Tra le 1.200 e le 1.500 imprese del commercio e dei servizi della provincia di Potenza rischiano la chiusura definitivase le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente. E’ una stima prudenziale questa della Confcommercio Potenza che ha rielaborato su scala provinciale il rapporto dell’Ufficio Studi Confcommercio sul rischio di chiusura delle imprese del terziario di mercatoche potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%.
Un rischio che incombe anche sulle imprese dei settori non sottoposti a lockdown.
I dati alla base della stima Confcommercio Potenza. Al primo trimestre dell’anno le imprese-ditte attive nei settori commercio e ristorazione in provincia di Potenza sono 9.475 di cui 7.713 del commercio (4.945 vendite al dettaglio e 1.610 vendite all’ingrosso) e 1762 della ristorazione.
I settori più colpiti – con percentuali che variano dal 12 al 42% – sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. Mentre, in assoluto, le perdite più consistenti si registrerebbero tra le professioni e la ristorazione.
Per quanto riguarda la dimensione aziendale, il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese – con 1 solo addetto e senza dipendenti – per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’attività.
“Si tratta di stime – sottolinea l’Ufficio Studi Confcommercio- che incorporano un rischio di mortalità delle imprese superiore al normale per tener conto del deterioramento del contesto economico, degli effetti della sospensione più o meno prolungata dell’attività, della maggiore presenza di ditte individuali all’interno di ciascun settore e del crollo dei consumi delle famiglie”.
Con l’avvio della Fase 2, Confcommercio ha elaborato alcune linee guida per la riapertura delle imprese del commercio al dettaglio, della ristorazione, del turismo e dei servizi. La Confederazione, nel rispetto delle misure sanitarie richieste alle imprese in merito alla prevenzione sul lavoro del rischio di contagio e sulla base dei Protocolli d’intesa del 26 marzo, siglato con Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, e del 24 aprile, sottoscritto con Cgil, Cisl, Uil e tutte le parti datoriali, ha predisposto un documento per consentire, da subito, la ripartenza in sicurezza dei settori di attività ancora sottoposti a chiusura.Il documento, che affronta la questione riaperture in termini di filiera, evidenzia la necessità di una regia nazionale per la definizione delle regole di sicurezza che devono essere poche, certe e sostenibili dal punto di vista economico per le imprese. La capacità di autoregolarsi degli imprenditori, che è alla base delle linee guida, è già stata, peraltro, dimostrata con le attività che sono rimaste aperte in questi mesi, come la distribuzione alimentare che ha affrontato in sicurezza questo difficile periodo.
Tra le linee guida contenute nel documento: fornitura di dispositivi di protezione individuale e adozione di misure organizzative, come smartworking o turni di lavoro, per ridurre al minimo le presenze e garantire il distanziamento tra lavoratori e rispetto a terzi (es. clienti, fornitori, ecc.); individuazione della procedura da seguire, rispondente alle disposizioni di igiene pubblica, in caso di sintomi da Coronavirus per lavoratori o terzi presenti nel luogo di lavoro; esposizione in azienda di tutte le informazioni, procedure e misure igienico-sanitarie e comportamentali per essere conosciute da lavoratori e terzi che accedono ai luoghi di lavoro. Altro criterio base, la presenza sul luogo di lavoro di adeguati sistemi per il lavaggio e la disinfezione delle mani e la distinzione tra pulizia e igienizzazione degli ambienti, affidata direttamente agli imprenditori, rispetto alla sanificazione prevista soltanto in specifici casi. Viene richiesto poi un intervento normativo che chiarisca una volta per tutte due aspetti specifici: che l’eventuale infezione di un lavoratore, con relativa copertura da parte dell’Inail, non comporti responsabilità per il datore di lavoro che dimostri di avere adottato ed attuato le misure di prevenzione dal contagio e che questa stessa procedura venga adottata anche per terzi che accedono ai luoghi di lavoro.
“Sarà infine necessario – conclude Confcommercio – fornire indicazioni certe e le relative strumentazioni ai medici di base per consentire loro di certificare il rientro al lavoro in totale sicurezza dei lavoratori che siano risultati assenti per malattia”.
Mag 12