Terremoto del 1939 nel Vulture-Melfese, Gianni Maragno racconta l’esperienza di Virginia Bevilacqua. Di seguito la nota integrale.
Qualche giorno fa ho scritto un articolo sul terremoto che sconvolse l’area del Vulture il 1930.
Non mi sarei mai aspettato che un superstite di quel terremoto mi contattasse per raccontare la sua vicenda personale.
Aveva appena due anni Virginia Bevilacqua, nata a Salerno da padre melfitano e madre laurenzanese quando dopo alcuni giorni di vacanza trascorsi a Laurenzana, allora fiorente e popoloso centro della Basilicata, salirono in carrozza per recarsi a Melfi dove avrebbero alloggiato nella casa del nonno paterno, in attesa del giorno dopo dove si sarebbe tenuta una cerimonia di matrimonio. I genitori e i tre figlioletti Pietro, Nicola e Virginia si lasciavano cullare dal moto tranquillo dei cavalli nella calda estate lucana.
Virginia in premessa dice di non ricordare assolutamente nulla di quel drammatico episodio ma riporta quanto in merito sua madre raccontava alle proprie amiche.
Sulla carrozza in direzione Melfi, la piccola Virginia solitamente tranquilla, si mostrava molto irrequieta, stato che perdurò anche all’arrivo della casa dei nonni, dove la bambina non riusciva a prendere sonno e si dimenava nella culletta situata nell’angolo della stanza dell’abitazione ad un piano, dove tutta la famiglia avrebbe trascorso la notte.
Nel cuore della notte, all’una e dieci il terribile boato, una voragine nel pavimento della stanza risucchiò la culletta della piccola, il vano delle scale sprofondò, nel gran polverone, si poteva udire il pianto dirotto di terrore della piccola Virginia. Suo padre, uno dei ragazzi del ‘99, conservava sul corpo i segni della Grande Guerra: una dolorosa amputazione lo aveva privato dell’avampiede sinistro; per questa menomazione non riuscì assolutamente a calarsi nella voragine per soccorrere la bimba che nel frattempo continuava a piangere. La mamma cercò con la propria voce di sostenere la piccola, chiamandola continuamente con il nomignolo “Nia, Nia, Nia”, l’ultima sillaba di Virginia. Ma all’improvviso la bimba tacque, gettando nello sconforto più profondo i genitori. Per fortuna al mattino intorno alle 7 arrivarono i militari a prestare soccorso. I genitori li pregarono di intervenire prima a pian terreno dove si intravedeva un grande letto zeppo di macerie;i soccorritori con celerità e cautela liberarono il letto dai calcinacci e rinvennero una culla rovesciata, sotto la quale trovarono Virginia con gli occhi sbarrati dal terrore. L’involucro di legno della culla aveva funzionato da guscio, preservando il corpo della piccola. Immediato risuonò l’urlo dei soccorritori: “la bimba è viva”, ma la mamma incredula ripeteva ossessivamente “non la sento, non la sento”. La bimba era troppo terrorizzata persino per piangere, alche un militare pizzicò il braccino della piccola che diede inizio ad un pianto liberatorio che accomunò nella gioia tutti gli astanti.
Anche se Virginia non può serbare ricordi diretti del terremoto, porta da 90 anni i segni sul corpo di quel tragico avvenimento, alcune piccole cicatrici sulle braccia, un pezzetto d’orecchio mancante una cicatrice sull’occhio sinistro.
Virginia nella vita ha fatto l’educatrice, prima insegnante e successivamente Preside. Dopo aver vinto alcuni concorsi ed aver insegnato in diverse regioni italiane, vive ora a Abano Terme in una invidiabile condizione di lucidità, serenità e fattivo impegno sociale. Ci ha tenuto a dirmi che ha voluto riferire la sua vicenda, affinchè la divulgassi perché non si vive solo per se stessi ma ogni ambizione, ogni aspirazione, va sempre indirizzata al benessere di tutti. Il terremoto può colpire tutti, ma con l’impegno di tutti si può fare moltissimo in tema di sicurezza evitando sprechi di vite umane e di risorse.
Grazie di cuore Virginia.