Per la rubrica “La storia siamo noi” lo storico materano Nino Vinciguerra ricorda la figura dell’avvocato materano Felice Ventura.
Nino Vinciguerra: “Felice Ventura, umanità di un avvocato”.
Felice Ventura nacque a Matera il 29 settembre 1880, secondo di tre figli (gli altri erano Lucrezia e Angela), da Giambattista (avvocato originario di Miglionico) e Lucia De Nigris (originaria di Tricarico). Purtroppo una tragedia lo colpì quando era ancora bambino: il 15 giugno 1884, morì suo padre. Fu, ovviamente, un momento difficilissimo per il piccolo Felice e per la famiglia anche perché buona parte dei guadagni del suo lavoro il suo papà Giambattista la impiegava per aiutare i suoi fratelli (rimasti orfani in tenera età). Pertanto tutti si ritrovarono in ristrettezze economiche e non pochi furono i sacrifici che si sopportarono per andare avanti con dignità. Felice, guidato dall’esempio paterno, si impegnò nello studio e frequentò brillantemente il Liceo “Duni” di Matera. Si iscrisse quindi alla facoltà di Giurisprudenza a Napoli laureandosi con il massimo dei voti nel mese di luglio del quarto anno di studi. Subito dopo la discussione della tesi inviò alla mamma il seguente telegramma: “Laureatomi splendida votazione rivolgo pensieri Santa memoria padre. Ai vostri sacrifizi perenne gratitudine. Bacio tutti. Felice”. Pertanto, giovanissimo, iniziò a esercitare l’attività discutendo cause di rilievo in Corte d’Appello e d’Assise per le quali furono spesi giudizi positivi e apprezzamenti per l’efficace oratoria. Lo si evince anche in un articolo di settembre 1903 del giornale “La Democrazia” che ne esaltava la “mirabile condotta” in una causa penale: “Non possiamo dispensarci dal rilevare la simpatia e la bella impressione che lasciò in tutti la parola stringente, dialettica, del giovane avv. Ventura, il quale appena da un anno esercita con vero successo la professione di avvocato penale, nella preclara e dotta Curia di Matera, ove sono tanti i valorosi. Il giovane Ventura è una pianta assai promettente di penalista distinto, e il Procuratore Generale nella sua requisitoria e il comm. Lichinchi nella sua arringa resero testimonianza del suo valore, augurando a lui uno splendido e meritato avvenire”. Però, Ventura, abbandonò il penale dedicandosi esclusivamente alle controversie civili in quanto, profondamente cristiano, ripugnava la pena di morte ritenendo che la legge umana non poteva prescindere da quella divina se privava il condannato dalla possibilità di redimersi. Don Felicetto, così lo chiamavano tutti, esercitò l’avvocatura con passione e disinteresse verso il mero guadagno, trascurando addirittura di inviare ai suoi clienti meno abbienti le note di spesa. Spesso cercava di convincerli a soluzioni pacifiche evitando le azioni giudiziarie (andando contro i suoi interessi). Preparato e probo, dopo il 21 settembre 1943, per mancanza di giudici, fu chiamato a svolgere le funzioni di magistrato e assolto dopo un anno questo importante compito, il Presidente del Tribunale di Matera ebbe a dire: “Verrei meno ad un mio preciso dovere se, con l’occasione, non Le esternassi i miei ringraziamenti più vivi per la collaborazione da Lei appassionatamente prestata per oltre un anno nella amministrazione della giustizia con la rara competenza, acquistata nell’esercizio della professione forense per un quarantennio, con grande zelo, con somma rettitudine, con scrupolo tormentoso, sì da potersi dire che Ella si è dimostrato magistrato perfetto e completo”. Molti materani ricordavano di vederlo in preghiera nella chiesa di Santa Lucia prima di recarsi in tribunale (che aveva sede nel Palazzo dell’Annunziata) e al rientro, dopo aver svolto il proprio lavoro. Felice Ventura, per aver donato troppo, sarebbe morto in povertà se non fosse stato amorevolmente aiutato dai suoi nipoti Mimì e Titino (che lui, quando nel 1907 morì il loro padre Enrico, marito della sorella Lucrezia, aveva “adottati”). A settant’anni, il 6 marzo 1951, don Felicetto si spense. Fu sepolto nel vecchio cimitero di Matera, nella Cappella Torraca, dove riposa con il cognato Enrico, con la sorella Lucrezia e con i suoi nipoti. A Matera un istituto di accoglienza per i meno fortunati portava il suo nome.
Nino Vinciguerra
(Consultati: www.miglionicoweb.it, Gabriele Scarcia e Personaggi della storia materana, Giampietro, Ed. Altrimedia, 1999)