In occasione della festa dei nonni riportiamo di seguito l’intervento dell’autrice lucana Maddalena Bonelli.
I nonni amano dello stesso smisurato amore di mamma e papà, ma con più libera intenzione, con più esperto tocco e voce tenera.
Cosa saremmo senza l’affetto e le libere carezze dei nonni?
Ai miei e a tutti i nonni voglio dedicare un pensiero in prosa e in poesia tratti da due miei scritti inediti.
Nonno Giovanni, arranca lento su per la stradina incisa da innumerevoli piedi sulla cresta argillosa dei calanchi lucani. Pochi chilometri lo separano dalle prime case del paese. Non ha fretta, nessuno lo aspetta a casa: avanza lento e con spalle dritte nonostante sia prossimo agli ottanta.
Un piccolo panaro di canne intrecciate ondeggia appeso al suo braccio di anziano ortolano, seguendone i passi e le incerte increspature del terreno. Giovanni trae dal taschino della consunta camicia bianca a Quadri azzurri un sigaro corto e un pacco di cerini. La fiamma sfrigola contro il retro rugoso della scatoletta sprizzando scintille dalla capocchia giallina.
Un sottile filo di fumo azzurrognolo nella luce accecante di fine luglio testimonia che la punta del sigaro ha preso fuoco. Due boccate veloci e un fumo denso innalza rigoglioso nell’aria.
Sicuro del buon esito dell’accensione Giovanni capovolge il sigaro e lo mette in bocca dal lato che brucia, come fa sempre.
Non ha più nessuno, due mogli perdute in giovane età, due figli immolati uno alla patria e uno al cielo assassino, e altri 8 figli in parte seminati in terre straniere in parte radicati nella terra che ha fatto loro da madre.
Ma non sono i figli che spezzano la solitudine di Giovanni, sono i nipoti, quasi 40, e lo sfiorano con mani tenere e voci curiose. E lui ricambia con il dono di una saggezza antica che fluisci dalle mani nodose che insegnano e accarezzano, e dalla voce rauca che ogni tanto perde il filo e torna ai giorni felici prima con la sua Antonia e poi con Maddalena dal volto orientale, e ai banche di scuola. A volte confondendo versi e parole: eran trecento erano giovani e forti e sono morti… suonate campane, suonate campane… Cristo è risorto. È Pasqua… E così figli miei erano le nostre giornate, si andava con l’asino agli orti al sorgere del sole. È bello il sole quando nasce sul nostro Aimar…
1) Nonno Giovanni
Salivi per la strada dei morti
in una lisa cappa nera avvolto.
Solo.
Tornavi dalla vigna
ogni giorno della nostra infanzia.
Ti correvamo incontro
e birichine ci avvolgevamo ridendo
nella ruota ampia e calda del tuo mantello.
Sempre, nel vecchio panaro di canne,
avevi per le tue nipotine
un grappolo d’uva, il più saporito,
da mangiare con la polpa rossa
dei fichi maturi.
E d’inverno
arance dorate con spicchi figli
nascosti nel grembo
dei frutti succosi.
Sorridevi con sguardo dolce
e profondo in cui brillava vivida
la luce della sapienza;
ci carezzavi i capelli con mano
callosa e timida poi,
il passo lento e le spalle dritte
fermavi alla porta di casa nostra,
timoroso quasi
di oltrepassarne la soglia.
Mamma ti veniva incontro
e sollecita ti trascinava dentro
per una minestra calda,
per spezzare il solitario andare
ad un letto vuoto da tempo infinito.
Oppure sedevate insieme,
padre e figlia,
le brune teste chine protese verso l’altro,
nel fresco della sera a ricordare
i giorni andati e i cari assenti
in una comunione primigenia
fatta di sguardi e di poche parole.