Pierluigi Diso analizza i dati di Istat e Confindustria a seguito dell’emergenza sanitaria che ha messo in ginocchio il sistema produttivo del nostro Paese.
La Cancelliera tedesca Angela Merkel è riuscita a sbloccare l’impasse sul Recovery Fund (il ‘Next Generation EU’ come lo ha denominato la Commissione Ue): 750 miliardi da iniettare nelle economie europee per risollevarle dalla crisi generata dal Covid-19. Se il presidente del Consiglio europeo Charles Michel aveva parlato di ‘Mission impossible’, la preoccupazione di tutti era che il negoziato si chiudesse senza un’intesa, a causa di veti e ricatti incrociati da parte dei paesi schierati in blocchi di interessi contrapposti. Da una parte i ‘frugali’, che chiedevano un ammontare complessivo ancora più basso, maggiori controlli sulle spese e una forte riduzione delle sovvenzioni a fondo perduto. Dall’altra quasi tutti gli altri paesi (soprattutto quelli mediterranei, Italia in testa) che insistevano per non ridurre le misure europee. Oltre che di un forte aiuto per affrontare le conseguenze economiche della pandemia, la decisione di questo Consiglio costituisce una tappa importante nel processo di integrazione europea. Il bilancio dell’Unione – includendo il Recovery Fund – ora raddoppia quasi di dimensione, viene riorientato al finanziamento di beni pubblici europei e di spese comuni cruciali per la salute degli uomini e dell’ambiente, la ricerca e il progresso tecnologico. Un’Europa che si integra lungo queste linee è destinata a un maggior ruolo economico-politico anche nel mondo. Venticinque giorni fa il presidente Bardi interveniva sull’argomento, consapevole delle difficoltà del momento che il Covid19 ha solo messo a nudo, evidenziano che il lockdown ha colpito gravemente anche la filiera dell’economia della cultura e del turismo. I recenti dati fornitici dalla Svimez fotografano poi il preoccupante scenario imprenditoriale lucano e ieri anche il Censis è stato pessimista. Sono sotto gli occhi di tutti le inevitabili conseguenze sull’economia lucana e la società stessa derivante dalle limitazioni che dobbiamo subire se vogliamo uscire dalla pandemia. Certo, prima la salute, ma bisogna pensare anche alle famiglie, ai loro redditi ridotti enormemente, ai consumi in calo, alle attività commerciali chiuse e quasi al collasso. Dopo la cultura nel 2019 e il connesso settore turistico, si è cercato di orientare lo sguardo verso le attività produttive per un nuovo sviluppo del tessuto imprenditoriale lucano, grazie anche alla Zes jonica, ma la tutela della salute è venuta prima. Insieme al turismo e alla cultura, mentre in pochi ormai nutrono Speranza (perchè chissà quando guariremo), sono le attività produttive, le micro e piccole imprese, la linfa vitale del tessuto socio-economico lucano. Si impone quindi una risposta certa e immediata, oltre che adeguata alla regressione in atto, programmando e progettando una condizione di ripartenza. In molti oggi si chiedono quanto costerà il nuovo lockdown all’industria e all’economia italiana? Nel frattempo il Pil dell’ultimo trimestre è destinato a scendere ancora e i dati al rientro dalle vacanze estive saranno solo un bel ricordo. Senza una visione strategica e di reale riforma quale valore avrà il Recovery Found? Il recupero economico sarà difficile e la situazione è preoccupante, come ha attestato anche l’ufficio studi di Confindustria. Anche il lockdown soft, come dice il premier Conte, creerà danni all’economia e alle famiglie che nemmeno a Natale potranno abbracciare i loro cari per il divieto di muoversi tra singoli comuni, anche limitrofi. Le attività commerciali, i bar, i ristoranti e altri esercizi commerciali resteranno duramente coinvolti. Ma per la nostra economia il problema non è solo legato ai consumi, ma anche alle esportazioni. La domanda è ferma almeno per la Francia e la Spagna ed anche la Germania sta riducendo la domanda di prodotti italiani. Così l’export della nostra industria cala e l’economia nell’ultimo trimestre del 2020 perderà ancora punti percentuali. Di chi è la colpa? Del Governo che sapeva da un anno della celere espansione della pandemia, della seconda ondata ed oggi finalmente avverte la popolazione dei rischi di una terza ondata. C’è da chiedersi se il Governo abbia mai avuto un pensiero strategico per affrontare queste situazioni di pericolo sociale ed economico. L’economia ha messo a nudo i limiti della politica industriale italiana e il Governo sembra potersi rompere come un giocattolo di Natale dopo le esternazioni di Beppe Grillo sul MES. Forse la pandemia del 2020 può essere l’occasione per ripensare una politica industriale, partendo dal post Covid. Diventa necessaria la capacità di anticipazione e resilienza da parte dei sistemi produttivi, economici, sanitari e sociali. Il Governo sta sicuramente, anche se in ritardo, affrontando la crisi sanitaria, ma il mini-lockdownevidenzia la mancanza di una strategia a medio termine…ormai. Si sarebbero dovuti utilizzare tutti questi mesi per rafforzare il sistema sanitario, invece di scrivere un libro. La seconda ondata ci ha trovato ancora una volta impreparati, né a settembre siamo stati bravi a studiare le mosse degli altri paesi che hanno aperto le scuole prima di noi, almeno per verificare se i contagi partivano da lì. In conclusione, per tutta l’estate non è stata studiata alcuna strategia sanitaria e l’autunno è cominciato come tutti gli altri anni e come se nulla fosse accaduto, salvo voler far sedere gli alunni su banchi a rotelle. Chissà se le dolci chiusure volute da Conte saranno sufficienti e ci permetteranno di evitare la terza ondata già prevista dopo l’Epifania che solo le feste si porterà via.
Pierluigi Diso