Ogni giorno è una scoperta. Quella dei tantissimi risvolti che la pallacanestro può assumere, dei molteplici linguaggi che può parlare e dei particolarissimi satelliti che attorno ad essa gravitano. Ogni giorno, vivere un Camp di basket, pallavolo e calcio in questa fase storica nella quale i protocolli di sicurezza anti-Covid non permettono di godere dell’aspetto più importante, ossia il gioco, significa cercare in ogni spicchio ideale di quel pallone, un modo diverso di raccontare e vivere questo sport meraviglioso. Cercarlo e… trovarlo.
Sì, perché dopo la prima settimana di City Camp si può dire che l’esperimento di portarne comunque la quinta edizione al Villaggio del Fanciullo di Matera coinvolgendo tanti bambini e ragazzi del territorio, non è stato un azzardo. L’esperimento è riuscito e proseguirà per altri due mesi con tantissimo da offrire.
Tanto, come ciò che abitualmente in un Camp non si proponeva e che, invece, è stato ciò che ha reso diversa e altrettanto interessante e coinvolgente l’edizoone 2020 come ci spiega Raffaele Rubino, anima del City Camp assieme a Rosario Braia, Luigi Taratufolo ed i ragazzi di Oltre L’Arte.
Raffaele, è trascorsa una settimane, allora è possibile insegnare qualcosa ai ragazzi e, al tempo stesso, farli divertire nonostante tutte le attenzioni che dovete riporre al distanziamento sociale e alle norme di sicurezza?
“Sì, è possibile perché i ragazzi sono bravissimi, molto attenti, disponibili e ricettivi, anche se la voglia che hanno di giocare è grandissima e a volte capita che dobbiamo stopparli sul più bello perché la tentazione di mettersi a giocare una partitella ce l’hanno. E, ovviamente, dobbiamo impedirglielo risultando antipatici. Però poi capiscono“.
Torniamo indietro al primo lunedì, quello in cui è iniziato il City Camp 2020: eri più eccitato all’idea di riportare la pallacanestro, la pallavolo ed il calcio su un campo o preoccupato di attenerti a tutti le disposizioni che sono state prescritte in questa fase?
“E’ stato tutto molto strano. Termoscanner, autocertificazioni da controllare, percorsi da gestire, stazioni con tempi da rispettare per ognu gruppo di ragazzi… Non sapevamo se saremmo stati in grado di tenere tutto sotto controllo, ma ci siamo riusciti e, quando ce ne siamo accorti, la tensione si è sciolta. E’ stato un problmema anche il tempo, ma ringrazio per l’opportunità che il Villaggio del Fanciullo ci ha concesso”.
Come state lavorando?
“Lavoro tecnico individuale, tanto, su trattamento di palla, movimenti e tiro, e altrettanto lavoro fisico-atletico sul prato. Abbiamo spazi molto ampi e questo ci aiuta, e ci siamo focalizzati su aspetti particolari come l’alimentazione e l’approccio mentale allo sport e il feedback che abbiamo ricevuto dai camperini e dalle loro famiglie è stato molto positivo e ci sta dando grandi stimoli“.
Ti fermo. Sono situazioni, queste ultime, non abituali per un Camp
“Infatti, ma ai ragazzi piace e, soprattutto, li aiuta. Durante la quarantena, durante le nostre dirette, avevamo già avuto modo di affrontare l’aspetto psicologico ed è stato già un approccio importante perché i giovani hanno sperimentato cosa significa affrontare imprevisti e difficoltà e a superarle. Ora sviluppiamo questi concetti con dei professionisti che spiegano come ottimizzare le giornate, come fare fruttare al meglio ogni situazione, anche quelle apparentemente meno significative. Il nutrizionista, poi, offre un approccio che vale non solo per un atleta, ma per chiunque faccia sport o solo voglia vivere in modo sano. Ecco, direi che per i ragazzi che frequentano il Camp è un modo di avvicinarli al mondo dello sport e della vita“.
Lapproccio dei ragazzi, quindi è positivo?
“Estremamente. Hanno una voglia incredibile, d’altronde dopo tre mesi a vivere e studiare in casa, soli davanti a smartphone, computer e tablet, il desiderio di imparare cose nuove, sperimentandole, è fortissimo“.