Antonia Flaminia Chiari (Centro Studi Leone XIII): “Popolarismo sturziano ed economia civile”. Di seguito la nota integrale.
Una proposta la nostra, un’idea che possa ribadire, in un nuovo contesto storico, in forme nuove, la sua autenticità. Noi cattolici scommettiamo sulla continuità di una cultura, di un progetto, sull’originalità e sulla forza di un albero che va certamente rinnovato, ma che ha ben salde le radici. Nella discontinuità di fasi temporali che, da don Sturzo a De Gasperi a Moro, segnano l’esperienza dei cattolici democratici, attraverso una vicenda complessa, limitata severamente ma esaltante laddove si sono poste le basi della democrazia e della libertà degli Italiani, persiste un nucleo di valori che fonda ed esige la continuità di una esperienza straordinariamente ricca nella sua dimensione popolare. Questa idea, che ci viene da don Sturzo, conserva ancora oggi una vitalità inesausta se risponde a questo contesto storico, ne esprime e ne sostiene la domanda impellente. Questa idea, visione, interpretazione del mondo che indirizza i progetti e le azioni della politica, è capace ancora di offrire risorse morali, intellettuali e politiche insospettate ed avanzate.
L’idea di don Sturzo è l’ideale, cioè un’aspirazione carica di valori, un orizzonte che va oltre l’istante; è ciò che sostiene un impegno caricandolo di senso per chi vi aderisce e lo assume in prima persona.
L’idea ha senso in tanto e in quanto si misura con il divenire quotidiano, con ciò che segna la vita delle persone, di ciascuno e della comunità.
Costruire una nuova fase dei cattolici democratici significa rendere concreta la concezione dell’uomo, della vita, della storia, e prima ancora sottrarre la politica alle grinfie del relativismo per assicurarle un fondamento stabile e sicuro, che conferisca al sistema politico, impegnato nella corsa al compromesso, una struttura in grado di esprimere quella dialettica oggi sopraffatta da un contenzioso politico infingardo e privo di cultura.
In un tempo di crisi politica come quello che il nostro Paese attraversa, diventa attuale la proposta di autonomia di don Luigi Sturzo, per intraprendere un percorso che dia attenzione alle autonomie locali. Per Sturzo si trattava di risanare l’ambiente amministrativo, migliorare i servizi pubblici, costituire il Comune centro della vita sociale democratica della cittadinanza, sollevare le sorti delle classi lavoratrici. Così l’ente comunale, libero dal controllo della macchina burocratica statale, poteva divenire incentivo alla crescita di una classe dirigente autonoma e impegnata tanto in politica quanto nelle imprese economiche e sociali. Il Comune si presenta così come il migliore distributore delle energie dello Stato.
In realtà l’obiettivo di Sturzo era quello di avvicinare il cattolicesimo italiano dell’epoca alla questioni sociali e politiche, sulla scia della Rerum Novarum di Leone XIII che aveva aperto una stagione di riflessione e di impegno nei territori, che condusse la Chiesa all’apertura verso le questioni sociali moderne. In una situazione nella quale il non expedit impediva ai cattolici di intervenire direttamente nelle vicende politiche dello stato unitario, don Sturzo preparò il terreno per la nascita di un progetto politico cristianamente ispirato che prese il nome di Partito Popolare. Partito fondato per avanzare un programma basato sui valori democratici in grado di tradurre nella società, ormai plurale, le peculiarità sociali del messaggio cristiano.
Nella nostra epoca occorrono politiche capaci di valorizzare le peculiarità dello scenario globale.
Sotto la spinta di quella che negli anni ’60 è stata chiamata “rivoluzione sessuale” – e che dagli Stati Uniti è stata esportata in tutto il mondo attraverso la globalizzazione culturale – i valori che i cristiani hanno sempre ritenuto intoccabili sono stati rivoluzionati, capovolti, in particolare quelli legati alla famiglia e alla riproduzione, alla vita e alla morte.
L’impegno dei cattolici urge sul fronte etico ed economico sociale, quindi in politica.
Penso alle questioni di fine vita, con l’aggravio delle condizioni drammatiche vissute là dove vi sono malati terminali o inguaribili. Penso alle questioni della scuola e dell’educazione dei figli, tema che chiama in causa la famiglia e l’intero sistema educativo. Il lockdown pare aver relegato la scuola al ruolo di un servizio pubblico accessorio, un bene non essenziale e quasi rimandabile sine die. Si è vissuto alla giornata, guidati dall’effimero slogan dell’andrà tutto bene, sperando in una sorta di magia che riportasse a posto ogni cosa. La scuola ha bisogno di risorse economiche, e prima ancora di un riconoscimento sociale. Bisogna allora aprire la strada alle autonomie regionali e non a decreti nazionali che non possono avere uguale attuazione in ciascun territorio, laddove urge alleanza educativa tra scuola e territorio.
Penso al gender e alla legge sull’omofobia. Legge sull’omofobia che non ha nulla a che vedere con la rivendicazione dei diritti sociali che rappresentano il cardine della famiglia. Famiglia che si andrà a scomporre e a ricomporre abbandonando l’intreccio fra la relazione sponsale e quella genitoriale; si può essere genitori mediante l’uso di tecnologie riproduttive, fino al ricorso alla maternità surrogata. Si parla di surriscaldamento del pianeta, e mai di surriscaldamento della famiglia che, stravolgendo la natura umana delle relazioni nel passaggio da natura a cultura, porta a distruggere le basi di una intera civiltà.
Penso alla necessità di dare un senso alla vita, alla persona, alle relazioni pubbliche e private. Penso alla libertà, diritto dovere e valore, di cui ci stanno privando coloro che assumono responsabilità pubbliche restando però in relazione con un soggetto che mantiene le fila del nostro destino, del nostro “umano”, tra le proprie mani.
Nel pensiero cristiano la libertà è uno spazio interiore da costruire, nutrire, coltivare, preservare, e nel quale ospitare l’autonomia critica e la responsabilità personale di ciascuno. Sta qui la radice e il motore della trasformazione. E’ questa la condizione sine qua non perché una società sia governabile. Perciò, credo fermamente che i cattolici debbano edificare un punto d’incontro da cui partire per approfondire i contenuti di un’azione pre-politica di formazione, in modo da essere coesi dalla forza dei valori non negoziabili. L’obiettivo è pensare ad un cittadino nuovo, ad un uomo che lavora che costruisce che intraprende. Perché il mondo cattolico non è tra i benpensanti di circoli di vip o di snob, ma nelle esigenze di questo mondo.
E’ diagnosi condivisa che siamo minati dalla dissoluzione del legame sociale, siamo governati dalla religione del denaro. La promessa al popolo è sempre felicità e godimento, la realtà è la semina mortifera di smarrimento, rassegnazione, aggressività, solitudine. Una semina che grava minacciosa sulle incolpevoli generazioni appena arrivate.
La buona politica sturziana era volta al bene comune, che garantisce il benessere per l’altro e per noi stessi, praticando quella che oggi chiamiamo economia civile.
Essa si basa su alcuni punti fondamentali:
– Costruire relazioni fondate su fiducia, cooperazione e reciprocità, in modo da generare quel plusvalore che nasce dal lavorare insieme di gruppi o di persone.
– Favorire la nascita e accompagnare imprese generative, capaci di coniugare creazione di valore economico e di impatto sociale e ambientale positivo.
– Valorizzare e organizzare le risorse umane a disposizione.
– Comprendere che non dobbiamo sperare che arrivi il governo giusto per cambiare il mondo. Il mondo lo cambiamo noi insieme a politici lungimiranti e ad imprese responsabili.
Noi cattolici dobbiamo lavorare per realizzare questo cambiamento, cercando buone pratiche e promuovendo momenti di incontro tra persona generative nel nostro territorio, e rafforzando reti che diano valore e visibilità alle iniziative locali.
L’economia civile è quella che fa sentire inclusi tutti quanti e che parte dai bisogni concreti e quotidiani, li condivide e porta a soluzioni che migliorano le vite di tutti i partecipanti all’azione – i famosi cittadini attivi – e di cui beneficia una intera comunità.
Nella vita di tutti i giorni l’economia civile si realizza attraverso la divisione e condivisione del lavoro, con la specializzazione delle mansioni produttive in base alle caratteristiche di ciascun individuo, e che porta a scambi commerciali interni al sistema, basati su quanto realmente serve e su quanto una comunità è realmente in grado di produrre. E’ questo il concetto sul quale si basa lo sviluppo economico sostenibile, che abbiamo il dovere di rendere forte nel suo messaggio di garanzia per il futuro delle nuove generazioni.
L’economia civile soffre per mancanza di pensiero, di coscienza civica e di virtù civile.
Ricordiamo che per gli umanisti la sola vera virtù è la virtù civile, la sola vita veramente umana è la vita activa. L’economia civile di Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti, Vico, Genovesi, Smith, ha continuato a scorrere, come un fiume carsico, nel sottosuolo delle dottrine economiche ufficiali; in alcuni momenti è riemersa, alimentando il pensiero di economisti come Marshall; ma l’economia civile, quella che tende le mani a giustizia e solidarietà, deve ancora essere scritta.
Noi possiamo farlo, guardando ai Lander della Germania. I lander hanno permesso lo sviluppo di una forte identità regionale come qualcosa che si costruisce nel tempo, sulla base della volontà di condivisione di determinati principi. Il federalismo tedesco riesce a salvaguardare la diversità regionale e facilita l’identificazione del cittadino nelle singole regioni con l’amministrazione politica e la configurazione del suo ambiente. Fondamento del federalismo è il principio di sussidiarietà, in una scala che parte dal singolo e arriva allo Stato federale, passando per il quartiere e per la città, e prosegue nell’Unione Europea e le Nazioni Unite. I lander sono autonomi nell’amministrazione, ciò che è espressione della libertà dei cittadini. Nel diritto di amministrazione autonoma rientra il trasporto pubblico locale, la costruzione di strade comunali, il rifornimento di energia elettrica, acqua e gas, lo smaltimento delle acque di scarico e la pianificazione urbanistica. Vi sono comprese la costruzione e la manutenzione di edifici scolastici, teatri e musei, ospedali, centri sportivi e piscine. Ovviamente spetta ai Comuni il gettito delle imposte locali.
Noi abbiamo sempre più ricchezza, ma siamo sempre meno felici, proprio come tanti Re Mida che muoiono di una fame che l’oro non può saziare. In buona sostanza, utilità e felicità non sono la medesima cosa, perché la prima è la proprietà della relazione tra uomo e cose, la felicità invece è la proprietà della relazione tra persona e persona. La produzione e il consumo sono certamente necessari. Ma le società di oggi non sono sufficientemente avanzate, perché non consentono, nei fatti, una vera libertà di scelta, la quale non è semplicemente la scelta all’interno di un menu preconfezionato, ma è, in primo luogo, la scelta dello stesso menu. Sta in questo il senso ultimo della proposta dell’economia civile.
La situazione attuale è complessa e profonda. Bisogna tornare alle spinte, ai fermenti, ai movimenti che si sono accesi e intrecciati attorno a don Sturzo. Qua e là si è ripreso il tema del movimento politico dei cattolici come fiume carsico che scompare e ricompare poi più a valle. Il fiume carsico è riemerso, inquinato da anni di divisione e di diaspora, ma le sue acque, abbondanti e ricche, vanno depurate e rese potabili e idonee a fertilizzare la terra con una coraggiosa rilettura dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, declinati alla luce delle esigenze di oggi e soprattutto di domani. Declinati in una più ampia visione del bene comune da costruire e da raggiungere.
E’ dal basso, dai territori, dalle regioni, dai comuni, dai problemi concreti che dobbiamo riprendere il cammino.
Manca una visione di lungo periodo. Seneca nelle Lettere a Lucilio scrive:<<Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare>>. La storia è un grande fiume, che oggi sta percorrendo un’ansa a gomito e il suo corso sembra tornare indietro. E così i naviganti che lo percorrono con la loro zattera vedono il sole tramontare alle loro spalle, e sono presi da timore. Dove li sta portando la corrente? Ogni fiume va verso il mare, e i naviganti non possono distogliere lo sguardo dai grandi maestri e padri fondatori di un pensiero forte cristianamente ispirato, per comprendere che il nuovo che avanza è diverso dal vecchio già vissuto, ma hanno un unico denominatore comune: la grande tradizione del cattolicesimo politico italiano, che non è lievito insipido posto sulla massa, ma lampada posta sul moggio della storia.
La società italiana ed europea vuole sì continuità fedele, ma esige anche progetti politici coraggiosi e lungimiranti, capaci di confrontarsi con il mondo globalizzato. Un progetto politico innervato in un partito conforme ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa, declinato alla luce del nuovo che emerge e avanza.
I movimenti di rinascita sono sempre partiti da piccoli gruppi o da grandi solitari. Solo l’inerzia può portare il mondo attuale alle ultime conseguenze della sua demenza.
Primo Levi ebbe a chiedere:<<Se non ora, quando?>> E’ questa l’ora. In pochi o in molti, insieme andiamo avanti con la nostra zattera, con entusiasmo con passione con coraggio, e seguendo la rotta segnata da don Sturzo ma con uno sguardo nuovo sulla storia e sul mondo, torniamo ad essere popolari. E il sole tramonterà di fronte a noi.
Nina Chiari, Centro Studi Leone XIII