Il materano Leonardo Pinto in una nota esprime alcune riflessioni sul significato della festa della Liberazione alla luce anche di quanto accaduto in occasione del 75° anniversario del 25 aprile 1945.
Ma non può e non deve continuare ad essere così.
Le feste civili e religiose uniscono e non dividono; la ricorrenza del 25 aprile -dopo ben 75 anni- continua a dividere; se dev’essere, come giusto che sia, festa nazionale della nostra Repubblica deve unire. Questo dev’essere chiaro a quelli di centro, di sinistra e di destra, cioè a tutti.
Dopo 75 anni non si può continuare a ragionare facendo la conta dei morti. I morti non si processano; la morte del reo estingue il reato. I morti in quanto tali, sono solo morti.
Bisogna partire dal dato storico innegabile: la vittoria delle armate anglo-americane sui nazi-fascisti con il contributo di partigiani azionisti, cattolici, comunisti e di quel che restò dell’esercito italiano dello stato monarchico dopo l’8 settembre del ’43.
Gianpaolo Pansa, giornalista certamente di sinistra, a proposito della resistenza, ha scritto tanto per spiegare che la storia scritta con la penna dei vincitori non è stata rispettosa di tutta la verità. Ma a prescindere da questo, se il 25 aprile dev’essere festa nazionale, dev’essere festa di tutti gli italiani e non di una sola parte. E perché diventi tale è necessario che tutti, ma proprio tutti, devono considerare il 25 aprile occasione di profonda riflessione e meditazione per non ripetere gli errori commessi in passato guardando avanti senza continuare ad alimentare divisioni sulla qualità e sul numero dei morti.
A me piacerebbe che in occasione del 25 aprile, in quanto festa nazionale, si intonasse l’inno nazionale. Preciso che non ho preconcetti contro “Bella Ciao”, che rimane pur sempre, come giusto che sia, una canzone dei vincitori; mentre abbiamo bisogno, perchè sia festa nazionale, di un inno –quello nazionale- che faccia sentire tutti non di parte, ma semplicemente italiani.
Altri popoli si sono divisi o sono stati divisi con la forza e si sono combattuti aspramente, ma poi -per il bene della Nazione, quindi di tutti- si sono riuniti e riappacificati diventando politicamente ed economicamente più forti di prima. Solo per citare qualche esempio, è accaduto in Francia con la rivoluzione francese, in America con la guerra di secessione; che dire della Germania, divisa in due stati autonomi dopo la guerra perduta, con una parte -quella dell’est- sottoposta ad una delle più ortodosse dittature comuniste che ha beneficiato di condivisioni e appoggi da parte della popolazione. Non risulta che, dopo la riunificazione, i tedeschi dell’ovest abbiano alimentano o alimentino recriminazioni striscianti nei confronti dei connazionali dell’est compiacenti (e ce ne sono stati) al regime comunista, crollato senza sparare un colpo di fucile.
Mi piace ricordare che la ns. Costituzione, che ha tenuto conto anche dei vinti, non è stata pensata ed attuata in maniera ideologica, ma per affermare principi e diritti a prescindere dalle appartenenze politiche passate, attuali e future. Questa impostazione è stata voluta anche da uomini di sinistra come Togliatti di cui non fa male rileggere i suoi interventi all’assemblea costituente.
Non è più tempo di divisioni; la questione sicuramente va posta, ma non come l’ha posta Larussa, meno indicato –a mio avviso- per affrontare una questione così importante.
Le proposte, di qualunque tipo, devono avere la “forza” intrinseca di unire. Non mi pare che sia una grande genialità politica utilizzare l’epidemia del coronavirus per far diventare il 25 aprile festa nazionale di tutti gli Italiani.