Il Coronavirus blocca Italia. L’invito di Conte ai cittadini italiani è quelli di restare a casa, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti, per lavoro e acquisto di beni di prima necessità. Ok stiamo a casa ma per fare cosa? La tv e i social sicuramente aiutano ma non bisogna assolutamente dimenticarsi della radio, ce da sempre fa compagnia. E tra i protagonisti della radio da oltre 40 anni c’è Alberto Sabino Di Molfetta, in arte Albertino, già dj di Radio Deejay e dall’1 aprile 2019 direttore artistico e dj di Radio m20, la radio di musica dance del gruppo GEDI. Il Corriere della Sera, edizione Corriere Milano, lo ha intervistato.
È uno dei protagonisti della radiofonia italiana. Ha fatto la storia di Radio Deejay. Da un annetto è direttore artistico, oltre che conduttore, dell’emittente sorella di quest’ultima, m2o, focalizzata sulla musica dance in senso ampio: il palinsesto include tutto ciò che è ballabile, dall’elettronica al reggaeton all’hip hop. Non bastasse, da qualche settimana Albertino è sulla bocca di tutti per aver fatto la fortuna radiofonica di «Bando», brano della sedicenne spezzina Anna esploso prima su TikTok, social network cinese amato dai teenager, e poi diventato «instant hit», come si dice in gergo: al momento conta 7 milioni e mezzo di ascolti solo su Spotify.
«È proprio questa la missione di chi fa il mio mestiere», commenta lui, «scovare nuovi successi prima che siano tali. Di far sentire quelli già conclamati sono capaci tutti». E racconta: «È stata la stessa Anna a mandare un provino del pezzo a un mio collaboratore, l’ho messo su e ho pensato “è una bomba, voglio trasmetterla sei volte al giorno!”. In tempi abbastanza recenti mi era accaduto con Ghali, era sconosciuto quando iniziai a trasmetterlo su Radio Deejay. Lì fu merito di una delle mie figlie, hanno 17 e 25 anni, le uso come test».
È il lavoro del dj radiofonico nell’era dei social: non puoi prescindere dai mezzi di comunicazione utilizzati dai più giovani. «Ma alla lunga la radio vince», sostiene Albertino. «I ragazzini la snobbano in favore delle piattaforme digitali, convinti di sapere tutto. Ma arriva sempre l’età in cui realizzano che quelle piattaforme danno un’illusione di libertà, ma in realtà sono regolate da algoritmi. E allora…».
Parla da fan della radio, oltre che da professionista: fu nel ’78 che l’oggi 57enne Sabino Alberto Di Molfetta, fratello minore di quel Linus di cui sarebbe divenuto collega, mosse i primi passi a Radio Music, piccola emittente locale che Claudio Cecchetto avrebbe poi trasformato in Radio Deejay. «Avevo 17 anni, sul diario scrivevo solo titoli di canzoni, non mi staccavo mai dalla radio. Ero così innamorato di quella scatola da cui uscivano le voci che volli entrarci. Un incosciente: all’epoca quello del dj radiofonico non era nemmeno un mestiere, io mi ero presentato con una compilation mixata — per così dire — con una piastra di registrazione a cassette».
Di lì a breve l’esordio su Radio Deejay, dove negli anni 90 Albertino ha fatto scuola, portando il suo «Deejay Time» nelle discoteche e persino al Forum di Assago, dando spazio all’hip hop italiano quand’era ancora agli albori, creando neologismi quali «aribaderci!» e «piach», e personaggi di fantasia tramutatisi in autentici tormentoni come Marco Ranzani, il ricco mobiliere brianzolo tutto preso dal denaro che ripeteva di continuo «Ooookey!» e «VaaaaBene!». «Raccontavo lo stereotipo dell’imprenditore che sperpera soldi e ostenta ricchezza, una figura ancora molto attuale, che continua a vivere tra noi». E sull’avventura in m20 ai tempi del Coronavirus: «Spero che la nostra programmazione musicale aiuti la gente a distrarsi, ma stiamo comunque mettendo a punto un decalogo su come comportarsi per limitare il rischio di contagio. Noi italiani non siamo forti con la disciplina, ma adesso è diventata necessaria».