Riportiamo di seguito l’intervista realizzata da Marilù Mastrogiovanni a Paola Navilli, moglie di Raffaele Ciriello, medico e reporter nato a Venosa ma originario di Ginestra, ucciso in Cisgiordania 19 anni fa. Ancora oggi i responsabili della sua uccisione sono sconosciuti. Nel 2010 è stato riconosciuto dal Governo italiano quale vittima del terrorismo internazionale.
Doveva realizzare un reportage per il Corriere della Sera. Sarebbe stato scambiato per un nemico. Era un medico con la passione per il fotogiornalismo, ricordano la moglie e il giornalista Massimo Alberizzi. La sua storia su Ossigeno – Cercavano la verità
Diciannove anni fa, il 13 marzo 2002, a Ramallah, in Cisgiordania, Raffaele Ciriello, 42 anni, medico e fotoreporter freelance italiano, è morto crivellato da una raffica di proiettili esplosi da un carrarmato israeliano. Per errore, secondo la versione ufficiale. La sua storia è ricostruita sul sito “Ossigeno – Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.it
Era un medico specializzato in chirurgia plastica. Aveva scelto di seguire la passione per il fotogiornalismo. Aveva realizzato reportage sociali in aree di crisi e di guerra: dal Sud America, all’Africa, al Medio Oriente. Le tappe del suo impegno sono tracciate ancora oggi sul sito web “Postcards from hell” – Cartoline dall’inferno – www.raffaeleciriello.com sul quale pubblicava i suoi lavori. “Aveva realizzato quel sito da solo, lavorandoci la notte”, ricorda a Ossigeno la moglie, Paola Navilli, farmacista.
I reportage – I primi reportage di guerra arrivarono dalla Somalia, dove era arrivato con il giornalista Massimo Alberizzi, per il Corriere della Sera, che interpellato da Ossigeno lo ricorda con queste parole: “Era un medico oltre che un fotografo. Una volta arrivammo assieme in un posto che era stato appena bombardato. Mi lasciò in mano le sue macchine fotografiche e si mise a cucire le ferite dei ragazzini colpiti dalle bombe. Raffaele era fatto così”.
Il suo interesse per i devastanti effetti dei conflitti sulle popolazioni locali, in particolare sulle fasce più deboli, donne e bambini, emerge dai reportage pubblicati in oltre quindici anni di attività. In questa sua frase, appuntata su un foglio e ritrovata dalla moglie dopo la sua morte, c’è tutto il senso profondo della sua scelta di testimoniare la realtà, sempre dalla parte degli oppressi: “Non so se è vero che i fotografi possano fissare ciò che altrimenti gli altri non riuscirebbero a vedere. Ma ogni volta che leggo di un giornalista o di un fotografo caduti vittime di una granata, o di una pallottola vagante, ritorno alle fotografie che ho scattato, e guardo le persone che ne sono protagoniste. Quando i miei occhi incontrano i loro, mi sembra di capire tutto”.
Il ricordo della moglie – Per raccontare il punto di vista degli ultimi, Raffaele Ciriello ha sacrificato la sua vita. “Non voglio piegare il ricordo di Raffaele alla retorica dell’eroe. Raffaele non era un eroe”, premette Paola Navilli. Era un giornalista-giornalista, anche se era iscritto all’Ordine dei Medici e non all’Ordine dei Giornalisti. Onorava la professione medica anche sui campi di battaglia, soccorrendo i feriti e posando la macchina fotografica. Scegliendo, così, da che parte stare, l’eterno dilemma del reporter: se mentre si assiste a una tragedia, si debba fissarla in uno scatto o soccorrere le vittime. Era un giornalista ed era un medico, ma la sua memoria è stata rimossa da entrambe le categorie.
“Era scomodo, perché non era inquadrabile in una sola categoria – dice Paola Navilli – era un medico, ma era anche un fotoreporter, seguiva il suo fiuto giornalistico. Studiava moltissimo e leggeva, si informava, coltivava le sue fonti. Organizzava le sue missioni, i suoi reportage, dando retta al suo intuito. L’Afghanistan l’aveva stregato, così come era sconvolto dalla guerra del Kossovo, così vicina a noi. Andava lì dove sentiva che ci fosse l’urgenza di raccontare”.
Perchè si trovava a Ramallah – L’urgenza di raccontare l’aveva portato in Cisgiordania. Aveva un assignment del Corriere della Sera, per realizzare un reportage sulla seconda Intifada. Gli israeliani avevano occupato Ramallah e avevano dimostrato subito ostilità nei confronti della stampa: non volevano giornalisti nella zona delle operazioni militari e non volevano fossero scattate foto. Il giorno prima del suo assassinio, avevano fatto il tiro a bersaglio sull’Hotel City Inn, dove albergavano tutti i giornalisti, incluso Raffaele Ciriello. Il 13 marzo del 2002 Raffaele Ciriello fu crivellato a freddo da cinque pallottole 7,62 Nato, mentre altre due andarono a finire su un muro.
Nessun responsabile– Il governo israeliano ha parlato di errore: Raffaele Ciriello sarebbe stato scambiato per un soldato palestinese armato di un lanciagranate Rpg. Una svista a cui è difficile credere, perché Ciriello aveva in mano soltanto una piccola telecamera portatile, quando fu ucciso. Nel 2010 è stato riconosciuto dal Governo italiano quale vittima del terrorismo internazionale. Ancora oggi i responsabili della sua uccisione sono sconosciuti.