Riportiamo di seguito la lettera pastorale in tempo di pandemia a cura di Monsignor Pino Caiazzo fatta in occasione della Solennità di San Francesco d’Assisi – Patrono d’Italia.
“È l’ora di riprendere il largo – afferma mons. Caiazzo – come credenti siamo invitati a sentirci protagonisti nel costruire il futuro e ciò con particolare riferimento ai giovani che rappresentano, in questo tempo difficile di covid19, la categoria maggiormente in sofferenza”. Di seguito la nota integrale.
Una lettera pastorale in tempo di pandemia
Carissimi,
da quando abbiamo cominciato a sentir parlare di Covid19 c’è stato un alternarsi di situazioni, di paure prima lontane, poi improvvisamente diventate vicine a noi. Dopo la Cina, l’Italia, nel cuore dell’Europa, è diventata la nazione con il maggior numero di contagi e morti. Impreparati ci siamo chiusi nelle nostre case. La vita improvvisamente è cambiata, sospesi tra la paura di essere contagiati e quella di diventare untori.
La Chiesa, in prima linea nel collaborare con le Istituzioni, per il bene di tutti ha sospeso ogni celebrazione pubblica. Tensioni, accuse, insulti non sono certamente mancati. E’ stato il momento in cui, attraverso il senso di responsabilità, di amore verso i fedeli e di attenzione ad ogni forma di povertà sempre più accentuata, le comunità parrocchiali, attraverso i confratelli sacerdoti, si sono mobilitate: messa, rosari, momenti di preghiera, adorazione eucaristica in streaming sono entrati in tutte le case, facendo sentire vicinanza, calore, affetto, amore, incoraggiamento.
Anche se la vita pastorale ordinaria è stata bruscamente interrotta, non è mancato l’annuncio del Vangelo che si è fatto carità come non mai, venendo incontro alle vecchie e nuove forme di povertà che il virus ha rivelato in tutta la sua reale tragicità.
Tra le tante immagini che l’umanità intera ricorderà c’è sicuramente la veglia di preghiera, sul sagrato di piazza S. Pietro, presieduta da Papa Francesco. Era il 27 marzo 2020. In un’atmosfera inedita, ebbe a dire, nella sua riflessione: «“Venuta la sera” (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».
La barca rappresenta la Chiesa, quindi tutti noi battezzati. Da questa immagine siamo chiamati a ripartire, nonostante in questi giorni stiamo vivendo la paura della seconda ondata.
Di solito si dice: “Siamo tutti sulla stessa barca”. Fa parte del linguaggio comune, soprattutto quando si è in difficoltà. Per noi cristiani significa un impegno concreto: remare insieme nella stessa direzione. Quando ognuno rema per conto suo e nella direzione che ritiene più giusta…povera barca! Quindi: povera Chiesa!
Non a caso, sempre Papa Francesco ci ha invitati a sfuggire tre nemici che stanno accovacciati davanti alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo .
1.1. Il narcisismo
Tutti sappiamo che una persona è narcisista quando esalta eccessivamente se stessa. Diciamo meglio: culto della propria persona. Sta al centro di tutto e non fa nulla per non attirare l’attenzione su se stesso, anzi trova sempre il modo per alimentarla. Invece, ci viene insegnato che dire narcisista significa affermare egoismo e vanità dove l’auto-ammirazione porta alla glorificazione di se stesso.
Non entro in merito alla questione, anche perché non sono un esperto, ma chi non conosce il mito di Narciso innamorato della propria immagine. Alla fine della sua bellezza rimane solo un fiore.
Nel libro della Genesi, quando si parla della creazione dell’uomo, si dice che Dio lo creò «a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,27). Da quel momento è stato chiamato ad entrare in relazione con Dio che si rivelerà Trinità (At 4,32). Relazione che necessariamente va vissuta nella Chiesa, per non essere dei battitori solitari che attirano l’attenzione su se stessi a danno della comunione e della fraternità, prendendo il posto di Dio.
Chi non vive tale relazione nella Chiesa, perde completamente di vista un dato teologico fondamentale: la vita è un dono che viene dall’alto. Solo quando si fa questa scoperta si è capaci di guardare l’altro come ricchezza necessaria per la propria vita. In un atteggiamento di umiltà, si vince l’orgoglio, sapendo accettare anche il dolore, il dispiacere, l’ingiustizia: si diventa capaci di gestire le contrarietà.
«Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro» .
Chi sperimenta di stare sulla barca, si rende conto che ha bisogno degli altri e che deve remare necessariamente insieme, lasciandosi condurre da colui che fa ponte tra Cristo e la Chiesa: il Papa.
1.2. Il vittimismo
L’assunzione delle proprie responsabilità è esattamente il contrario del vittimismo. Non si può scaricare sempre la responsabilità sugli altri, cercando giustificazioni.
Come Chiesa siamo invitati a sfuggire la tentazione di sentirsi perseguitati. Viviamo in questo mondo e siamo responsabili quanto gli altri di quanto succede. Il Coronavirus ha abbattuto muri e steccati e ci ha fatto ritrovare tutti più fragili, più umani, anche se corriamo il rischio di dimenticare le sofferenze vissute non appena il numero dei contagi diminuisce.
A volte certi nostri interventi, nei vari campi, hanno più il sapore dell’invasione che non di fare squadra per giocare insieme la partita e vincerla. Il rischio di diventare professori di etica civile, moralisti, è reale: dire agli altri sempre quello che devono fare. Il volto di Chiesa che siamo chiamati a mostrare è esattamente quello del confronto, del dialogo, della collaborazione, dell’intrecciare relazioni.
Oggi, come nel periodo donatista, corriamo il rischio, come appartenenti alla Chiesa, di sentirci martiri: vediamo gli altri, nelle nostre comunità, come nemici da combattere e non come fratelli da amare accettando di essere corretti. Direbbe S. Tommaso che la verità si trova nei fatti e non nelle opinioni.
In questo modo si riesce a vincere quello che viene definito “manicheismo politico e culturale”, che purtroppo s’insinua nella mente di tanti. S. Agostino soffriva le situazioni del suo tempo, comprese le persecuzioni e incomprensioni, e invitava a riabbracciare tutti, mostrando il volto del Corpo di Cristo. La celebrazione dell’Eucaristia è per la salvezza di tutti, vivendo la comunione e non lo scontro.
1.3. Il pessimismo
Spesso ascoltiamo lamentele in tutti gli ambienti: nella Chiesa e verso la Chiesa, nella Famiglia e verso la Famiglia, nella Scuola e verso la Scuola, verso le Istituzioni, nel mondo sindacale, imprenditoriale…Tutto sfocia in conclusioni pessimiste e atteggiamenti di litigiosità che non fanno bene a nessuno.
Eppure come cristiani dovremmo sperimentare quotidianamente come Dio ci sorprenda sempre. Non dovremmo vivere come persone che hanno bellezza da raccontare anche nei momenti difficili, bui e tristi della vita? Quante volte, nel tempo della pandemia, abbiamo sentito previsioni catastrofiche che prefiguravano il giudizio di Dio nell’atto di punire il suo popolo? E invece noi siamo figli della speranza, della Risurrezione, della mattina di Pasqua.
Il pessimismo e la rassegnazione si vincono se saremo capaci di portare speranza a quanti sono sfiduciati, vivono la precarietà economica, sono sofferenti. Questo è il tempo in cui maggiormente l’amore deve mostrare la sua circolarità, il suo volto fatto di gesti concreti, proprio perché siamo coscienti che la vera emergenza continua a muoversi dentro questi confini.
Lo scoraggiamento ha segnato ogni epoca, coinvolgendo anche la stessa Chiesa. Riporto quanto Giovanni XXIII disse nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II: «Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa» .
Il pessimismo e la paura per il futuro camminano a braccetto e in ogni epoca noi, spaventati e confusi, facciamo dire a Dio quanto non dice. Mi piace riportare ancora quanto continuò a dire Giovanni XXIII: «A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa» .
2. Riprendere il largo…
Il racconto della pesca miracolosa ci è di grande aiuto nel percorso di fede che, come Chiesa di Matera-Irsina, stiamo facendo attraverso il Sinodo Diocesano e che siamo chiamati a mettere in atto. Il Covid19 ha bruscamente interrotto il nostro cammino. E’ l’ora di riprendere il largo.
Fondamentale è sempre l’incontro con Gesù Cristo. L’incontro con Lui ci fa compiere dei passaggi essenziali e indispensabili.
2.1. L’ascolto della sua voce ci fa vincere la sordità
Tutta la scena si svolge sulle rive del lago di Genesareth. Gesù da una parte, una grande folla dall’altra che sente il bisogno di attingere alla Parola che Lui annuncia.
I movimenti di Gesù sono progressivi e senza fretta nell’avvicinarsi a Simone al quale chiede di essere accolto. Sale su una barca invitando lo stesso pescatore di scostarsi da terra. Simone, molto probabilmente deluso dal non aver pescato nulla dopo una notte di duro lavoro, si trova Gesù di fronte. Non sa dire di no alla richiesta di Gesù. E’ il suo primo “SI” al maestro, assenso di cui capirà il significato solo più tardi.
E’ stato difficile ma è tuttora faticoso anche per noi capire quanto è accaduto e sta avvenendo nel mondo a causa della pandemia. Eravamo impreparati, colti di sorpresa, increduli per le numerose morti, ci siamo resi conto di non essere onnipotenti.
Gesù è un maestro ma anche un uomo valoroso, capace di dominare le acque. Tutto viene indicato dalla descrizione dell’evangelista quando dice che «Salì in una barca, che era di Simone…sedette e insegnava alle folle dalla barca» (Lc 5,3).
Siede su quella barca vuota che ha causato tanta amarezza e tristezza nel cuore dei pescatori. Da quel momento l’imbarcazione diventerà l’immagine della Chiesa, capace di navigare nei mari della Storia senza paura di affrontare le tempeste, le onde che si abbattono su di essa e i venti contrari. L’importante è che nella barca ci sia Gesù: non potrà affondare.
2.2. La guarigione salvifica ci libera da ogni malattia che tende a farci rimanere paralizzati
Dopo questo incontro con Gesù per Simone inizia una storia nuova. La Sua barca non ha il pescato ma è piena della presenza di Dio che manifesta la sua salvezza. Il cuore di Simone e degli altri pescatori viene liberato: erano come paralizzati, a causa della delusione nel vedere le reti vuote.
Ci siamo sentiti tutti paralizzati chiusi nelle nostre case e spesso lontani dai nostri affetti e dai luoghi cari. Paralizzati e attoniti nel vedere i camion dell’esercito portare via centinaia di cadaveri nell’attesa di avere una degna sepoltura.
Ci siamo sentiti paralizzati nel non poter partecipare all’inumano dolore di chi, persa una persona cara, non ha potuto avere nemmeno il conforto di una celebrazione. Tutto di fretta e nel silenzio. Nemmeno una stretta di mano, un abbraccio.
Simone e gli altri pescatori avvertono che la presenza di Gesù è liberante, come accadrà ai discepoli di Emmaus che, dopo la Sua Risurrezione, avvertiranno ardere il cuore. Improvvisamente la fiamma della speranza si è riaccesa. Da lì a poco sta per succedere qualcosa che cambierà per sempre la loro vita. Simone da pescatore diventerà pescatore di uomini. Gesù cambia la storia degli uomini indipendentemente dalla loro condizione sociale, dalla lingua o religione.
Il bisogno di normalità, di riprendere i rapporti umani, di stare insieme è esploso improvvisamente e ci siamo dimenticati di quanto sia successo, sottraendoci ad un doveroso senso di responsabilità. Il ritorno pericoloso di una seconda ondata dell’epidemia non è più un’ipotesi ma si sta, purtroppo, concretizzando.
Questo ci fa capire che abbiamo bisogno di guarigione interiore. Troppi vuoti dettati dalla paura di vivere! Frustrazione, solitudine, abbandono rivelano che un virus più letale ci sta contagiando: la violazione della sacralità della vita. Nell’ultimo periodo, in una sequenza spaventosa, abbiamo assistito al pestaggio e uccisione del giovane, esile e altruista Willy a Colleferro, allo stupro di branco di nostri giovani su due giovanissime ragazze a Marconia di Pisticci, all’omicidio di Don Roberto, il prete martire dei poveri, a Como. Nord, Centro, Sud accomunati dallo stesso dolore.
Nella lettera indirizzata al mondo della Scuola ho scritto: «Rimettiamoci in piedi per camminare certi e sicuri che la pandemia non si vince con un semplice vaccino ma facendo circolare l’amore vero, bello che dilata il cuore verso i bisogni e le necessità di chi è nella sofferenza fisica e morale, di chi ha smarrito la strada o è diventato vittima di un sistema che come un tritacarne divora l’innocenza e ruba la bellezza di quello che siete».
3. …e gettate le vostre reti
E’ a questo punto che Gesù, dopo aver finito di parlare alle folle, si rivolge a Simone per la seconda volta. Gli chiede una cosa diversa: di prendere il largo e di gettare le reti.
Quanto Gesù sta chiedendo ad un esperto pescatore ha dell’assurdo. Simone, come tutti gli altri suoi compagni di lavoro, sa benissimo che per pescare, le reti non si buttano di giorno ma di notte. Se hanno fallito di notte figuriamoci di giorno.
3.1. Ciò che Gesù opera in noi, continua ad operarlo negli altri attraverso la missione a noi affidata
Nel momento in cui Simone dice per la seconda volta a Gesù il suo “SI”, gettando le reti, comincia a dire “NO” a tutte le sue certezze accumulate durante tanti anni di esperienza lavorativa. Mette da parte ciò che l’ha sempre guidato: si è fidato di se stesso, delle sue forze, delle sue capacità, della sua esperienza.
E’ come se improvvisamente tutto ciò che ha costruito in tanti anni crollasse. Sprofonda nelle acque che sono il luogo della sua vita, dove ha vissuto la maggior parte dei suoi giorni. E’ un luogo che conosce bene e che ha imparato a dominare, ma questa volta, nella quiete delle acque del mattino, si affida ad un altro che non conosce e in cui avverte qualcosa di diverso.
In ogni angolo della terra la pandemia ha fatto crollare imperi economici, certezze consolidate. Mai come in questo momento tutti ci siamo sentiti accomunati dal buio della notte sceso improvvisamente ad avvolgere l’animo umano. Siamo pescatori di cosa? L’arroganza, la prepotenza, l’intolleranza, la discriminazione razziale è esplosa in tutta la sua drammaticità. Non possiamo essere più come prima: il Coronavirus ha svelato tutte le fragilità di un mondo troppo sicuro di se stesso.
Simone riconosce che Gesù è il Signore nel momento in cui vede la rete stracolma di pesci e ha bisogno che venga in aiuto anche l’altra barca rimasta a riva. E’ la sovrabbondanza della grazia di Dio. Il vero miracolo consiste nel vedere Simone che diventa un altro: si inginocchia chiedendo a Gesù di allontanarsi perché non è degno di stare alla sua presenza. In quel momento coglie che Gesù uomo è anche Dio.
Nella sua descrizione l’evangelista Luca mette in evidenza come Gesù, invece di allontanarsi come chiesto da Simon Pietro, si avvicina ulteriormente all’uomo fragile perché diventi pescatore di uomini. Inizia una nuova storia, una nuova missione che porterà i pescatori ad essere annunciatori della Parola e Simon Pietro il Francesco di turno, il Papa. E’ compito del Papa annunciare con coraggio la Parola affinchè ogni uomo venga salvato dal mare delle false certezze per non affondare nel dolore e nella disperazione.
3.2. Il brano si chiude dicendo: E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.
Pietro, Giacomo e Giovanni lasciano tutto ciò che era la loro sicurezza. Improvvisamente hanno capito che in Gesù hanno il loro tutto e per questo motivo lasciano tutto e lo seguono.
In questi mesi, nel mare della storia, tanti hanno lasciato ogni cosa, vincendo la paura del contagio e della morte, donandosi. Quante testimonianze continuiamo ad avere di uomini e donne, giovani e volontari che come medici, infermieri, farmacisti, sacerdoti, suore, diaconi, hanno dato la vita per servire e salvare vite umane, o accompagnarle in modo dignitoso fino al termine dei loro giorni terreni. Questa è parola incarnata che continua a parlare. E’ Vangelo annunciato che parlerà per sempre nel tempo che verrà. E’ l’immagine di una umanità bella, salvata, che si è lasciata incontrare da Gesù per salvare altri, fino a sacrificare la propria vita.
Questo è il momento in cui si possono raccontare tante storie positive, far vedere tante luci che si sono accese nelle corsie degli ospedali, nelle strade deserte sorvegliate dalle forze dell’ordine, nelle chiese vuote ma presenti in ogni casa attraverso i social, nei centri Caritas sempre aperti per accogliere, riempire le mani vuote, tenendo accesa la luce della speranza.
4. “Aprirsi a nuove forme di presenza ecclesiale”
Il Card. Presidente Gualtiero Bassetti ha scritto una lettera a noi vescovi invitandoci a «Lavorare insieme per porre le condizioni con cui aprirsi a nuove forme di presenza ecclesiale» , pensando alle attività pastorali da iniziare in autunno.
Si avverte l’urgenza «di progettare, con le dovute precauzioni, un cammino comunitario che favorisca un maggior coinvolgimento dei genitori, dei giovani e degli adulti, e la partecipazione all’Eucaristia domenicale» . Cosa non facile considerando che la partecipazione all’Eucaristia domenicale rimane ancora soggetta a restrizioni e limitazioni. Lo smarrimento che ha colto tutti (ragazzi, giovani, adulti) ha bisogno di essere ascoltato e capito.
Il senso di appartenenza ad una comunità che si riunisce settimanalmente e partecipa alla S. Messa nutrendosi della Parola e del Pane Eucaristico è presente? Il Card. Bassetti dice: «la consegna della nuova edizione del Messale Romano sarà un’opportunità preziosa per aiutare le comunità cristiane a recuperare consapevolezza circa la verità dell’azione liturgica, le sue esigenze e implicazioni, la sua fecondità per la nostra vita» .
In tutte le nostre Comunità Parrocchiali sono ripresi gli incontri in preparazione alla celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. In modalità più ristretta la stessa celebrazione sacramentale sta avvenendo con non poche difficoltà. Oggi più di ieri ritorna con insistenza quanto durante il nostro Sinodo diocesano ci siamo detti: è il tempo di uscire dalla logica del continuare a ripetere “si è sempre fatto così”, dimenticando che la pastorale per essere viva ha bisogno di essere pensata e ri-aggiornata in rapporto al fluire della storia e all’emergere di nuove dimensioni sociali.
La lettera si conclude con questo pensiero: «Se davvero l’esperienza della pandemia non ci può lasciare come prima la riunione autunnale del Consiglio Permanente e l’Assemblea Generale (prevista a novembre) dovranno essere eventi di grazia, nei quali confrontarci e aiutarci a individuare le forme dell’esperienza della fede e, quindi, le priorità sulle quali plasmare il volto delle nostre Chiese per il prossimo futuro» .
5. Ripartiamo insieme
Finito il lockdown, con scadenza quindicinale, con un gruppo consistente (30 tra sacerdoti e laici), coordinato dall’Ufficio di Pastorale Sociale del lavoro, gli uffici diocesani del Progetto Policoro, Servizio di Pastorale Giovanile e Caritas, unitamente alle Associazioni e Movimenti ecclesiali,ci siamo incontrati presso la Casa di Spiritualità S. Anna, confrontandoci per capire come “Ri-costruire Comunità per Costruire il futuro”, con particolare attenzione ai giovani. Abbiamo organizzato una sessione di lavoro che per tre giorni si terrà presso la sede della Caritas Diocesana dal 28 al 30 settembre: “Buon lavoro”. Mons. Filippo Lombardi ha inviato il programma dettagliato ai Confratelli Presbiteri.
Successivamente mi sono incontrato singolarmente con i Direttori dell’Ufficio Catechistico, Liturgico e Caritas della nostra Diocesi, quindi ho convocato il Consiglio Presbiterale durante il quale ci siamo confrontati. Ho accolto da tutti istanze e suggerimenti che vi presento.
5.1. Legami da ricostruire e l’umano da ricomporre
Anche se nelle nostre case abbiamo fatto esperienza di vivere in “piccole Chiese domestiche”, non dobbiamo dimenticare la dimensione spirituale e sociale della nostra fede che supera i confini delle nostre abitazioni e deve trovare spazio di azione nella intera umanità, abitata da Dio.
Come Chiesa siamo chiamati ad intercettare i bisogni del territorio, facendo dialogare sapientemente fede e vita, Vangelo e storia, uomo e Dio. Non possiamo rimanere estranei alle vicende, spesso dolorose, del mondo e della sua storia, così come il nostro Sinodo Diocesano ha spesso sottolineato.
Uomini di speranza per fecondare la storia, vivificarla dall’interno. I laici, comprese le istituzioni, in questo ci devono aiutare a lavorare per il bene comune attraverso un dialogo franco, sincero e rispettoso. Da qui l’urgenza di far crescere quella sana interazione che meglio di tutte rappresenta l’essere Chiesa: questo è lo stile sinodale che ci aiuta a sfuggire la tentazione di essere testimoni passivi di quanto succede, in un rapporto fattivamente costruttivo, passando dalla partecipazione alla corresponsabilità e alla collaborazione.
Come credenti siamo invitati a sentirci protagonisti nel costruire il futuro (viviamo nel tempo in cui il futuro spaventa), nel seminare speranza (attualmente mortificata), nel vivere il tempo sociale contribuendo a ricucirlo, pacificarlo, fecondarlo. “Iniziare processi, più che occupare spazi”, ci ricorda Papa Francesco
Tenendo presenti queste prerogative saremo in grado di ristabilire nuove relazioni, costruire ponti, attivare nuove forme di dialogo in quella visione profetica che anima la Chiesa e, attraverso la Chiesa, la società civile.
5.2. Le sofferenze sociali
E’ compito della Chiesa indicare e farsi carico di tante sofferenze che il Covid ha maggiormente messo in evidenza: povertà, ingiustizia, ambiente ferito, occasioni perdute.
Questo è il cammino che conduce verso la santità e ci vede impegnati per essere artefici e protagonisti del rinnovamento culturale e spirituale della società.
5.2.1. La povertà
Di quale povertà si parla concretamente? Ce ne sono di diversi tipi: da quella materiale a quella spirituale, da quella morale a quella affettiva, da quella culturale a quella sociale. La Costituzione dogmatica Lumen Gentiumci ricorda: «Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre “ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito” (Lc 4,18), “a cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» .
L’opzione preferenziale per i poveri non è semplicemente un’attenzione verso alcune categorie di persone in difficoltà economica considerate “diverse”. E’ innanzitutto una categoria teologica. Leggendo la storia della salvezza ci rendiamo conto che la scelta di Dio è rivolta essenzialmente a persone umili, spesso in situazioni di discriminazione o in stato di schiavitù. Questo significa che la Chiesa ha il dovere di operare affinchè cresca il senso della fraternità e dell’umanità. Siamo parte dell’unica famiglia che è quella umana, dove ognuno è responsabile della vita dell’altro.
Papa Francesco istituendo la Giornata Mondiale dei Poveri ha voluto attirare l’attenzione per «comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità» . Non si tratta di raccontare quanto facciamo e come lo facciamo per venire incontro alle necessità del prossimo, ma avere l’orecchio attento ad ascoltare e capire le storie di povertà che si celano dietro ogni persona che si incontra, evitando la tentazione di strumentalizzare le sofferenze altrui per mettere in evidenza quanto siamo bravi.
Chi vive in uno stato di povertà ci pone mille interrogativi, imponendoci di essere “Chiesa in uscita”. I poveri, in definitiva, inquietano sempre. Ecco perché una Chiesa ricca di Dio rende ricchi i poveri perché capace di ascoltare il loro grido, rispondere alle loro esigenze, liberarli da ogni forma di povertà e schiavitù. In questa linea è da leggere la “Gaudete et exsultate” di papa Francesco che ci ricorda: «è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro […] Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli» .
Ma non sono forse le cose che da sempre la Chiesa ci ha ricordato in quanto presenza di Cristo, Maestro e Signore, nel mondo? Ritornando al Vaticano II, la costituzione Gaudium et Spes ci ricorda: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” .
Un santo Vescovo che molti di noi hanno avuto modo di ascoltare, conoscere, leggere i suoi testi, Don Tonino Bello, diceva: «La Chiesa, la parrocchia, da elemento missionario, è diventata struttura di conservazione… L’instabilità del lavoro, l’incertezza di trovarlo anche quando è richiesto, la retribuzione meschina svantaggiano in modo evidente nei suoi più fondamentali diritti la personalità» .
5.2.2. Le ingiustizie
Il recente Sinodo dei vescovi del 2018 ha fatto una scelta prioritaria: si è messo in ascolto dei giovani cercando di capire e accogliere i loro desideri, le paure e i vuoti che si portano dentro, ma anche le speranze.
Faccio riferimento alla voce dei giovani perché sono loro che hanno denunciato con forza, con lucidità e maturità, ma anche con tanta sofferenza, che non possiamo continuare a non rispondere alle loro attesa. Purtroppo ogni due poveri uno è giovane. La società capitalista, da molti definita “impazzita”, sta letteralmente rubando i sogni delle future generazioni, impedendone la realizzazione.
Viviamo in una società progredita dove, però, ancora adesso, ciò che è un diritto si fa passare per un favore, aumentando disuguaglianza, rassegnazione e conflitti fratricidi.
Nel documento finale si dice: «La Chiesa si impegna nella promozione di una vita sociale, economica e politica nel segno della giustizia, della solidarietà e della pace, come anche i giovani chiedono con forza. Questo richiede il coraggio di farsi voce di chi non ha voce presso i leader mondiali, denunciando corruzione, guerre, commercio di armi, narcotraffico e sfruttamento delle risorse naturali e invitando alla conversione coloro che ne sono responsabili» .
In questo tempo di pandemia disuguaglianza sociale e ingiustizie si stanno rivelando in tutta la loro drammaticità. Anche il nostro intervento come Chiesa ha tamponato ma non risolto una situazione di emergenza. Questo tipo di lettura è sempre più chiara agli occhi di quanti conoscono bene la situazione mondiale.
Tutte cose che Benedetto XVI sviluppa nella Caritas In Veritate e Francesco nella Laudato sì.
Il Segretario di Stato Vaticano, Card. Pietro Parolin, dice: «Oggi la pandemia porta una scossa formidabile a tutto il sistema economico e sociale e alle sue presunte certezze, a tutti i livelli. I problemi di disoccupazione sono e saranno drammatici, i problemi di salute pubblica richiedono la rivoluzione di interi sistemi sanitari ed educativi, e il ruolo degli Stati e i rapporti fra le nazioni cambiano. La Chiesa si sente chiamata ad accompagnare il cammino complicato che sta davanti a tutti noi come famiglia umana. Deve farlo con umiltà e saggezza, ma anche con creatività» .
5.2.3. L’ambiente
In ogni messa domenicale o solennità professiamo: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente; Creatore del cielo e della terra». Significa che l’ambiente nel quale viviamo è parte integrante di tutto il creato. Nel creato c’è l’uomo che Dio, creandolo, ha reso responsabile di difendere la terra da tutte le minacce e manipolazione da lui stesso causate.
La Chiesa, di fronte al persistere delle catastrofi provocate dall’uomo, ha fortemente fatto sentire la sua voce non solo verbalmente ma con documenti ben precisi. Cito solo alcuni significativi interventi.
– Giovanni XXIII, recatosi ad Assisi il 04 ottobre 1962, suggerì una stupenda lettura antropologica del creato
– Paolo VI, nell’udienza generale del 7 novembre 1973, si pone un interrogativo “Dov’è l’ecologia umana”? e nella Lettera apostolica OctogesimaAdveniens al n. 21 del 1971 e nel documento del Sinodo dei vescovi sulla giustizia nel mondo, troviamo forti denunce. Cito solo questo passaggio: «Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune».
– Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica “RedemptorHominis” del 1979 (nn. 8,15,16), mette in evidenza le cause della crisi ecologica, così come successivamente nella “Sollecitudo Rei Socialis” del 1987 (nn. 26,29,30,34). A seguire l’Enciclica “Centesimus Annus” del 1991 dove parla di “ecologia umana” (n. 37), l’Enciclica “Evangelium Vitae” del 1995 (nn. 10,27,42), le Lettere Apostoliche “Ecclesia in America” del 1999 (nn. 25 e 56), “Ecclesia in Oceania” del 2001 (n 31), ed “Ecclesia in Europa” del 2003 (n. 89). Senza contare gli innumerevoli interventi durante le omelie e udienze generali.
– Sono stati tanti gli interventi di Benedetto XVI sul degrado ambientale come ormai un danno evidente. L’Enciclica “Caritas in veritate” fa riferimento soprattutto nei nn. 40-51.
– Nel 2015 è stata pubblicata l’Enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco sulla “cura della casa comune”. E’ un forte messaggio che ripropone la preoccupazione sociale della Chiesa, sulla scia di quanto riportato prima. L’intento di Francesco, ribadito durante la veglia di preghiera sul sagrato di S. Pietro per la pandemia, è quello di aiutarci a capire che siamo tutti parte della stessa famiglia umana. Famiglia che deve necessariamente cercare e trovare un nuovo equilibrio per sentirci tutti responsabili della terra che si abita. Tutti dobbiamo lavorare per promuovere uno sviluppo sostenibile, capace di rigettare quella che lo stesso Francesco definisce “cultura dello scarto”.
Riporto un recente pensiero di Papa Francesco che riassume quanto detto calato nel contesto della pandemia: «Abbiamo toccato con mano la fragilità che ci segna e ci accomuna. Abbiamo compreso meglio che ogni scelta personale ricade sulla vita del prossimo, di chi ci sta accanto, ma anche di chi, fisicamente, sta dall’altra parte del mondo. Siamo stati costretti dagli eventi a guardare in faccia la nostra reciproca appartenenza, il nostro essere fratelli in una casa comune. Non essendo stati capaci di diventare solidali nel bene e nella condivisione delle risorse, abbiamo vissuto la solidarietà della sofferenza» .
La 49a Settimana Sociale che doveva tenersi a Taranto dal 4 al 7 febbraio 2021 è stata posticipata al 21/24 ottobre 2021 a causa del Covid 19. Il tema scelto è molto significativo: Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro.
Si vuole partire dall’enciclica sociale di Papa Francesco Laudato sì che mette al centro la categoria di ecologia integrale.
Attraverso i lineamenta, già da tempo pubblicati, sappiamo che l’attenzione sarà soprattutto sulrapporto tra ecologia ed economia, tra ambiente e lavoro, tra crisi ambientale e crisi sociale, secondo l’indicazione di LS: «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» .
Per il Congresso Eucaristico(si celebrerà a Matera) che, sempre a causa del coronavirus, in qualità di Presidente ho chiesto che venisse spostato nel settembre 2022, ho scelto come tema, ed è stato accolto: “L’Eucaristia sorgente e forma della conversione pastorale, culturale, ecologica”.
Come Chiesa di Matera-Irsina saremo molto impegnati a lavorare su questo tema. Da subito siamo invitati a riprendere tra le mani la “Laudato sì”, promuovendo, attraverso la Pastorale Sociale del lavoro, il Delegato per l’ambiente,l’Ufficio per l’Ecumenismo, la Caritas, la Pastorale giovanile, l’Ufficio Missionario, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e la collaborazione di tutti gli altri Uffici, momenti in cui ci ritroviamo a riflettere e capire come aiutare concretamente la nostra bella terra di Basilicata ad essere terra che produce vita e non morte, a partire dalla celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del creato il primo settembre di ogni anno. In quanto custodi della nostra terra siamo chiamati ad operare affinchè i suoi frutti siano condivisi da tutti. Sicurezza alimentare, uso corretto dell’acqua, in definitiva tutela dell’ecosistema.
5.2.4. Le occasioni mancate
Viene quasi normale chiederci: come Chiesa, cosa abbiamo imparato dalla pandemia? E’ opinione comune pensare che tutto non sarà più come prima. E’ quanto ci auguriamo. Di una cosa siamo ormai certi: l’umanità è davvero tanto debole e fragile.
Nello stesso tempo ci siamo resi conto delle tante occasioni mancate che dovremmo cercare di recuperare ripartendo dal Vangelo.
Doveva essere un tempo durante il quale lavorare insieme per il bene comune del nostro paese, dell’Europa, del mondo intero. E invece sono prevalse altre logiche: la litigiosità, l’arroganza, la costruzione di steccati o muri che accentuano le divisioni.
Eppure noi crediamo nel Dio che si è fatto carne. Gesù è nato vulnerabile, mostrandosi debolezza per sconfiggere ogni forma di povertà, aiutandoci dall’alto della Croce a guardare le ferite impresse nel cuore di ogni uomo, per curarle. Noi, chiamati a imparare dal Maestro a saper trarre insegnamenti di vita dalla sofferenza.
Guardare al futuro consapevoli che non dobbiamo ripiegarci su noi stessi e le nostre nostalgie. In quanto figli di Dio siamo abitati dalla potenza dello Spirito santo che ci illumina, ci guida ed orienta. Forse dovremmo ricordarci che Dio ci sorprende sempre.
Non dimentichiamo che i nostri nonni e genitori hanno attraversato periodi più duri del nostro: epidemia della spagnola, guerre mondiali, terremoti. Si sono rimboccati le maniche e ci hanno lasciato un mondo che hanno sempre rispettato.
Abbiamo tante cose belle da dirci per essere protagonisti e costruttori di un futuro da consegnare alle nuove generazioni più bello, pulito, ricco di umanità e fraternità: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto ncon i nostri occhi, quello che contemplammo e le nostre mani toccarono del Verbo della vita…noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1-3).
6. Ripartiamo insieme
Così riporta il testo che l’Ufficio Catechistico Nazionale ci ha messo nelle mani. Sono le linee guida per la catechesi in Italia, frutto di un paziente lavoro che ha visto coinvolti i Laboratori ecclesiali. Prima ancora erano stati pubblicati Direttorio generale per la catechesie l’Istruzione “Conversione pastorale della comunità parrocchiale a servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” della Congregazione per il Clero.
Giustamente ci viene ricordato di non avere fretta di agire. E’ bene dare priorità alla formazione personale e comunitaria valorizzando l’ascolto, la narrazione, la comunità e la creatività.
Le nostre comunità hanno bisogno di essere ricompattate, ritrovando il loro volto attraverso relazioni che vanno create: riallacciare i legami in nome del vangelo. Accanto ai servizi necessari che le nostre comunità continueranno a portare avanti, soprattutto attraverso la Caritas, non dimentichiamo che non c’è vera carità senza la promozione di processi di crescita e maturazione.
Si avverte l’urgenza di riscoprire l’ispirazione catecumenale della catechesi e di tutta l’azione pastorale. Le linee del Documento finale del nostro Sinodo Diocesano vanno in questa direzione.
Alla luce dei tristi fatti di cui continuiamo ad essere testimoni, fondamentale risulta essere la missione evangelizzatrice delle famiglie e dei giovani, attraverso l’accompagnamento da parte di coppie formate, cresciute e adulte nella fede, diventa essenziale.
Le nostre liturgie, soprattutto la celebrazione della S. Messa, devono essere momenti in cui si colga la speranza, si riaccenda l’entusiasmo, si torni a casa con intenti propositivi. In questo abbiamo una grande responsabilità. L’accoglienza, l’ascolto e l’incoraggiamento, soprattutto verso chi si accosta alla soglia delle nostre chiese, diventano essenziali.
Gli Uffici preposti per l’evangelizzazione ci aiutino, nello spirito della comunione, attraverso puntuali e concrete indicazioni e momenti da vivere insieme. Le iniziative personali non filtrate dal Vescovo e dal Moderatore di Curia non saranno mai un bene per una Chiesa che chiede di camminare insieme, guardando in modo propositivo e piena di fiducia verso il futuro.
Tutte le aggregazioni laicali si sentano coinvolte e partecipi di un percorso comune che ha come fine il bene di tutti e la gloria di Dio.
7. Dio provvede sempre
Invito tutti a fare tesoro degli insegnamenti che arrivano dalla crisi in atto: non possiamo continuare a vivere la vita di sempre, dimenticando le vicende appena trascorse. In ogni momento difficile della storia, la Chiesa ci rivolge l’invito pressante alla conversione, cioè ritornare a Dio.
La nostra fede è riposta non nel Dio dei morti ma nel Dio di Gesù Cristo, il Dio dei vivi, che ha vinto la morte.
Nel dire popolare usiamo una frase: “Dio vede e provvede”. Sicuramente un’espressione impregnata di fede che ci rimanda a quanto preghiamo con il salmista: «Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente»(Sl 145(144),15-16).
Il Profeta Isaia ci ricorda: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15).
E Gesù dice: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?… Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,26-27).
E Giovanni ci ricorda: «E questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta»(1 Gv 5,14).
Invochiamo in questo tempo i nostri santi patroni, Eustachio, Eufemia, Giovanni da Matera. Ecome nei momenti difficili i santi e mistici hanno sempre consigliato di trovare rifugio sotto il manto della Santa Madre di Dio, anche noi ci rivolgiamo fiduciosi alla Madonna della Bruna, attraverso questa stupenda preghiera che vogliamo ancora una volta fare nostra:
«Sub tuum praesídium con fúgimus,
sancta Dei Génetrix;
nostras deprecatiónes ne despícias in necessitá tibus,
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta».
(Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta).
Vi abbraccio e benedico tutti.
✠Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo
Matera, lì 4 ottobre 2020
S. Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia