Sull’emergenza Coronavirus riportiamo di seguito il nuovo intervento del gastroenterologo materano Nicola D’Imperio, già primario all’ospedale Maggiore di Bologna dal 2001 al 2014.
Ho letto con grande interesse l’articolo del prof. Giovanni Caserta pubblicato il 29 marzo su Sassilive dal titolo “Se il Coronavirus fosse non solo un flagello ma una scopa”. Considero il prof Caserta sicuramente l’unico vero uomo di cultura contemporaneo della città di Matera ed è per questo che prendo spunti dal suo articolo per alcune riflessioni che vorrei fossero interpretate come finalizzate a un dialogo costruttivo. Su alcuni temi concordo in pieno, su altri sono un po’ perplesso e, poiché ritengo che la verità non sta nell’idea del singolo, ma nel confronto dialettico, sento il dovere di esprimere anche la mia opinione come uomo di scienza e di cultura, pronto a ricredermi se le mie argomentazioni dovessero vacillare.
Anch’io concordo che questa disgrazia globale che ha colpito l’umanità intera possa essere un elemento purificatore, catartico, così come è sempre stato nella storia per le grandi pestilenze e le grandi guerre che hanno coinvolto buona parte del mondo. Anch’io non credo che questo sia un castigo, o un regalo divino, per una umanità deviata, come quelli predicati da San Giovanni Battista o da Girolamo Savonarola e neppure credo che sia la Natura che si stia ribellando alle violenze fatte dall’uomo e neppure che sia un regalo della Provvidenza finalizzato ad avere un uomo migliore e rispettoso dell’ambiente in cui vive.
Da uomo di scienza ritengo che c’è una causa ben precisa in questo straordinario cambiamento delle manifestazioni cliniche di un virus che, scoperto negli anni sessanta, è sempre stato l’agente etiologico di patologie modeste dell’apparato respiratorio e che ora ha assunto una grande contagiosità e arreca una grave polmonite interstiziale con una mortalità che in Italia è del 10%. Nessuno mai lo ammetterà, anzi moltissimi mi smentiranno, ma, come dicevo nell’articolo che ho pubblicato qualche giorno fa, sempre su Sassilive, io sono convinto che non sia un virus “naturale”, come sostengono i virologi dai loro laboratori; l’evoluzione, il decorso clinico, le strane consequenzialità con gli esperimenti, iniziati nel 2013 sul virus H1N1, prelevato dai cadaveri congelati in Alaska dei deceduti durante la “Spagnola” del 1918-19-20, e continuati a Wuhan nel 2015 e la stessa origine dalla stessa città dell’attuale pandemia, lasciano fortemente sospettare che sia stato l’uomo a perdere il controllo di una sua “chimera”. Questo è solo il mio parere da clinico e uomo di scienza, lungi da me la volontà di fare della disinformazione. Così come non si può non immaginare che la deforestazione del globo, l’inquinamento atmosferico, l’aumento della temperatura globale, la plastica che invade la terra e l’acqua, le onde elettromagnetiche dei cellulari, siano e saranno senza conseguenze per la salute dell’uomo e dico ciò perché guardo in faccia la realtà e senza timore di incorrere nell’accusa di un catastrofismo “verde” (che non considero un termine offensivo se “verde” significa proteggere il mondo in cui viviamo noi e vivranno i nostri posteri).
Concordo che è del tutto inopportuno parlare oggi del dopo-coronavirus, con i pazienti gravi nelle rianimazioni traboccanti, le colonne di camion dell’esercito che trasportano i morti verso le camere crematorie, la gente reclusa in casa, l’assoluta ignoranza sulla curva dei contagi che continua a salire esponenzialmente. Oggi è impossibile calcolare a quanto ammonterà il danno in termini di vite umane, di costi sanitari, di perdita economica individuale, di categoria, regionale e nazionale.
Non voglio considerare in questa sede i grossi danni sociali e psicologici, che pur non vanno mai trascurati e che affronterò in altre circostanze. Dico solo che tutti questi danni saranno enormi per ilPaese, alcuni causati direttamente dal virus, altri da chi ha chiuso le porte della stalla quando i buoi erano già fuggiti. Ora (e qui parlo da medico) non servono più le misure che militarizzano il paese e calpestano la libertà individuale per cui i nostri avi hanno combattuto e perso anche la vita, che calpestano il diritto al lavoro e ogni altro diritto e in aggiunta arrecano povertà al paese. Non voglio uscire fuori tema ma la mia è un’esortazione ai nostri governanti (termine eufemistico per coloro che non sono riusciti neppure a costruire un’Europa unita e solidale,di cui alcuniaddirittura siedono indegnamente sugli stessi scranni dei nostri grandi Padri della Costituzione), dicevo che la mia è un’esortazione a non aggiungere ai danni diretti del virus quelli arrecati dall’uomo!
Così come è inopportuno e prematuro supporre che il denaro per la ripresa (quando e se ce ne sarà perché ora si fanno solo delle ipotetiche cifre) andrebbe, come al solito, a rimpinguare le casse del nord dimenticando il sud del Paese. Io non sono certo un economista ma conosco esperti che, una volta in possesso dei dati corretti, riuscirebbero a calcolare sino all’ultimo euro i danni reali subiti nei singoli settori in tutte le regioni e comuni italiani.
Sinora (ed è auspicabile che resti così) i problemi maggiori si sono avuti nel cuore produttivo della nazione, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto e i primi focolai si sono manifestati quì proprio per questa loro prerogativa e la ragione suggerirebbe che, in una ipotetica ripresa con ipotetici fondi a questa destinata, ferme restanti le proporzioni attuali del contagio tra nord e sud, queste fossero le prime regioni ad essere risarcite, non fosse altro che per la spinta che questi centri produttivi potrebbero dare per la ripresa della Nazione. Parlare di autonomia differenziata in questo contesto non mi pare opportuno e usciremmo fuori tema, maho seguito, tra maggio e giugno del 2019 le quattro conferenze alla Camera di Commercio volute dal nostro sindaco, a cui hanno partecipato esimi economisti e meridionalisti che mi hanno illuminato sull’argomento, ma hanno avuto il difetto di mancare di un contraddittorio. Io sono contrario all’autonomia differenziata solo perché creerebbe una ulteriore frattura nel nostro Paese, d’altro canto sono favorevole perché il sud si libererebbe, almeno in parte, dall’onere di essere dipendente dall’economia del nord.Il sud ha numerose risorse che deve valorizzare nel modo giusto e se si avesse il minimo sospetto che la ripartizione non fosse equa allora si incarichino i parlamentari eletti nelsud a sorvegliare affinchè le cose siano eque!
Pur nella disgrazia di questo momento io, che conosco bene l’eccellenza della sanità (a cui anche io mi onoro di aver contribuito) di quelle regioni in cui è esploso il contagio e che ho avuto anche modo di conoscere le strutture sanitarie del mezzogiorno, non solo da quando sono a Matera ma anche nei miei numerosi viaggi di lavoro pregressi nelle città del sud, affermo, senza timore di essere contradetto, che è stata una fortuna che il contagio sia iniziato in quelle regioni perché se fosse successo per prima qui, al sud, sarebbe stata una strage!Augurandomi che il contagio non si diffonda al mezzogiorno conla stessa virulenza che ha avuto in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ora l’insegnamento e l’organizzazione di queste regioni potrà essere un modello e quindi il sud ne trarrà vantaggio.
Io sono un meridionale che è vissuto per 45 anni al nord e sono tornato al sud perché amo la terra in cui sono nato. Ho raggiunto livelli apicali a livello nazionale ed internazionale per il mio impegno che è stato riconosciuto, cosa che sarebbe stato assurdo qui a Matera a meno che non fossi sceso a compromessi o altro, e non avrei ottenuto certi livelli qualitativi perché non ne avrei avuto gli stimoli. Ho curato la gente, ho fatto ricerca, mi sono interessato di arte e cultura abitando al nord, ma senza dimenticare e rinnegare il sud e ora mi ritengo un italiano e basta, come vorrei che si ritenessero tutti coloro che vivono nel Bel Paese.
Sono amico di molti imprenditori del nord che, da soli e senza l’assistenzialismo della politica o d’altro ancora, hanno creato e gestiscono aziende leader, nei loro settori, in campo internazionale. Questi imprenditori in tutti i momenti difficili (nel nostro Paese dal dopoguerra ad oggi ce ne sono stati molti), insieme alle loro maestranze si sono rimboccati le maniche senza aspettare ipotetici fondi regionali o statali o “europei”. Quando molti di questi ebbero i capannoni distrutti dal terremoto del maggio del 2012, dopo pochi giorni essi stessi, insieme ai loro operai, sgomberarono le macerie e ricostruirono e ripresero la produzione dopo meno di un mese. I miei amici Dante Zaccarelli e Marino Malaguti che fabbricano macchine industriali per il mondo intero e che hanno rappresentanze in tutte le principali nazioni, mi hanno telefonato qualche giorno fa solo per salutarmi e, con ottimismo, mi hanno detto che è un momento difficile, forse il più difficile per loro, ma che si sarebbero risollevati come avevano già fatto altre volte, rimboccandosi le maniche. Altro che invocare o attendere che piovano dal cielo ipotetici denari!
Ho lasciato Bologna, che io considero la città più bella e civile dell’occidente, dove avevo prestigio e soprattutto la stima di tanta gente, per tornare a Matera perchè la vedevo cambiata, proiettata verso il futuro, la ritenevo una delle città più dinamiche del sud, ho cambiato la mia residenza da Bologna a Matera perchè ritenevo che quì avrei potuto dare un contributo, così come ho fatto per Bologna. In questi 6 anni ho avuto modo di conoscere a fondo la città. Alcune delle tare, tipiche del mezzogiorno, che io avevo individuato già da ragazzo quando ne venni via, nel 1966, sono ancora presenti e queste condizionano ancora la vita della brava gente e delle attività produttive.
E’ fuori tema che io mi soffermi sulle ataviche tare, ma in un momento di emergenza continuare la diatriba tra un nord prosperoso e un sud bisognoso, che diventa ora ancora più malridotto per questa pestilenza, e invocare ancora un ipotetico assistenzialismo, una delle tare più pesanti del sud, o addirittura un ennesimo piano per il sud o una novella Cassa per il Mezzogiorno, è non solo prematuro ma significa ripercorrere gli schemi tradizionali che si sono dimostrati perdenti e che non rendono giustizia ai tanti meridionali, nostri concittadini e conterranei, che si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato duramente per la prosperità di questa parte d’Italia, così come sono sicuro che faranno dopo il Coronavirus.