Usb Basilicata chiede prosecuzione presso gli enti dei Tirocini inclusione sociale e applicazione articolo 87 del decreto legge 18/2020 per i percettori del reddito minimo di inserimento. Di seguito la nota integrale.
I primi mesi dell’anno, fino al blocco delle manifestazioni a causa del rischio sanitario, sono stati caratterizzati anche dalle proteste dei TIS che per giorni hanno chiesto la modifica del piano regionale che li vedeva assegnati alle aziende del terzo settore. Paventavano, dopo il lavoro nero legalizzato presso gli enti, un ulteriore periodo di precariato in cui si sarebbero avvantaggiati del loro lavoro e delle risorse pubbliche le aziende che, o per l’utilizzo di persone svantaggiate o per i servizi diretti allo stesso tipo di platea, sono subentrati nella gestione di tante attività pubbliche esternalizzate, aumentandone i costi e diminuendo i diritti dei loro soci/dipendenti.
Ignorando i chiari interessi e le richieste delle persone coinvolte e che stanno chiedendo di restare presso gli enti pubblici anche prestando attività socialmente utili piuttosto che come tirocinanti, qualche giorno fa in una nota a firma dei tre segretari sindacali regionali CGIL CISL e Uil si chiedeva a gran voce il completamento del nuovo progetto di coinvolgimento ex TIS, dimostrando chiaramente da che parte batte il loro cuore.
Torniamo a chiedere di prevedere la continuazione delle prestazione dei TIS presso gli enti dove sono stati utilizzati da anni, trovando anche quella identità sociale che dovrebbe essere lo scopo perseguito da questi interventi contro l’esclusione.
Inoltre giova ripetere che le tante difficoltà create a questi cittadini, le imposizioni di scegliere tra TIS, reddito minimo di inserimento e reddito di cittadinanza avrebbero potuto essere evitati se tali misure fossero state oggetto di una intesa tra regione e ministero del lavoro al fine di una erogazione integrata con le misure nazionali, come previsto da decreto legge n. 4/2019 sul reddito di cittadinanza, invece di metterle in concorrenza.
Un ultimo non secondario appunto. L’art. 87 del decreto legge n. 18/2020 e le circolari applicative della funzione pubblica hanno stabilito per tutta la durata dell’emergenza sanitaria che lo smart working fosse la normale modalità della prestazione lavorativa e che, in caso di impossibilità a rendere la prestazione in tale modalità e dopo aver utilizzato ferie e permessi nella disponibilità dei lavoratori, la prestazione doveva comunque considerarsi resa.
Allora vorremmo capire perché i percettori del reddito minimo di inserimento dovrebbero recuperare le ore delle prestazioni che non hanno potuto rendere, visto tra l’altro che gli enti non avrebbero potuto assicurare le condizioni di sicurezza necessari, a differenza di quanto è avvenuto per decine di migliaia di altri dipendenti e l’esclusione prevista anche per i percettori del reddito di cittadinanza di dover in questo periodo rispettare le norme relative alle prestazioni e alla ricerca di opportunità di lavoro.
Chiediamo l’immediata sospensione del recupero orario non escludendo anche rivalse di tipo legale.
Sperando che il presidente Bardi e la sua giunta vogliano finalmente aprire un confronto costruttivo anche con le rappresentanze sindacali che i lavoratori si sono scelti per una soluzione non imposta e condivisa.