Pubblichiamo l’omelia pronunciata da Monsignor Pino Caiazzo durante la Santa Messa celebrata in Cattedrale per il Venerdì Santo, in compagnia di alcuni componenti del clero ma senza fedeli nel rispetto del Decreto sull’emergenza Coronavirus.
Il Venerdì Santo è il giorno dell’ingiustizia, del dolore, della condanna, della passione, della morte di Gesù Cristo, nostro Signore.
Siamo arrivati a questa celebrazione vivendo questa Quaresima che fin da subito si è rivelata difficile, sofferta, a momenti drammatica.
Mentre lo Spirito Santo conduceva Gesù nel deserto, noi rimanevamo confinati all’interno delle nostre case, e le chiese rimanevano deserte. In questa straordinaria situazione di “confino” abbiamo sentito forte il desiderio di acqua viva. Come la Samaritana, avvertendo l’arsura interiore, anche noi come acqua che disseta aneliamo alla forza della speranza per vincere la paura, affinché ci conduca verso la gente per annunciare la liberazione: purificati, perdonati, risuscitati a vita nuova.
Nel seguire il Maestro siamo saliti in alto, sul Tabor e abbiamo contemplato la trasfigurazione della storia umana in quella divina e siamo ritornati a valle con nuove certezze: Dio è con noi.
E nonostante stiamo avvertendo il fetore della morte, come quello di Lazzaro, amico di Gesù, causa di paura e disperazione, siamo chiamati a venire fuori dai sepolcri sbarrati da pesi insostenibili, per togliere le bende del non senso, dei vuoti esistenziali, degli elisir artificiali.
Infine, in cammino, dietro Gesù, acclamato come il Benedetto, il Re, ci siamo illusi di entrare festanti nella Gerusalemme terrena che improvvisamente è diventata deserta. Dalle finestre, increduli cercavamo di guardare furtivamente verso la Cattedrale o le nostre chiese per gridare invece la nostra voglia di vita e rinnegare la morte.
Ed eccoci, prigionieri dei nostri stessi pensieri, confusi, incerti e inusuali. Ma poi incontriamo Gesù, il Maestro e Signore, giudicato, condannato e fatto uccidere dalle stesse persone che prima l’avevano acclamato.
Spesso la vita è drammatica, è vile, ci tradisce, ci vende, ci abbandona lasciandoci al nostro destino. Mentre si acclama, subito dopo si condanna.
Solo la forza dell’amore ci rende pronti a sopportare il dolore e, pur trascinandoci a fatica per le strade dell’umanità, saremo capaci di portare una croce che non abbiamo scelto, non abbiamo voluto. Una condizione che condurrà fino al Calvario per essere crocifissi e morire.
Che triste storia quella di Gesù! Che triste storia quella che stiamo vivendo in questo tempo! Che triste la giornata di oggi, non solo per noi cristiani, ma per l’umanità intera! Impotenti, ci sentiamo in parte Giuda che tradisce Gesù; in parte Pietro che lo rinnega diverse volte; in parte Giacomo e gli altri discepoli che lo abbondano al suo destino; ma ci sentiamo anche in parte Giovanni che, nonostante la sua giovane età, non lo lascia solo nemmeno quando viene crocifisso. Lì ai piedi della croce, con Giovanni, riceviamo anche noi Maria come nostra Madre. Sono le parole testamentarie di Gesù prima di morire.
Noi siamo abituati, per tradizione, a visitare il Giovedì Santo le chiese, dove pensiamo di stare davanti al sepolcro di Gesù. Invece Gesù, ci dicono i Vangeli, muore oggi, e precisamente alle tre del pomeriggio. Dobbiamo recuperare il culto del Giovedì Santo visitando le chiese per adorare la presenza viva di Gesù sull’altare della reposizione e vegliare durante questa triste notte nella quale si compiono, dopo l’istituzione dell’Eucaristia (ultima cena), il tradimento, l’agonia nell’orto del Getsemani, l’arresto, il rinnegamento di Pietro, il carcere, il processo, la condanna.
In questo giorno, dopo la notte assurda e inumana del giovedì, noi contempliamo la passione e morte di Gesù. Solo al termine del Venerdì appare il sepolcro perché Giuseppe d’Arimatea si offrì di donarlo, dove deporre il corpo del Signore.
Meditando il brano del vangelo che abbiamo ascoltato, che ripropone la passione e morte di Gesù, volgendo lo sguardo al momento particolare che ormai il mondo intero sta vivendo, mi sono soffermato sull’attimo cruciale della vita terrena di Gesù: “Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.”
La sete di Gesù è la sete di questa nostra umanità, ormai contagiata, senza distinzione di persone e ruoli istituzionali, poveri o ricchi. Non possiamo in questo momento non volgere lo sguardo soprattutto verso i paesi in via di sviluppo che non hanno risonanza mediatica, né cure o luoghi adatti per accogliere i contagiati. Paesi dove la facilità della trasmissione del COVID19 è reale e incontrollata.
Mai come in questo momento avvertiamo il duplice dolore: essere in croce e sentire la vita che se ne va lentamente, come per migliaia di fratelli in questi giorni; stare ai piedi della croce e vivere il senso d’impotenza nel non poter far nulla, se non pregare, per chi sta morendo.
C’è una sete dall’alto della croce che è desiderio di vita che la terra non può dare, e c’è una sete dal basso che solo il cielo può colmare. La sete di Dio in realtà ci riporta alla scena della samaritana: Gesù chiede da bere ma in realtà è lui che alla fine dona l’acqua viva per la vita eterna. E in questo momento ne abbiamo tanto bisogno. Mentre tanti affetti se ne vanno, nasce in noi il desiderio di abbattere barriere e steccati, chiusure e distinguo. Ecco come cambia la storia improvvisamente!
C’è una sete di Gesù che viene soddisfatta con l’aceto. È un tipo di anestetico con funzione di alleviare il dolore, ma che non soddisfa il desiderio di Dio che vuole comunicare vita. La scena estrema si chiude con questa descrizione dell’evangelista Giovanni: “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito”.
Tutto finisce tragicamente. Ma c’è un piccolo e prezioso particolare che non deve sfuggirci: “E, chinato il capo, consegnò lo spirito”. La consegna di quello Spirito, che Gesù aveva ricevuto dal Padre fin dal concepimento e che corporalmente si era manifestato sotto forma di colomba nel giorno del Battesimo, è il suo ultimo atto d’amore. Ma è anche atto d’amore verso la Chiesa che, nella persona di Giovanni, di Maria e delle altre donne, sta ai piedi della croce. Lo Spirito Santo è Signore e dà la vita, lo diciamo anche nel Credo.
Dono d’amore che ci permette di vivere il dolore più atroce per la perdita di un figlio, di un parente, di un amico, di un maestro, e subito dopo la consolazione più grande perché avvertiamo che in quel momento c’è la vera Pentecoste. Proprio ora nasce la Chiesa, abitata per sempre dallo Spirito Santo perché da quel costato, ormai morto e trafitto, sgorgano sangue e acqua simboli dei sacramenti della Chiesa: il Battesimo e l’Eucaristia.
L’annuncio del venerdì santo contiene in sé una meravigliosa notizia: Dio ancora una volta si piega verso l’umanità sofferente e gemente per farla rialzare e camminare insieme a lui.
La Croce da strumento di dolore e di morte diventa gloriosa. Andando a leggere nell’Antico Testamento troviamo che il termine “Gloria” è la traduzione di Kabod che indica un peso. Dio mostra la sua gloria attraverso il peso che ha nella vita del Figlio, il quale non l’ha abbandonato nella sua sofferenza e morte.
L’immagine terrificante della Croce diventa come un faro luminoso, issato in alto, come su un trono dal quale, in quanto Re, regna su tutta la terra. La corona di spine lo mostra come colui che serve proprio quell’umanità che lo rinnega e rifiuta. Infine tutte le ferite che porta sul corpo (chiodi nelle mani e nei piedi, costato aperto) mostrano la cattiveria, la violenza umana che si scatena, ma nello stesso tempo come Gesù l’abbia saputo sopportare rispondendo con la moneta del perdono e non con la vendetta. Ha così spezzato la catena dell’odio.
Senza di lui continueremo ad avere sete e soffriremo soltanto. Con lui troviamo la forza che viene dalla Croce e siamo capaci di costruire relazioni nuove, perché sappiamo dare il giusto valore ad ogni cosa e, mai come in questo momento, stiamo capendo che non siamo i padroni del mondo e nemmeno della nostra vita.
Amen.
✠ Don Pino
Programma
Veglia di Pasqua, sabato 11 aprile ore 20 Diretta Facebook effettuata dall’Arcidiocesi di Matera-Irsina.
Santa Pasqua, domenica 12 aprile ore 11 Diretta Trm dal sagrato della Basilica Cattedrale