Michele Rutigliano: “La Basilicata e la piccola rivoluzione della pandemia”. Di seguito la nota integrale.
Se diamo retta alla grande storia e in particolare a quella del Mezzogiorno, dovremmo avere l’onestà intellettuale di ammettere che il Sud non è mai stato un terreno fertile per le rivoluzioni. Un mondo, quello meridionale, distinto e distante dagli altri paesi europei, dove le Rivoluzioni scoppiarono eccome. Agli inizi del 1700 ebbe inizio la Rivoluzione industriale in Inghilterra. Il 14 luglio 1789, con la presa della Bastiglia, scoppiò la Rivoluzione francese, mentre in Russia,il 24 Ottobre 1917 divampòla Rivoluzione comunista.E in Italia? E nel Mezzogiorno? Alcuni intellettuali,soprattutto giornalisti e saggisti più che storici, hanno sostenuto per lungo tempo che al Sud la vera rivoluzione l’hanno fatta i contadini con il Brigantaggio. Magari fosse stato così! Da noi, in Basilicata,Carmine Crocco e NincoNanco,i due briganti più famosi, quelli che dovevano instaurare il nuovo ordine contro gli odiati piemontesi, non riuscirono a creare alcun movimento popolare che sostenesse il loro progetto. E ben presto fallirono nell’impresa. Seppure dotati di coraggio, intelligenza e spregiudicatezza,non riuscirono a trascinare in quella tragica avventura nè i contadini, nè i braccianti, né tantomeno i luigini, quei piccoli borghesi di cui parlava tanto Carlo Levi. Le rivolte,i saccheggi e gli omicidi provocati dai briganti, così come la giustizia violenta e sommaria praticata dai piemontesi non riuscirono a trasformare quella sacrosanta ribellione in una vera rivoluzione. E nemmeno si può parlare di una lotta di classe tra borghesia agraria e contadini. Certo è che non possiamo semplificare in poche righe una fase storica così complessa e ancora tanto controversa. E’ vero che furono i piemontesi a sterminare i briganti. Ma chi fece fallire il brigantaggio e il suo progetto politico? L’esercito piemontese’? No! La borghesia liberale? Per niente. Il clero e i reazionari? Ma per carità! Il Brigantaggio lo fecero fallire i contadini. Furono loro a dichiarare forfait. Di fronte alle atrocità e alle razzie dei briganti, la stragrande maggioranza dei contadini rimase inorridita. Non imbracciarono il fucile, non si dettero alla macchia, non protessero con l’omertà i briganti, come facevano i mafiosi con i loro ricercati. Più che alla paura e al fatalismo, si arresero alla pietà, ai sentimenti e alla tradizione. Quella civiltà millenaria non avrebbe mai tollerato un nuovo ordine sociale che si reggeva sull’odio di classe, sulla vendetta, sulla giustizia sommaria. Seppure da conquistatori e dominatori, i piemontesi rappresentavano comunque il futuro. I Briganti, invece, rappresentavano il caos, il disordine, un rischioso e anacronistico ritorno al passato.Il mondo contadino era sì povero, arretrato e analfabeta, e non tutto per la verità, ma mai e poi mai avrebbe barattato la sua civiltà con la barbarie che stava imperversando nei paesi e nelle campagne meridionali. Anche la Rivoluzione napoletana del 1799 subì la stessa sorte. La plebe prima acclamò quei coraggiosi intellettuali che la organizzarono, salvo poi tradirli e accompagnarli al patibolo, dopo una feroce repressione messa in atto dai Borboni. E il Risorgimento? Cosa rappresentò il Risorgimento per i meridionali? Iniziò con i moti liberali, ma finì esattamente come lo descrisse Tomasi di Lampedusa nel suo celebre romanzo “Il Gattopardo”. Cambiarono vessilli, bandiere e retorica. Ma, nel Sud, sotto mentite spoglie, la vecchia borghesia agraria e la secolare aristocrazia baronale si consolidarono come e più forti di prima.L’occupazione delle terre e la Riforma agraria non furono una rivoluzione perché intervennero quando già il boom economico e l’industrializzazione erano alle porte della neonata Repubblica. Se la riforma agraria, al Sud, fosse stata fatta ai primi dell’Ottocento, allora sì che sarebbe stata una rivoluzione. E così è stato per la Resistenza, nata e combattuta prevalentemente al Nord, mentre il Sessantotto e la sua cosiddetta “rivoluzione culturale”ha interessato soprattutto i giovani della buona e grassa borghesia che volevano esportare il marxismo nelle fabbriche del nord e il maoismo tra i contadini del sud. Se però, nel Mezzogiorno, la grande storia ha prodotto così poco o nulla sul versante delle rivoluzioni, è nella piccola storia che possiamo trovare tante sorprese. E’ lì che dobbiamo immergerci se vogliamo capire i cambiamenti e le trasformazioni avvenuti nella mentalità, nei costumi e nella cultura delle giovani generazioni del Sud, quelle di ieri e quelle di oggi. Concentriamoci per un attimo sulla Basilicata, sullasua storia del Novecento. Ci sono stati, nel secolo scorso,diversi passaggi che hanno generato novità, cambiamenti e forse nuovi paradigmi di vita sociale. Scintille di rivoluzione, se così possiamo definirle, che hanno prodotto quell’energia necessaria a ribaltare credenze, mentalità e costumi radicati nei secoli dei secoli. Vogliamo fare alcuni esempi? Ricordo che mia zia Giovannina, classe 1899, scomparsa nel 1973, mi raccontava spesso un episodio. Un fatto che visse in prima persona una sua cara amica di Ferrandina, subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Dopo quattro anni di permanenza al fronte, molti soldati, almeno quelli scampati alla morte nelle trincee e nelle battaglie, ritornarono nei loro paesi del Sud profondamente cambiati. Dopo aver vistoe vissuto le atrocità della guerra, entrarono anche in contatto con altre mentalità, altri usi e costumi. Non vissero solo sui campi di battaglia e nelle trincee ma visitarono anche quei paesini e quelle contrade che circondavano il Monte Grappa, il Piave, l’Isonzo, il Carso. Quell’amica di mia zia, quando la guerra finì nel 1918, avevasi e no ventidue anni. Il suo fidanzatino di Ferrandina ebbe la ventura di tornare vivo da Vittorio Veneto e nell’immaginario collettivo, lui e i suoi commilitoni rientrati a casa, erano visti come tanti piccoli eroi. E questo atteggiamento di gratitudine e ammirazione venne fuori non solo nella comunità, ma soprattutto nelle famiglie. Le mamme, i papà, le sorelle e le fidanzate consideravano un miracolo del cielo vedere in carne e ossa, e non sepolto in una bara, quel soldatino redivivo. E torniamo al racconto di mia zia. Dopo un po’ di giorni dal rientro in famiglia, i fidanzati ripresero a frequentarsi rigorosamente nella casa di lei. Una sera, mentre lui raccontava alla ragazza e aifuturi suoceri qualche episodio della guerra, improvvisamente le chiese di alzarsi. Cammina un po’ – le chiese . E dopo alcuni passi ad andamento lento esclamò: Ma perché voi ragazze vi vestite ancora da pacchiane? Lo sai che lì al Nord a Trento e a Trieste le signorine come te si mettono la gonna e la camicetta? Ebbene quella domanda provocò nel costume e nella mentalità del paese, prima una slavina e poi una valanga. Iniziò lei a mettersi la gonna, seppure sotto il ginocchio, perché così voleva il fidanzato. E se voleva il fidanzato a maggior ragione dovevano accodarsi il padre, la madre, gli zii, i cugini e i parenti fino all’ottavo grado. Nel 1919, a Ferrandina, nei comuni della Basilicata e del Mezzogiorno, per volere di quei ragazzi tornati vincitori dalla guerra, iniziò, lenta, impercettibile ma incoraggiata e convinta l’emancipazione della donna. Una piccola rivoluzione per i tempi di allora, quando due giovani, pur fidanzati ufficialmente, non potevano scambiarsi nemmeno un bacio alla presenza dei genitori. E così che possiamo vedere nelle fotografie delle nostre zie, scattate negli anni venti e trenta, quelle belle acconciature, quei bei vestiti e quei sorrisi sensuali che mai sarebbero stati possibili se una mentalità più aperta e moderna per i tempi di allora non prendeva il sopravvento. Questo per dire che non è impossibile, in alcuni contesti storici, sfatare luoghi comuni, pregiudizi, stereotipi che hanno tanto danneggiato la reputazione dei meridionali nel mondo. Il napoletano Cesare Malpica, romanziere e poeta, giurista e critico letterario, giornalista tra i più prolifici del suo tempo, decise nel 1847 di recarsi in Basilicata, l’unica regione italianache non aveva ancora visitato. Sapete in che modo, i suoi amici napoletanicommentarono questo suo desiderio? “ “Ma perché – gli chiesero –andare in Basilicata? E’ un paese privo d’interesse. Vi troverete fra monti aridi o tra paeselli abitati da barbari. E’ una regione irta,nuda,nevosa,sterile, affamata.” Malpica però non sente ragioni. Si mette in viaggio per la Basilicata e ne rimane entusiasta. Vede con i suoi occhi,- così ci racconta nel suo libro “La Basilicata, Impressioni” – che le campagne erano ridenti ericche di allevamenti di bestiame. Non avrebbe mai immaginato di trovare, nei suoi comuni, una borghesia cosciente e responsabile, interessata ai problemi del proprio paese. Non sono barbari i suoi abitanti, né fatui- aggiunge Malpica – Non sono gretti e superstiziosi i galantuomini che lo accolgono nelle loro case. Sono colti e preparati, sono gli stessi che animeranno i Circoli Costituzionali presenti in ogni centro della provincia nel 1848. Per tornare ai giorni nostri,siamo tutti spaventati perché stiamo vivendo tempi difficili.In Basilicata, come nelle altre regioni del Mezzogiorno, la crisi economica potrebbe sfociare in una drammatica crisi sociale. Forse è giunta l’ora di ribaltare gli schemi del passato, di spazzare via quegli odiosi pregiudizi sui meridionali,di rassicurare quei giovani rientrati precipitosamente dal Nord, divenuto improvvisamente insicuro e inaffidabile, per infondere loro non solo speranza ma certezza che a questo giro di giostra molte cose potrebbero davvero cambiare. E così scopriamo, improvvisamente, che i difetti che la Regione, grazie a uno starnuto della Storia o a un virus, seicento volte più piccolo del diametro di un capello, possono trasformarsi invirtù. In tante benedizioni che la clemenza del Padreterno ci ha inviato. E meno male che gli scienziati, non seguono i pregiudizi, non alimentano il razzismo, non credono ai miracoli. La scienza ci mette in guardia? E allora fermiamoci un attimo, per favore! Questa pandemia avrà pure provocato lutti, psicosi, tragedie. Ma alcune sacrosante verità ce le ha sbattute in faccia. Non èvero che, sull’altare del progresso, all’uomo può essere consentito tutto. Non è vero che la globalizzazione ci renderà tutti più ricchi e felici. Non è vero che “il ritmo della vita moderna” non potrebbe, per il capriccio di un pipistrello, spedirci tutti al Creatore. Dobbiamo badare all’essenziale. Nella vita comunitaria, ad esempio, dobbiamo riscoprire la dimensione locale, i piccoli paesi, il rispetto dell’ambiente, il ritorno nelle campagne, la rinascita dei centri storici, un turismo di qualità, e soprattutto l’equilibrio e l’armonia della natura. Potremmo elencarne altri, ma sono questi gli argomenti che dovremmo privilegiare per consentire alla Regione quel salto di qualità, che dopo questa pandemia, è diventatopiù che mai urgente e vitale. Di una cosa siamo certi. Prima ancora della politica, dell’ideologia o del mercato, saranno i mondi vitali della società a indicarci, per primi,i sentieri praticabili e i traguardi raggiungibili. E’ possibile una piccola rivoluzione anche in Basilicata? Forse sì. Perché, come disse Bakunin, la rivoluzione è sempre per tre quarti fantasia e per un quarto realtà.
Michele Rutigliano