Antonia Flaminia Chiari, componente del Centro Studi Leone XIII in una nota ricorda la figura di Amintore Fanfani. Di seguito il testo integrale.
Amintore Fanfani. Piccolo fisicamente, ma gigantesco rispetto ai politici di oggi. Combattivo, imperioso, generoso. Intransigente, onesto. Geniale, intuitivo, schietto, diretto. Perdente mai vinto, entusiasta, determinato. Perciò Indro Montanelli con affettuosa ironia lo ribattezzò “il ricciolo”. L’ “aretino”, un ” cavallo di razza” democristiano, come lo definì Donat Cattin, non fu solo il più potente tra i segretari della DC, un pluriministro e pluripresidente del Consiglio, il leader della sconfitta epica al referendum sul divorzio, l’inventore di un originale linguaggio politico pieno di metafore e aneddoti toscani, insomma un uomo di potere, tra i maggiori della lunga stagione della Prima Repubblica; fu anche un coraggioso interprete della politica estera italiana, il primo dopo De Gasperi – sulla scia di La Pira – ad aver capito che un Paese che non riesce a farsi rispettare sullo scenario internazionale non ha avvenire.
Il principale successo di Fanfani fu l’aver dato casa e l’aver fatto uscire dalla povertà, come ministro del Lavoro attraverso il “Piano Fanfani Ina-Casa”, a centinaia di migliaia di lavoratori italiani.
Sapeva essere, contrariamente a quello che appariva in televisione, cordiale e sorridente; e soprattutto, a differenza della maggior parte degli uomini politici, sapeva ascoltare.
I “Diari” di Fanfani sono un’opera di grandissimo valore. In essi c’è una pagina dei Quaderni Svizzeri (1943) che da sola colma anni di silenzio della memoria, e che proietta sui decenni successivi il senso e la luce di una moralità che attinge alla fede religiosa per farsi impegno civico e politico. ” Il caos che è succeduto al 25 luglio e all’8 settembre in fondo è provvidenziale, spazzerà via la piazza di tutte le immondizie e di tutti i residui di precedenti esperienze. Il grande incendio consumerà laceri programmi e deboli candele. Quando il buio tornerà grande, sarà il momento di accendere la nuova lucerna”. La nuova lucerna è il raggiungimento della”massima espansione della persona”, la convinzione che alla fine del fascismo non si chiude semplicemente una parentesi, ma piuttosto si valichi una soglia, al di là della quale dovrà stare un nuovo assetto della politica, della società, delle istituzioni; una Civitas humana nella quale l’umanesimo integrale dovrà sostenere e alimentare un interventismo economico orientato al bene sociale e alla libera espansione della persona. Questa lucerna illuminerà sempre la sua attività e la sua vita di politico e di studioso.
La profonda lungimiranza lo portò ad affermare che le innovazioni tecnologiche avrebbero potuto conferire nuova vitalità alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica, determinando una maggiore apertura dei soggetti politici alle loro proposte. Sostenne il bicameralismo come garanzia della democraticità del sistema di governo ed elemento di forza del Parlamento, di fronte alla responsabilità di un efficace agire dello Stato nel nuovo orizzonte aperto dalla terza rivoluzione industriale.
Sull’insegnamento di Fanfani, la politica deve davvero essere l’arte del bene comune, tanto nella quotidianità quanto nella straordinarietà delle scelte. E non è irrilevante aver dimostrato nella vita di saper fare cose egregie, prima di voler risolvere, con una politica improvvisata, i problemi degli altri.
Fanfani si fa profeta: analizza la storia del mondo per guardare al futuro. Ed assegna ai giovani il compito di leggere la storia per trovare in essa le idee che possono guidare il nostro domani. Tenendo accesa quella lucerna che ci permetterà di varcare la soglia di questa lunga parentesi buia, per camminare verso una nuova Civitas humana ispirata al personalismo cattolico.
È questa l’attualità del pensiero di Fanfani.
Giu 28