Nonostante il calo di consumi durante il lockdown, l’agroalimentare bio ha catalizzato l’attenzione del 30% della clientela e il 20% degli italiani ha scelto prodotti sostenibili. Se la recessione per la pandemia mette a rischio il valore degli acquisti di prodotti bio è anche vero che, dunque, il Paese ne sta uscendo sempre più attento a origine e qualità. A sostenerlo è Anabio, l’associazione dei produttori biologici aderenti a Cia-Agricoltori Basilicata.
L’Anabio- che raccoglie l’adesione di circa 600 aziende bio lucane – sul piano organizzativo è impegnata in cinque comprensori e in una dozzina di filiere di produzione che variano dall’olio, al vino, al miele, al grano, sino all’ortofrutta. Si punta a rafforzare i distretti biologici per la piena integrazione tra agro-alimentare e territorio, al fine di migliorare la qualità della vita nelle comunità rurali.
La transizione verde europea che dà appuntamento al 2030, chiama all’appello anche il settore biologico, ma l’Italia non può pensare di mettersi in carreggiata senza l’approvazione del disegno di Legge sul biologico e una spinta su provvedimenti amministrativi che facciano ordine tra le statistiche esistenti su produzione, import ed export Ue., E’ un’opportunità per il settore, continuaAnabio-Cia, tenuto anche conto anche dell’andamento, in emergenza Covid-19. Negli ultimi 5 mesi, infatti, sono entrati nella filiera 2.068 operatori per una superficie pari a 71.921 ettari.
In Basilicata sono 34 le imprese agricole della Filiera BIO+ promossa da Agrinsieme Basilicata (Cia, Confagricoltura, Cooperative Italiane, Copagri), di cui 28 che coltivano cereali e leguminose da granella con metodo biologico, 3 che coltivano uve di varietà aglianico nella zona del Vulture, 2 coltivano il fungo Cardoncello e una sulla produzione di frutta secca con particolare riguardo alle mandorle dolci. L’investimento del progetto supera i 10milioni di euro.Queste imprese fanno una Produzione Lorda di oltre 63.000 quintali, di cui gran parte proviene dal settore cerealicolo ma buone sono anche le produzioni delle uve, dei funghi e di frutta secca. Sono aziende professionali con una media di oltre 50 ha – azienda investiti a coltura biologica e con una produzione media di oltre 1.700 quintali cadauna.
Di fronte a tale scenario, interviene Anabio-Cia, l’Italia deve chiaramente accelerare su una solida dotazione interna di indicazioni chiare e regole certe, molte delle quali contenute nel disegno di Legge “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” in discussione in Comagri e che all’art.6 prevede la necessaria “istituzione di un Marchio biologico italiano”. E’ quanto Anabio-Cia attende da tempo, dopo il lungo iter che l’ha vista impegnata nella fase di stesura.