Coronavirus, positivi nel reparto Psichiatrico di diagnosi e cura di Potenza, Fp Cgil Potenza chiede tamponi per tutti gli operatori. Di seguito la nota integrale.
Ancora una volta, a malincuore, constatiamo che i nostri timori erano fondati e che la riapertura del reparto Psichiatrico di diagnosi e cura di Potenza prima che arrivassero gli esiti di tutti i tamponi effettuati non fosse un atto giusto e prudente. Ciò anche in considerazione del fatto che per i pazienti fosse stata trovata una sistemazione temporanea ma consona presso lo Struttura psichiatrica di Melfi. Apprendere che due nuovi pazienti ricoverati allo Spdc, siano risultati positivi, attualmente entrambi trasferiti nei reparti covid19, è di una gravità estrema, perché ha messo a rischio la sicurezza e trasformato pazienti e lavoratori, ancora una volta, in involontario veicolo di contagio. Ad aggravare la situazione la circostanza che anche questi risultati siano stati comunicati in ritardo, lasciando ancora una volta al rischio contagio gli altri pazienti e tutti i lavoratori della struttura e coloro che all’esterno siano venuti in loro contatto.
La Fp Cgil aveva chiesto alla direzione strategica Asp che il reparto non riaprisse così in fretta, prima di avere chiaro il quadro della situazione, dopoché nella scorsa settimana sempre nello Spdc di Potenza, si era verificata la positività al covid 19 di un operatore socio sanitario (Oss), circostanza che, nell’immediatezza, aveva portato alla chiusura del reparto e all’effettuazione dei tamponi a operatori e pazienti, temporaneamente spostati a Melfi. Nei giorni scorsi il reparto ha ripreso, tra le nostre rimostranze, inspiegabilmente a funzionare seppur ancora si era in attesa degli esiti di alcuni dei tamponi effettuati al personale e ai pazienti, con una decisione peraltro in contrasto con quanto sta avvenendo a Villa D’Agri, dove lo Spdc risulta ancora chiuso. A parte i ritardi ingiustificabili e intollerabili, che abbiamo stigmatizzato e continuiamo a denunciare a più livelli, di esiti di tamponi per personale sanitario e pazienti che arrivano con folle ritardo, continuiamo a puntare il dito su una comunicazione reticente, che mostra falle pericolosissime mettendo a repentaglio la salute della comunità per la poca o assente trasparenza.
Inoltre ci chiediamo quale senso abbia avuto riaprire un reparto non prima che la situazione fosse chiara e pazienti e degenti fossero messi in sicurezza. La Fp Cgil da tempo denuncia criticità afferenti lo Spdc, a partire dall’assenza di un protocollo d’intesa tra Asp, azienda cui il reparto appartiene, e San Carlo, nella cui struttura, in spazi angusti e inadeguati, è ubicato e da cui provengono pazienti transitati dal pronto soccorso, sino alla questione dell’occupazione dei posti letto pari al 115%, passando da una grave carenza di personale medico, infermieristico e oss , tutte concause di numerosi infortuni conseguenti ad aggressioni nei confronti del personale. Le criticità emerse in questo convulso periodo, si sommano alle tante di una situazione già normalmente al limite, moltiplicando i pericoli per gli operatori sanitari.
Apprendiamo che la sanificazione del reparto sia già stata effettuata, ma ora bisogna sottoporre a tampone immediatamente tutti gli operatori che a vario titolo prestano la loro attività nello Spdc, operatori che a distanza di pochi giorni tornano a vivere l’incubo contagio.
Si chiede di individuare, altresì, un percorso di sicurezza per i nuovi ricoverati, sia dell’Spdc che delle Rsa e dei Crr, eseguendo il tampone all’ingresso, comunicandolo e tenendo un protocollo di sicurezza in attesa degli esiti anche attraverso l’isolamento temporaneo del paziente; è imprescindibile fornire idonei e in numero congruo dispositivi di protezione individuale al personale per proteggerlo. Bisogna accelerare al contempo il protocollo d’intesa con l’Azienda ospedaliera San Carlo, anche per la gestione dei pazienti che provengono dal Pronto soccorso.
Si chiede che in questo momento le attività siano ridotte ai casi indefferibili e urgenti in modo da limitare il numero di presenze contemporanee, riservandole ai pazienti in cui vi è una necessità inderogabile di supporto, garantendo la continuità terapeutica anche attraverso le attività di supporto del Dipartimento di salute mentale e attraverso contatti telefonici, videochiamate ed altre modalità di telecomunicazione, tutelando davvero la salute dei pazienti e dei lavoratori.