Il 2 gennaio 1927 la città di Matera diventava ufficialmente capoluogo di provincia. Di seguito l’intervento dello storico materano Nino Vinciguerra per la rubrica “La storia siamo noi”.
Il 6 dicembre 1926 in comune giunse un telegramma di Mussolini che preannunciava l’istituzione della nuova provincia di Basilicata: «Roma, 6-12 – Ore 13 – Precedenza assoluta. “Sindaco di Matera n.30920 – oggi su mia proposta il Consiglio dei Ministri ha elevato cotesto comune alla dignità di capoluogo di provincia stop – sono sicuro che col lavoro e colla disciplina e colla fede fascista cotesta popolazione si mostrerà meritevole della odierna decisione del governo fascista. Mussolini”
». Gioia che il sindaco, Avvocato Gabriele Giordano, condivise rapidamente facendo affiggere in città un manifesto che riportava la notizia. Incontenibile fu l’entusiasmo durante i discorsi del sindaco stesso e del sottoprefetto Farina. Il Regio Decreto n.1/2 gennaio 1927 sancì la nascita della Provincia di Matera che fu formata da 23 comuni con una popolazione totale di circa 147.000 abitanti (Matera ne contava 17.900). Ovviamente le tradizioni storico-culturali e le strutture sociali ed economiche influirono sulla scelta. Matera era antica sede arcivescovile, Matera aveva le scuole elementari, una scuola complementare (intitolata a Giuseppe Gattini), una delle sei scuole di metodo esistenti in Italia e un Liceo-Ginnasio (dove, nel biennio 1882/84, aveva insegnato Giovanni Pascoli). Aveva, inoltre, l’ospedale e un museo archeologico tra i più ricchi di reperti paleolitici e neolitici. Pertanto, si diede il via a una serie di iniziative che avrebbero determinato un radicale cambiamento urbanistico della città e della sua vita economica e culturale.
Il 14 dicembre 1926 giunse a Matera il primo prefetto, Rosario Rossi, e il 16 gennaio 1927 fu nominato il primo commissario straordinario dell’amministrazione provinciale, Salvatore Pacilio. La prima sede della neonata provincia individuata presso il Palazzo Giudicepietro ma, per evitare che l’ente provinciale ristagnasse nella sede provvisoria, si scelse l’area su cui costruire l’edificio che sarebbe stato adibito a sede definitiva dello stesso ente.
Purtroppo, forse a causa della miopia di tecnici e amministratori, la scelta cadde nell’area dove sorgeva il Giardinetto Margherita, la villa di Matera, un vero e proprio orto botanico con ricercate essenze autoctone. Alla distruzione del Giardinetto Margherita si opposero autorevoli personaggi fra cui tre ex sindaci della città, Domenico Ridola, Raffaele Sarra e Francesco Manfredi, che recatisi in Comune furono bruscamente congedati. Non riuscirono a scongiurare questo provvedimento nonostante la presenza di altri suoli edificatori anche più idonei dell’unico verde cittadino. Ridola, amareggiato, si rivolse a Sarra esternandogli il proprio rammarico «Caro Raffaele, come si fa a non versare lacrime di fronte a tanto scempio?» (Sacco Leonardo, Matera contemporanea, Cultura e società, Basilicata Editrice, Matera 1983).
Certamente non si considerò la conformazione geologica di quel terreno e a causa di questa superficialità la spesa preventivata. Un imprevisto che comportò il ridimensionamento del progetto, inizialmente affidato all’ing. Giuseppe Quaroni di Roma e poi proseguito dall’ing. Francesco De Martino dell’Ufficio Tecnico Provinciale. Questi, a differenza di Quaroni, il cui progetto prevedeva un’opera faraonica dovette necessariamente badare al sodo e costruì un edificio più sobrio e austero ma con una struttura solida (a Matera fu la prima su fondazioni di cemento armato).
Nino Vinciguerra