Il settore biologico sarà strategico per il Green Deal Ue e l’Italia potrà essere protagonista della svolta sostenibile in campo agricolo, solo partendo dall’approvazione del disegno di legge in discussione in Comagri Senato. Occorre accelerare subito anche su semplificazione e garantire elevati standard di produzione. Così Anabio, l’associazione per il biologico di Cia-Agricoltori Italiani, in occasione del webinar che chiude il ciclo degli incontri, in chiave green, promossi a luglio dall’organizzazione.
Alla base della videoconferenza, online, dedicata da Anabio-Cia al confronto con tecnici e istituzioni, sulle politiche del settore a livello nazionale, gli obiettivi di sostenibilità fissati dalle strategie Ue “Farm to Fork” e “Biodiversity”: l’aumento del 25% della superficie ad agricoltura bio entro il 2030 e l’integrazione tra attività economiche e protezione degli ecosistemi.
I dirigenti di Anabio-Cia Basilicata hanno evidenziato che al 31 dicembre 2018, la superficie coltivata ad agricoltura biologica per la prima volta dopo anni segna una diminuzione dell’1,1 per cento attestandosi di poco sotto i 101mila ettari e rappresenta il 5,6 per cento della superficie complessiva (le aziende invece pesano per il 20,6 per cento sul totale).
C’è però da segnalare che gli operatori bio da noi aumentano dell’1,6 per cento. Sono in totale 2.271 di cui 2.064 “esclusivi” nel senso che si occupano solo di coltivazioni biologiche. Quanto alle tipologie di produzioni in Basilicata i cereali si confermano al primo posto con 35.600 ettari, seguiti dalle colture foraggere (17.300 ettari); l’olivo è a quota 5.500 ettari a conferma della crescente domanda di olio bio e poi ortaggi (quasi 4 mila ettari), frutta (1.700 ettari) mentre il vino biologico a noi è solo una”nicchia” produttiva con meno di 1000 ha di vite.
L’Anabio che raccoglie l’adesione di circa 600 aziende bio lucane sul piano organizzativo è impegnata in cinque comprensori e in una dozzina di filiere di produzione che variano dall’olio, al vino, al miele, al grano, sino all’ortofrutta. Si punta a rafforzare i distretti biologici che si inseriscono nel dibattito sulla capacità di integrazione tra agro-alimentare e territorio, al fine di migliorare la qualità della vita nelle comunità rurali. Sono un vero e proprio fenomeno territoriale connotati dalla forma di sviluppo endogeno che ha preso vita in seguito all’azione combinata di alcuni elementi quali la presenza di un piano di sviluppo, la partecipazione degli attori locali e la presenza di forti attitudini imprenditoriali.
Entro il 2030 la produzione biologica comunitaria potrebbe raggiungere almeno il 15% della superficie agricola coltivata, ma gli sforzi da compiere, secondo Anabio-Cia, sono ancora considerevoli. Sul fronte italiano ci sono, infatti, chiare priorità: partendo dal rafforzamento del Sistema SINAB, servono campagne istituzionali, d’informazione e promozione, per comunicare meglio ai consumatori il valore della produzione bio. E’ necessario incentivare l’acquisto di bio Made in Italy e procedere con l’istituzione di un “Marchio biologico italiano” come previsto nel disegno di legge “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” di cui si chiede approvazione.
“Il ruolo chiave del settore biologico all’interno del Green Deal Ue, rende qualità e semplificazione, asset non più derogabili -ha dichiarato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino. Per questo chiediamo alla Commissione Ue, provvedimenti che tutelino gli investimenti degli agricoltori e una reale semplificazione delle procedure burocratiche vigenti. Cruciale sarà anche la Pac -ha aggiunto Scanavino-. La nuova architettura verde, proposta nella riforma post 2020, va utilizzata a sostegno del biologico. Gli ‘eco-schemi’, sui quali la Commissione intende investire risorse del I pilastro, devono poter essere utilizzati anche per questo comparto. Sarà opportuno, quindi, trasferire nell’’eco-schema’ i pagamenti a favore del bio, uscendo dalle logiche compensative dello sviluppo rurale”.