I rapporti tra Antonio Mattia del Movimento 5 Stelle e il Magistrato che nel marzo 2019 prestava servizio presso il Palazzo di Giustizia di Potenza e che avrebbe dovuto ricoprire la carica di assessore se i pentastellati avessero vinto le elezioni. Sulla vicenda, gioverà ricordarlo, Bolognetti ha inoltrato tre esposti al CSM e il nome del magistrato resta tutt’ora ignoto, “coperto – sottolinea il Segretario di Radicali Lucani con un pizzico di ironia – dal singolare riserbo del facilitatore pentastellato Mattia”. Il magistrato in oggetto non a caso è stato ribattezzato dall’esponente radicale “magistrato zorro” e “magistrato mascherato”. E ancora quella che Bolognetti definisce “la patente situazione di incompatibilità ambientale in cui si trova il dr. Salvatore Colella”, anch’essa oggetto di esposti inviati al CSM da parte del leader radicale.
E infine, ma non ultimo, la domanda che Bolognetti ha inteso rivolgere al Procuratore Pietro Argentino su quanto è emerso dagli atti dell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Perugia sul “Caso Palamara”.
Questi i temi “caldi” che l’esponente radicale ha trattato in una lunga conferenza stampa che si è tenuta vicino all’ingresso del Palazzo di Giustizia materano, nel corso della quale ha anche segnalato di aver inviato l’11 giugno scorso un esposto-denuncia al Procuratore di Potenza, Francesco Curcio, avente per oggetto “lettera anonima contenente informazioni su magistrati in servizio in Basilicata”.
Questo il testo che Maurizio Bolognetti ha distribuito ai giornalisti nel corso della conferenza stampa e nel quale l’esponente radicale dichiara quanto segue:
“E’ lecito chiedersi se sia opportuno che alcuni magistrati continuino a prestare servizio in Basilicata, nonostante patenti situazioni di incompatibilità ambientale. Da Matera lancio un appello al CSM e al Ministro della Giustizia per chiedere ragione dell’assordante silenzio su alcuni esposti che ho indirizzato alla loro attenzione nel 2019. La giustizia è o dovrebbe essere una cosa seria, anche in un Paese come il nostro dove da tempo la Costituzione è stata ridotta a carta straccia e con essa gli articoli 111 e 27. La Giustizia dovrebbe essere una cosa seria anche in un Paese come il nostro dove imperversa un Ministro che non esita a definire l’abolizione della prescrizione una conquista di civiltà. Chi amministra giustizia, chi indossa la toga dovrebbe quotidianamente ricordare a se stesso le parole del costituente Piero Calamandrei: “E’ arduo codificare l’indipendenza. Occorrono certo la terzietà e l’imparzialità, ma occorre anche che terzietà e imparzialità siano assicurate sotto il profilo dell’apparenza. Il giudice ad esempio dovrebbe consumare i suoi pasti da solo”. Ecco, la domanda che inevitabilmente devo tornare a porre è la seguente: agli occhi dei cittadini lucani e non, il magistrato ignoto che a marzo scorso ebbe a cedere alle lusinghe di Antonio Mattia e Salvatore Colella, come appaiono? Nel Paese dei Palamara e di un’amministrazione della giustizia in bancarotta, nel Paese dove la non ragionevole durata dei processi si traduce in giustizia negata per imputati e vittime, nel Paese in cui troppo spesso la legge si applica per i nemici e si interpreta per gli amici, affermo che chi amministra giustizia debba essere come la moglie di Cesare. Mutuando le parole del Presidente Mattarella, potrei dire che la vicenda del magistrato zorro “ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario, la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili alla vita della Repubblica”. Ha ragione Claudio Martelli quando afferma che il CSM e l’ANM sono due organi in cui si è “espresso prima il peggiore ideologismo corporativo e poi la più sfrenata clientela di potere”. E avevamo ragione noi quando, con Marco Pannella, abbiamo provato a cambiare il sistema elettorale del CSM, ad abolire gli incarichi extragiudiziari e a introdurre un’autentica responsabilità civile del magistrato che sbaglia per dolo o colpa grave. Non pretendo che il dottor Colella consumi i suoi pasti da solo, ma che venga destinato ad altra sede non lucana continuerò a chiederlo.
Così come devo necessariamente porre un quesito al Procuratore Capo di Matera: E’ vero o non è vero, dr. Argentino, quel che emerge dagli atti dell’inchiesta di Perugia, nei quali si legge di una collaborazione di suo figlio con l’avvocato Piero Amara? Segnatamente a pag. 129 del procedimento 6652/2018 è dato leggere quanto segue:
“L’avvocato Amara Piero è certamente uno dei principali protagonisti della complessa trama scaturita svolte dai vari uffici giudiziari. Egli è stato incaricato di seguire vari processi per conto di Eni e, come da lui stesso ammesso, nell’interesse di parte del management di tale società ha inoltrato tre esposti anonimi alla Procura della Repubblica di Trani del tutto infondati […] Egli, poi, ha svolto attività legale per conto di uno dei commissari dell’Ilva di Taranto. Nel seguire tali attività, secondo la ricostruzione offerta da Calafiore, ha mirato a creare rapporti con alcuni magistrati ai vertici di alcune procure. Nel suo studio l’avvocato Amara aveva fatto inserire il figlio dell’allora procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino”.
Ecco, dr. Argentino, ripeto la domanda: risponde a verità quanto affermato da Calafiore?
A me risulta, dr. Argentino, che nel suo periodo pugliese lei abbia svolto delicate indagini su Eni e Ilva.
Dr. Argentino, se la collaborazione di suo figlio con l’avvocato Amara dovesse essere confermata, a mio avviso, lei dovrebbe opportunamente chiedere il trasferimento ad altra sede non lucana e non pugliese.
E’ perfino superfluo sottolineare che l’Eni ha interessi rilevanti in Basilicata e che il petrolio che l’Eni estrae in terra lucana viene trattato dalle raffinerie Eni di Taranto.
Questioni di opportunità anche rievocando le sagge parole di Piero Calamandrei, dr. Argentino. Questioni di opportunità che dovrebbero indurla a rinunciare alla carica di Procuratore capo in quel di Matera.
Chi amministra giustizia decide della vita delle persone e in questo momento la mia testa funziona come un Jukebox e i dischi che continuano a girare sono due: “Un Giudice”, leggendario brano del compianto Fabrizio De André, e il rock partenopeo di Bennato con il suo “In prigione, in prigione”. Chissà perché anche in questa brutta pagina che emerge dalle carte dell’inchiesta di Perugia ci sono storie di serie A e storie di serie C che non hanno avuto alcuna eco mediatica. Non mi stupisce. Basti pensare a certe vicende lucane che racconto da anni, che puntualmente si son fermate a Eboli. Nessun fatto si è precipitato a raccontarle. Già, chissà perché”.
La fotogallery della conferenza stampa (foto www.SassiLive.it)