A quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia, nell’ambito del progetto SIPROIMI del Comune di Pietragalla che ha come enti gestori Arci Basilicata e Fondazione Città della Pace per i Bambini Basilicata, il 26 novembre 2020 l’associazione MAAP – Atelier d’Arte Pubblica, ha presentato i lavori di sartoria realizzati da sei donne migranti durante il laboratorio di cucito svoltosi a Pietragalla nel mese di novembre.
Attraverso il linguaggio dell’arte, le donne migranti hanno dato nuovo significato a un luogo simbolo della tragedia causata dal sisma dell’80.
Insieme hanno cucito e ricamato un telo lungo quasi venti metri, appoggiandolo nel pieno centro di Pietragalla sui muri spezzati di una casa distrutta, a segnarne i confini, a rimarcare la ferita e allo stesso tempo a prendersene cura nel simbolico atto del cucito. L’installazione ha così trasformato le rovine del terremoto in uno spazio di riflessione e condivisione collettiva.
Il laboratorio di sartoria “Trame di integrazione”, che ha portato alla realizzazione di un’opera d’arte pubblica site specific, è stato realizzato da MAAP – Atelier d’Arte Pubblica in collaborazione e con il sostegno della Fondazione Città della Pace per i Bambini Basilicata, nell’ambito del progetto SIPROIMI del Comune di Pietragalla che ha come enti gestori Arci Basilicata e la Fondazione Città della Pace, e ha coinvolto le donne libiche, siriane e nigeriane ospitate nel borgo lucano.
L’attività, articolata in otto giorni nel mese di novembre, è stata coordinata dal maestro sarto Alì Mohammed e Chiara Godani – già tra i protagonisti della Silent Academy, un progetto di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 e della coop. soc. il Sicomoro -, dalla curatrice Stefania Dubla – nel 2019 direttrice artistica dell’evento MAAP, prima fiera in Italia sull’arte pubblica e sociale – e dall’artista Mariantonietta Clotilde Palasciano che ha spedito a ciascuna delle giovani donne una lettera scritta nel linguaggio asemantico tipico della sua pratica.
In risposta alla lettera ricevuta, le donne sono state invitate dapprima a immaginare e successivamente a scrivere parole appartenenti a un linguaggio intimo, privo di regole logiche e universalmente percepibile in quanto rivolto al profondo dell’animo umano.
Le parole sono state poi ricamate su alcune tovagliette offerte in dono alla comunità di Pietragalla. Nel corso del laboratorio, le donne hanno inoltre realizzato degli abiti in stoffa africana che due di loro hanno indossato per intonare, sotto le rovine della casa terremotata, un canto di unione e fratellanza tipico della tradizione nigeriana.
L’atelier, infine, ha visto le donne impegnate nella cucitura di un lungo telo bianco sul quale sono state ricamate le parole asemantiche di ciascuna di esse. Anche per le parole cucite il colore scelto è stato il bianco, a sottolineare come il linguaggio asemantico sia aperto e universale, racchiudendo in sé tutte le declinazioni del possibile.
L’installazione
L’installazione realizzata al termine del laboratorio ha interessato lo spazio che si trova nei pressi di via Municipio: sulle rovine dell’edificio non più esistente è stato calato il lungo telo bianco ricamato nel corso del laboratorio. In basso alcune delle donne migranti hanno continuato a cucire il telo, in un simbolico gesto di cura continua della ferita, che come la maggior parte delle sofferenze umane non riporta segni evidenti all’esterno ma sono cicatrici interiori (parole cucite di bianco su tessuto bianco) – come quelle di queste giovani migranti con alle spalle storie di pesanti tragedie , che ancor più di cura individuale necessitano di quella collettiva, di un abbraccio solidale in cui si stringe l’intera comunità.
In un momento storico in cui la distanza altera i gesti quotidiani e il vuoto viene avvertito come condizione di sofferenza, l’obiettivo è stato quello di ricucire insieme, non solo metaforicamente, le lacerazioni di ciascuno di noi (locali e migranti) e di ritrovare, proprio nel vuoto, le possibilità di incontro e dialogo.
Attraverso la metodologia e il linguaggio artistico di questo atelier di arte pubblica sulla sartoria, in conclusione, è stata resa visibile nello spazio urbano la trama delle relazioni che quotidianamente lo hanno attraversato e ancora lo attraversano.