Nino Sangerardi: “Quel che resta della Riforma Fondiaria in Puglia”. Di seguito la nota integrale.
Soprattutto le case coloniche agrarie risultano preda dell’abbandono,incuria e malviventi della tarda notte. Ultime testimonianze della Legge n.841 del 21 ottobre 1950 con oggetto le “Norme per la espropriazione,bonifica,trasformazione e assegnazione dei terreni ai contadini”. Ovvero la cosiddetta Riforma Fondiaria che puntava a stemperare le tensioni sociali,la fame di lavoro che dominavano il Sud nell’immediato dopoguerra.
Capolavoro politico della Democrazia Cristiana che diede vita alla piccola borghesia agricola—tramite elargizione di poderi grandi sei o massimo dieci ettari dotati di stalle e pozzi acquiferi e collegamenti viari e dighe, scuole agrarie Chiese e officine—sottraendo al Partito comunista italiano e movimenti sindacali il consenso di nullatenenti e braccianti.
Settecentocinquantamila gli ettari espropriati ai detentori di latifondo nel centro Sud di cui 196.937 in Puglia e Lucania, dando vita all’insediamento di 121 mila nuclei familiari.
Non poche le vicissitudini in capo ai proprietari di migliaia di ettari, come quel barone che dopo aver mietuto cereali e granturco prima di autorizzare gli spigolatori faceva passare galline e pecore e capre. Insomma: prima gli animali e poi uomini donne e bambini denutriti.
E comunque la struttura imprenditoriale decretata dalla Riforma, dieci ettari per famiglia, non competitiva dal punto di vista economico nel giro di pochi lustri si autodistrugge.
Il miracolo economico, anni ’60, determina la fuga di piccoli e medi agricoltori meridionali verso Lombardia Piemonte Veneto Germania Francia e Svizzera, e l’inizio del declino del rinnovamento agrario nel Mezzogiorno italiano.
A fine anno 1993 viene chiuso l’Ente regionale per lo sviluppo agricolo pugliese (Ersap, già Ente riforma fondiaria) con relativa lista di debiti e crediti.
La Regione Puglia con Legge n.20 del 30 giugno 1999 procede alla dismissione e vendita di terreni,fabbricati e borgate(patrimonio valutato 50-60 milioni di euro) riconducibili all’Ersap a tariffe assai convenienti.
Finisce qui l’avventura politica e sociale della Riforma Fondiara d’Apulia.