante sia una delle più grandi del paese, mi hanno fatto sentire fin da subito uno studente con un nome ed un cognome e non un freddo e cinico numero di matricola. Incredibile.
Bologna mi ha abbracciato dal primo giorno e, per tutto questo tempo, non ha mai smesso di farlo.
Ma, come sempre d’altronde, esiste un rovescio della medaglia. I sacrifici dei miei genitori, ad esempio, ma anche i miei che, poi, sono gli stessi di centinaia di studentesse e studenti.
Ah, se il salone di casa potesse parlare, racconterebbe di notti intere passate a studiare, sempre (o quasi) con il sorriso ben stampato sul viso: quando fai ciò che ami, la fatica quasi non si avverte.
Eppure, sempre di sacrifici si parla.
Ora, dopo questa doverosa premessa, e dopo mesi quantomeno intensi per scrivere una tesi che soddisfacesse me ed il mio relatore, mi comunicano, tramite una fredda mail impersonale, mandata di default a tutti i laureandi, che è altamente probabile che la discussione della tesi avverrà «a distanza» – via Skype, per intenderci.
C’è la possibilità, dunque, che la discussione di una tesi di Magistrale sia ridotta ad una farsa da svolgere comodamente nel salone di casa, proprio quel salone che mi ha visto sputare sangue negli ultimi due anni e mezzo.
Avresti mai immaginato – mio caro lettore – di discutere una tesi parlando, sostanzialmente, ad un computer? Io no, onestamente.
Nel mare magnum dei miei difetti, l’egoismo non figura decisamente: so bene che la situazione, fuori da queste quattro mura, non è di facile gestione e che occorrono, purtroppo, scelte difficili. Lo so. So anche che chi sarà chiamato a decidere, lo farà anche preoccupandosi della mia incolumità: nonostante mi manchino quasi sette gradi ad occhio, non sono ancora così miope da non vederlo.
Esistono, tuttavia, delle alternative alla modalità «telematica», ipotizzate non da me, bensì dal decreto di urgenza emanato dal Magnifico rettore dell’UniBo del 27/02/2020.
Quali?
Discutere la tesi «in presenza», seppur con modalità che «escludano significative concentrazioni di persone», o discuterla il mese prossimo, non oltre il 30 Aprile 2020.
Non ti sembrano, mio caro lettore, alternative più ragionevoli?
A me, onestamente, si.
Mio caro lettore, se anche tu sei stato uno studente, saprai benissimo di cosa sto parlando: l’ansia che precede ogni singolo esame, il sorriso a trentadue denti quando, finalmente, riesci a dare anche l’ultimo, quello che più ti terrorizzava, i pomeriggi in cui in tre ore scrivi solo mezza pagina di tesi, le braccia che tremano ogni qual volta consegni il capitolo al relatore, il Prof. che approva la tua tesi. E poi la fatidica discussione: la voce tremolante, la gamba destra che proprio non riesce a star ferma, la cravatta che ti stringe un po’ il collo perché tu – mio caro lettore – la cravatta non la metti proprio ogni giorno.
Ti manca il respiro, non sai se sarai così brillante da pronunciare il discorso come lo hai provato (trecentoquarantasette volte) nel salone di casa tua.
Avvicini il microfono alla bocca, ti volti un attimo e lì succede il miracolo.
Ci sono i tuoi genitori che, guardandoti, ti fanno capire quanto siano orgogliosi di te, i tuoi amici, quelli di sempre, che ti hanno visto balbettare all’interrogazione di fisica alle superiori e ti guardano già con gli occhi lucidi perché sanno quanto duro hai lavorato per essere lì. Magari c’è anche la tua ragazza dietro di te – mio caro lettore – che ha dovuto sopportare le tue ansie e i tuoi repentini cambi d’umore degli anni dell’università.
Insomma, quel giorno, il giorno della discussione, è un sogno che comincia quando consegni i moduli per l’iscrizione in triennale, un sogno lungo cinque anni.
Ti chiedo, mio caro lettore, di non svegliare me – e centinaia di studentesse e studenti – che, come me, quel sogno se lo sono faticosamente costruito, pagina dopo pagina, ansia dopo ansia, giorno dopo giorno.
Esistono delle alternative, delle modalità comunque “sicure”, riconosciute da chi ne sa più del sottoscritto.
Attuiamole, insieme.
Grazie per l’attenzione, mio caro lettore.