Case di riposo e rsa, Fp Cgil e Cgil Spi: “Necessaria rivoluzione con i fondi del recovery plan”. Di seguito la nota integrale.
La pandemia da Covid19 in atto ci sta palesando tutta la fragilità di alcuni sistemi assistenziali e socio-sanitari, contribuendo ad accendere una luce, anche nel dibattito mediatico, sulla popolazione anziana e facendo emergere i nodi critici. Bene l’avvio della campagna vaccinale, ma la gravità di alcuni focolai in case di riposo e strutture di accoglienza (è notizia di questi giorni di nuovi focolai a Muro Lucano e a Vietri di Potenza, con ospiti e operatori contagiati), nonostante si siano isolate per rispondere alla pandemia e proteggere i propri ospiti dagli effetti dal letale virus che stiamo combattendo, ha fatto riemergere limiti già noti di un sistema di cura e la necessità di ripensarne l’organizzazione. Una dimensione che preoccupa e chiede di allargare lo sguardo all’accoglienza che verrà, in un ripensamento complessivo delle strutture che superi gli attuali modelli, attuando una “rivoluzione” necessaria, che i fondi in questo momento a disposizione rendono attuabile.
La notizia che l’iniziale dote prevista per la sanità nel Recovery plan raddoppia e raggiunge la quota complessiva di 18,1 miliardi complessivi, di cui ben 12,5 miliardi serviranno per potenziare le cure a casa e sul territorio, vera spina nel fianco in tutto il paese durante l’emergenza, e che con queste risorse si potranno costruire da qui al 2026 quasi 5mila case di comunità per assistere anziani e malati cronici e dei presidi sanitari a degenza breve per oltre 36.000 posti letto con funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, non può che essere accolta con soddisfazione.
Se consideriamo che ben il 25% della popolazione attuale è nata tra il 1961 e il 1976, si stima che tra il 2045 e il 2050gli over 65 saranno il 34% dei residenti, più di 1 su 3 e l’età media passerà dagli attuali 44,9 a oltre 50 anni nel 2065, con una vita media che crescerebbe a 86,1 per gli uomini e 90,2 per le donne. Avremo, pertanto una società più anziana e longeva e fatta di famiglie ristrette, con margini sempre minori di apporto dei familiari nell’assistenza.
Dall’indagine di Italia Longeva “La continuità Assistenziale nella long-term care in Italia: buone pratiche”, in collaborazione con il Ministero della Salute, risulta che in Basilicata, al 31.12.2018, 4.512 persone over 65 erano inserite in percorsi di assistenza, di questi 3.884 con più di 75 anni. La percentuale di assistiti over 65 su 100 abitanti era del 3.5% a fronte di una media nazionale di 2.7%, mentre per gli over 75 anni la percentuale su 100 abitanti era del 5.8% rispetto a quella nazionale di 4.4%.
Per rendere sostenibile l’invecchiamento della popolazione previsto nel prossimo quarto di secolo, bisognerebbe aumentare di oltre il 40% il numero di posti letto nelle residenze per anziani e contemporaneamente far crescere del 70% il lavoro di assistenti per la cura domiciliare. Questo nello scenario minimo, ovvero immaginando di mantenere la stessa offerta attuale che, se dovesse essere allineata con la media Ocse, dovrebbe essere incrementata di circa il +135%.
Un discorso complesso, che abbraccia in maniera ampia le politiche di welfare che vanno affrontate sì a livello centrale, ma anche in ambito regionale.
Posta la centralità della domiciliarità come diritto della persona, con la casa che deve tornare ad essere il primo luogo di vita e cura anche attraverso la telemedicina, è evidente che occorra, come abbiamo sempre sostenuto, un controllo sulle strutture di domiciliarità pesante e una conseguente legge sull’accreditamento.
E’ da tempi non sospetti che come Cgil segnaliamo, denunciamo e sollecitiamo come non ci si possa limitare, ad esempio, alla mera autorizzazione legata al rispetto di requisiti tecnici e strutturali per aprire una casa di riposo per l’apertura delle case di riposo e delle rsa ma servono linee guida stringenti per gli accreditamenti e una legge regionale che valorizzi la qualità del lavoro e stabilisca dotazioni organiche e figure professionali necessarie per l’assistenza, al di sotto delle quali non si può scendere, definendo standard di qualità sostanziali e non formali.
La Regione deve accelerare sulla predisposizione di una Legge, non più rinviabile, sull’accreditamento delle strutture nella quale vengano stabiliti i livelli qualitativi minimi dell’assistenza rilasciata dalle varie strutture, garantendo che la stessa sia di elevato livello tecnico-professionale e scientifico, che sia erogata in condizioni di efficacia ed efficienza, nonché di equità e pari accessibilità a tutti i cittadini e sia appropriata rispetto ai reali bisogni di salute, psicologici e relazionali della persona, attraverso l’impiego di personale qualificato e in numero adeguato.
Crediamo non si possa più tergiversare su un tema così delicate e importante e che vadano compiuti dagli organi istituzionali tutti gli sforzi per mettere in sicurezza gli anziani, che nella loro fragilità rappresentano le salde radici di ciò che siamo.