A proposito dello strano attacco al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, la Usb Basilicata condivide e trasmette il documento preparato dalla USB Pubblico Impiego INPS Nazionale per consentire un approfondimento più consapevole delle scelte più o meno indotte che riguardano tutti. Di seguito la nota integrale inviata da Rosalba Guglielmi per conto dell’esecutivo USB Basilicata.
Chiariamo subito che a nostro parere l’attacco di questi giorni al presidente dell’INPS per la vicenda legata alla definizione dei suoi compensi è stato pianificato a tavolino utilizzando lo stesso populismo che è servito al M5S per crescere e radicarsi nel paese. Mentre i cinque stelle brindano al taglio di 345 parlamentari, che nel loro storytelling riduce i costi della politica e produce maggiore efficienza mentre in realtà provoca una perdita di rappresentanza democratica in Parlamento penalizzando i territori più piccoli e facendo decidere alle segreterie di partito i candidati da eleggere, dalle colonne de “la Repubblica” parte una bordata contro il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, vicino al M5S, accusato di essersi aumentato lo stipendio da 62 mila a 150 mila euro annui. Per la verità è un decreto interministeriale del 7 agosto scorso, a firma dei ministri Catalfo e Gualtieri, a stabilire i compensi per il presidente e i componenti del CdA di INPS e INAIL, ma la bomba mediatica è scoppiata. Social scatenati, imbarazzo tra le forze di governo e richiesta di dimissioni da parte del centro destra, alla quale si associa Italia Viva, il partito guidato da Matteo Renzi.
E’ da qui che vogliamo partire per provare a ragionare su chi ha interesse a demolire la figura di un presidente che, pur tra alcune cadute organizzative, ha segnato una netta discontinuità con il suo predecessore Tito Boeri, nominato ai vertici dell’INPS nel 2015 proprio da Matteo Renzi, probabilmente per fare un favore a Carlo De Benedetti, come ricorda Bartolomeo Diaz (pseudonimo?) nel suo articolo pubblicato su “Il Sussidiario” il 26 settembre scorso.
Boeri, appena giunto alla guida dell’INPS, si recò in audizione in Parlamento ad elencare undici criticità che a suo dire facevano dell’Istituto di previdenza un ente inefficiente e antiquato, mentre Tridico ha sempre valorizzato, a partire dalle sedi istituzionali, l’impegno e la professionalità del personale dell’Istituto. Boeri era a favore della previdenza complementare privata, mentre Tridico vorrebbe che fosse l’INPS a gestirla in concorrenza con i fondi negoziali e privati, attirandosi così le ire non solo di assicurazioni e banche ma anche di CGIL, CISL e UIL che amministrano molti di quei fondi e che mirano ad ampliare le loro fette di mercato, tanto da insistere con il ministro Catalfo sulla richiesta di rendere obbligatoria l’adesione ai fondi attraverso l’odiosa regola del silenzio assenso. Boeri avrebbe voluto il ricalcolo di tutte le pensioni in essere con il sistema contributivo, una proposta che avrebbe comportato la decurtazione degli assegni pensionistici, mentre Tridico difende la previdenza sociale pubblica e propone di assicurare una pensione minima del valore di 800 euro a tutti. Tridico è il padre del reddito di cittadinanza, misura criticata da Boeri, e guarda con favore alla definizione per legge di un salario minimo orario, mentre i sindacati asserviti agli interessi di Confindustria e dei padroni, a cominciare dalla CGIL di Landini, difendono l’individuazione del salario per contratto, arrivando a sottoscrivere accordi a 4 euro l’ora. In sintesi, abbiamo di fronte due concezioni diverse di pubblica amministrazione e di stato sociale.
Quanto sta accadendo in queste ore va spiegato tenendo conto di questo scenario e degli interessi in campo. Nel giro di pochi giorni si sono registrate strane coincidenze che vanno analizzate. Lo scorso 17 settembre le edizioni Feltrinelli pubblicano il libro “Riprendiamoci lo Stato”, scritto dal giornalista Sergio Rizzo e dall’economista Tito Boeri: il primo attualmente editorialista de “la Repubblica”, il secondo già direttore scientifico della Fondazione De benedetti, della quale attualmente è consulente scientifico, nonché in passato editorialista de “la Repubblica”, insomma, una persona di casa nel gruppo editoriale che fa capo a Carlo De Benedetti. Nel libro appena citato Boeri lancia un attacco frontale all’INPS, del quale è stato presidente dal 2015 al 2019, ma omette di citare alcune perle che hanno caratterizzato il suo mandato come ci ricorda ancora Bartolomeo Diaz nel suo articolo su “Il Sussidiario”: la nomina del suo segretario ed amico di vecchia data Luciano Busacca a dirigente generale non si sa per quali meriti; gli incarichi da dirigente generale assegnati a Massimo Antichi, un dirigente che ha usufruito sempre di contratti temporanei art. 19, comma 6, del D. Lgs. 165 del 2001, senza aver mai vinto un concorso pubblico per dirigente; la commessa per la gestione del contact center dell’INPS affidata con un ribasso dell’82% a Comdata, gruppo industriale controllato all’80% dal Fondo americano Carlyle Group il cui consigliere delegato per la divisione europea è Marco De Benedetti, figlio di Carlo editore del gruppo “l’Espresso” e de “la Repubblica”; la cessione per qualche decina di milioni di euro della quota azionaria del Fondo Idea Fimit, uno dei più grandi fondi immobiliari italiani, che dopo qualche settimana chiudeva il bilancio con un utile di oltre 10 milioni di euro. A questi episodi “sfuggiti” a Boeri nel suo racconto sulle inefficienze della pubblica amministrazione e dell’INPS in particolare ne vogliamo aggiungere altri: il mancato possesso da parte di Boeri dei criteri per essere nominato presidente dell’INPS; la nomina pretesa a tutti i costi di Massimo Cioffi a direttore generale dell’Istituto, pur in carenza dei titoli richiesti dalle norme, incarico durato appena venti mesi e terminato con le dimissioni del dirigente a seguito dello scandalo che riguardava un presunto mancato pagamento di contributi da parte dell’ENEL in un periodo in cui Cioffi era a capo del personale di quell’azienda; il potenziale conflitto d’interesse rispetto all’accertamento ispettivo e all’inchiesta sui pensionamenti dei poligrafici del gruppo “l’Espresso”. Con quale ardimento e argomenti Boeri possa ergersi a giudice delle amministrazioni pubbliche in generale e di quella governata da lui stesso è difficile da comprendere.
Ma guarda caso, ad appena otto giorni dall’uscita del libro di Boeri e Rizzo, il 25 settembre “la Repubblica” parte all’attacco di Tridico alzando un polverone sull’aumento della retribuzione dell’attuale presidente, ma sono in pochi a ricordare che Boeri oltre ai 103 mila euro annui godeva di rimborsi spese relativi a vitto ed alloggio che portavano il compenso complessivo annuo probabilmente a superare i 150 mila euro riconosciuti a Tridico. Se vogliamo affrontare il capitolo retribuzioni, quello che vorremmo sottolineare ai ministri Catalfo, Gualtieri e Dadone, è l’enorme divario tra la retribuzione dei dirigenti, di I e II fascia, e quella del personale delle aree professionali A-B-C. Un dirigente generale guadagna il 750% in più di un livello apicale dell’area C e il 1.400% in più del livello iniziale dell’area A. Sono divari inaccettabili che vanno ridotti progressivamente stanziando adeguate risorse per il rinnovo contrattuale delle lavoratrici e dei lavoratori delle aree. L’aumento contrattuale riconosciuto nel 2018 non ha coperto nemmeno il 50% dell’inflazione registrata negli anni del blocco della contrattazione. Invece di fare populismo con le retribuzioni dei manager si riconosca il dovuto a chi garantisce il funzionamento degli enti e l’erogazione dei servizi ai cittadini.Terminiamo con un ultimo riferimento che chiude il cerchio del nostro ragionamento. Il 27 settembre, sempre su “la Repubblica”, che ormai cavalca l’onda emotiva che ha provocato dedicando le prime tre pagine del giornale alla vicenda, fa capolino un articolo a firma di Roberto Perotti nel quale si accusa Tridico di aver bloccato l’invio delle buste arancioni e di aver utilizzato i risparmi delle spese postali per finanziare l’adeguamento delle retribuzioni contestate. Roberto Perotti scrive sul sito di economia www.lavoce.info, fondato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Non è un caso, quindi, che Perotti contesti la scelta di Tridico di bloccare il progetto “la mia pensione” che tanto stava a cuore a Boeri e che si è rivelato un fallimento, perché non è credibile ipotizzare l’importo della pensione a venti, trent’anni, non conoscendo le future retribuzioni e i coefficienti di rivalutazione. Per la verità sappiamo che Tridico ha in mente di mettere le lavoratrici e i lavoratori in condizione di controllare l’evoluzione della loro posizione contributiva e il progressivo montante pensionistico in modo più realistico. Se così sarà avrà l’appoggio che non abbiamo potuto dare al progetto di Boeri, risultato dispendioso e fuorviante per i lavoratori. Altro che trasparenza!
Se avete avuto la pazienza di seguirci fin qui proviamo a tirare le fila di quanto abbiamo scritto. L’INPS e il suo attuale presidente sono attaccati da un potere economico, politico e finanziario che mira a portare a termine il programma di smantellamento del welfare pubblico colpendo uno dei principali presidi del sistema di protezione sociale. C’è un filo che tiene saldamente legati i grandi gruppi editoriali di testate come “l’Espresso”, “la Repubblica”, “Il Corriere della Sera” alla politica e alla finanza speculativa che fa capo a personaggi come Soros, che tirano le fila di grandi progetti di trasformazione sociale, utilizzando soggetti come Boeri, Ichino, Fubini, come influencer e pedine mediatiche. Per spiegarci ancora meglio facciamo un altro esempio. Paulo Guedes, economista e politico brasiliano, ha scritto il programma economico del governo Bolsonaro. Guedes è iscritto a Sociedade Aberta, filiale brasiliana della Open Society di Soros ed è considerato l’ultimo discepolo di Milton Friedman, della scuola di Chicago, i cui principi applicati al sistema previdenziale cileno a capitalizzazione hanno provocato l’impoverimento delle pensioni, arrivate a coprire il 40% della retribuzione, secondo i dati OSCE, come scrive Dario Marchetti il 25 settembre scorso su Face The Jungle. Questi sono gli effetti nefasti delle politiche liberiste alle quali dobbiamo opporci difendendo ciò che è ancora pubblico e recuperando al pubblico servizi ormai privatizzati. E invece si continua a guardare il dito…