Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta dall’arcivescovo di Matera-Irsina Monsignor Caiazzo nella serata di mercoledì 31 marzo nella Cattedrale di Matera durante la Santa Messa del Crisma.
Omelia dell’Arcivescovo nella Santa Messa del Crisma
1. Saluti e ringraziamenti
Carissimi confratelli nel sacerdozio e diaconi,
appartenenti alla vita consacrata, seminaristi, Rettore del Seminario Regionale di Potenza, e voi tutti santo popolo di Dio. Per il secondo anno consecutivo ci ritroviamo a celebrare questa solenne liturgia della messa crismale non nella sua forma consona. La situazione sanitaria, a causa del coronavirus, non ci permette di vivere pienamente questa celebrazione anche se siamo proiettati verso traguardi di vittoria.
Questa celebrazione esprime il desiderio di ritrovarci, soprattutto come presbiterio, sostenuto dalla presenza e dalla preghiera dell’intera Chiesa di Matera-Irsina.
Oggi noi confermiamo la nostra unità che non si regge su un rapporto di amicizia o di simpatia ma sulla vocazione che appartiene a tutti: risposta alla chiamata che Gesù, Maestro e Signore, ha fatto ad ognuno. Ci lega il sacramento dell’ordine che, in modo particolare durante quest’anno di pandemia, abbiamo potuto sperimentare come si sia consolidato.
Il nostro pensiero va al confratello D. Giovanni Punzi impedito a partecipare, così come a D. Pietro Andriulli e a D. Michele Leone. Anche se fisicamente, in questo momento, non vicino a noi lo è spiritualmente Mons. Piero Amenta, così pure Don Vito Andrisani.
Ricordiamo anche quanti sono nati alla vita eterna come Don Mimì Morelli, Mons. Antonio Tortorelli e, a causa del Covid 19, P. Raimondo Schiraldi e P. Ivo Morsa.
Ringraziamo il Signore per i confratelli che hanno ricordato o ricorderanno il 10°, 25°, 50° anniversario di sacerdozio: Don Giuseppe Antonio Lavecchia, Don Rosario Manco, Don Marco Stanislaus, Don Massimo Ferraiuolo, Don Angelo Gioia, Don Giuseppe Tarasco, P. Basilio Gavazzeni, Don Nicola Mensano, Don Rocco Rosano.
Accogliamo tra i Padri Benedettini Olivetani P. Vito Latorre, P. Bruno Guarnieri e Fra Marco Muscolo tra i Frati Minori Cappuccini, e le nuove religiose in più di una comunità.
Rivolgo un grazie particolare alla comunità di Irsina che quest’anno ha offerto l’olio per la celebrazione.
2. Comunione fraterna in un cammino sinodale
Non c’è cosa più vera e santa che risponda alla chiamata di Gesù: necessità di vivere l’esperienza della comunione fraterna non per costrizione ma per scelta, non con animo rattristato o contrariato ma con gioia, non in freddi e reverenti rapporti ma nella freschezza della comunione che mostra il vero volto di essere l’unico presbiterio nella Chiesa che non è nostra ma di Gesù Cristo.
In questa messa “crismale” sperimenteremo ancora una volta l’effusione dello Spirito Santo che vuole rigenerarci, rinnovare il nostro amore e da innamorati essere a servizio dell’Amore.
Il contagio potenzialmente più letale per tutti è quello della sfiducia, di chiuderci nel nostro mondo, di coltivare le nostre solitudini, di allentare il desiderio della preghiera, della vita sacramentale, permettendo che questo tipo di virus spenga in noi il desiderio di vivere con gioia ed entusiasmo il nostro essere credenti, il servire il Signore e la Chiesa come preti.
Sono certo che questo lungo tempo porterà a una nuova primavera per la Chiesa. Se è vero che la paura è ancora tanta nei fedeli è altrettanto vero che si avverte il bisogno di Dio, di respirarlo, di scegliere secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo: “Vino nuovo in otri nuovi”, di mostrarlo con la nostra vita.
Il Sinodo, anzitempo, ci ha preparati a questa epoca perché siamo capaci di fare scelte che siano orientate al pensiero di Dio, il nostro Dio che ha parlato e continua a parlare attraverso il suo Santo Spirito che illumina, orienta, guida, suggerisce. Di certo, alla luce della pandemia, il nostro stile pastorale deve cambiare: il “si è sempre fatto così” deve lasciare il posto alla novità di Dio che ci sorprende sempre.
Papa Francesco lo scorso 30 gennaio, durante l’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale, ha sottolineato: «La Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare».
Non vi pare, cari confratelli sacerdoti, che il Signore ci sta chiedendo, e anche i fedeli lo desiderano, che si mostri un nuovo volto di Chiesa? A me sembra che ci venga chiesto con sempre maggiore slancio una Chiesa che sia più povera, capace di seminare amore nell’accogliere, che sia più serva non solo nell’amministrare sacramenti ma nel mostrare il volto di chi si fa carico delle gioie e dei dolori di tutti. Voi siete testimoni che mai come durante quest’anno tutto questo ci è stato chiesto.
Una Chiesa che non punta il dito e non si scandalizza ma che, in forza della verità evangelica, si fa amica di ogni uomo, soprattutto dei più lontani, di coloro che non credono, capace di camminare e di dialogare con tutti.
Proprio nell’ultimo Consiglio permanente della CEI il Card. Presidente, Gualtiero Bassetti ha detto: «Il processo sinodale diventa, dunque, opportunità per essere insieme, fare insieme e camminare insieme con il Risorto. Quali sono le attese delle persone per il futuro? Quali sono le nostre attese, le attese delle nostre Chiese, del Santo Popolo di Dio? Sono le domande che ci devono guidare per non mancare un altro passaggio, forse decisivo, con la storia. Ecco, allora, alcuni spunti sulla sinodalità che possono sostenere il nostro confronto».
3. La spiritualità sacerdotale
Lasciamo che siano i laici a svolgere determinati compiti nelle nostre parrocchie. Gli apostoli, ci dice il libro degli Atti, sono uomini di preghiera e annunciatori della Parola di Verità, quindi testimoni di un amore che feconda i cuori. Troviamo scritto che quando si accorsero che nascevano nuove emergenze, come quella di occuparsi delle vedove e delle mense, dissero: “Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola” (At 6,2-4).
I limiti di azione e di spazio causati dalla pandemia ci hanno invitato a considerare che dobbiamo dedicare più tempo alla preghiera. Non a caso spesso diciamo con la colletta della liturgia: “Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento”.
C’è una spiritualità sacerdotale che ha bisogno di essere coltivata. Ogni sacerdote è confessore e padre spirituale del confratello; ognuno attinge al serbatoio di grazia che possiede l’altro; ognuno si disseta alla fonte della grazia che solo il confratello può dare; ognuno è misericordia di Dio; ognuno consigliere e guida per l’altro; ognuno presenza di Cristo che parla e agisce.
Coltivare la spiritualità sacerdotale significa sentire il bisogno di ritrovarsi con i confratelli, condividere tanti momenti della vita e allargare gli orizzonti della fraternità; significa desiderare, partecipare e vivere gli incontri comunitari di vicaria e soprattutto il ritiro mensile; significa che almeno una volta all’anno ogni sacerdote viva gli esercizi spirituali.
Se manca tutto questo non possiamo parlare più di presbiterio: ognuno diventa un’isola, tante isole formano un arcipelago, sicuramente anche bello, ma non sono l’immagine della Chiesa. Questo è il vero contagio di un virus che non avvicina ma allontana, che ci spinge a isolarci occupandoci solo della nostra misera isola secondo il personale modo di intendere e vedere. Invece quando le isole si avvicinano, la terra di uno è anche dell’altro, diventano l’unica terra, i frutti e le sofferenze si condividono e si gustano insieme.
Papa Francesco, nella lettera apostolica Patris Corde, redatta nell’anno dedicato a S. Giuseppe, dice: “Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza”.
La pandemia ci rivela soprattutto questo: il nostro unico desiderio deve essere quello di ripartire con l’entusiasmo dei giovani preti, con la maturità dell’esperienza, con la sapienza di chi è avanti negli anni.
Il testo di Isaia che Gesù nella sinagoga di Nazareth applica a sé dice esattamente il contrario della logica di chi vuole affermare se stesso, difendere il proprio ruolo, crearsi un’immagine da curare scrupolosamente, che esclude gli altri attraverso la cultura dello scarto. Il prete, come Gesù, è la carezza di Dio che aiuta i fedeli a librarsi in alto verso di lui.
Il profeta Isaia ci partecipa la sua esperienza spirituale, non ci racconta quello che lui fa bensì, proprio perché abitato dallo Spirito del Signore Dio, ci rivela come “Lo Spirito del Signore è su di me”. Il profeta, come il sacerdote, appartiene a Dio, e il sacerdote oggi è il luogo dove Dio si manifesta. Infatti dice: “Mi ha consacrato con l’unzione”. E chi è consacrato è “mandato” a “Portare il lieto annuncio ai miseri”, cioè aiutare ogni comunità a ritrovare la propria identità e libertà perché non rimanga prigioniera di vecchie e nuove schiavitù. Il sacerdote è colui che narra la guarigione dall’interno dei cuori spezzati di cui si fa carico quotidianamente, condividendo la loro storia, spesso sofferta, e facendosi compagno di viaggio.
Il sacerdote, come il profeta, è colui che, sempre vigile, scruta ciò che Dio sta compiendo, cosciente che per ogni cosa c’è bisogno del suo tempo.
Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (279) dice: “A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi umani alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure una organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda. È qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai… Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa. Andiamo avanti, mettendocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui”.
Il poema autobiografico del profeta Isaia è la celebrazione della propria vocazione con una missione ben precisa: deve essere consolatore, perché un sacerdote consacrato con l’unzione è un messaggero di pace col compito di predicare un nuovo, grande «giubileo», come anno di misericordia voluto dal Signore. In Gesù tutto questo trova compimento. Nel ministero sacerdotale continua la stessa, medesima, identica missione. Noi tutti siamo stati consacrati per dare gloria a Dio servendolo nei fratelli, sfuggendo la tentazione della carne, di coltivare il culto della persona: ognuno è diverso dall’altro con doni particolari ma tutti abbiamo ricevuto lo stesso spirito sacerdotale e ognuno è ricchezza di questo ministero per l’altro.
Il nostro primo compito è esattamente quello di essere guide spirituali soprattutto per quanti hanno difficoltà a varcare la soglia delle nostre chiese; pastori di anime capaci ogni giorno di risollevare gli animi oppressi dallo scoraggiamento. Questo tempo della pandemia ci sta svelando esattamente la centralità del nostro ministero. Ognuno di noi lo sta sperimentando e, nel rispetto delle norme comuni, sta operando con amore e vicinanza nonostante la frustrazione in alcuni momenti nel non poter fare di più. Ognuno sta sperimentando quanto dice il Re Davide: “Lo spirito del Signore parla in me, la sua parola è sulla mia lingua” (2 Sam 23,2).
4. Saluti finali
Ai tre giovani Diaconi, che a breve saranno ordinati presbiteri, ma anche a colui che viene presentato al rito di ammissione e a tutti i seminaristi, dico: spogliatevi di tutto ciò che non è Dio, lasciatevi coprire, come Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, dalla potenza dello Spirito Santo per vivere la fecondità dell’unico ministero sacerdotale: dare Gesù agli altri. Il resto è idolatria del ministero stesso.
Preghiamo gli uni gli altri per remare insieme sulla stessa barca nella medesima direzione, confidando nell’aiuto della Madonna della Bruna, di S. Eufemia, S. Eustachio, S. Giovanni da Matera.
Concludo con questo pensiero che ho scritto per voi e che troverete inserito nel libro di Mons. Giuseppe Greco, su S. Agostino, che ha voluto regalare a tutto il clero della Basilicata.
GRAZIE CHE SEI PRETE
Grazie che sei prete!
Così essenziale:
senza sandali né bisaccia,
ma ricolmo d’amore
che distribuisci ogni giorno a piene mani.
Grazie che sei prete felice!
Servo del bene e della gioia
tra i sentieri e tra le strade
nelle case, piccole chiese,
entri portando il profumo del Crisma.
Grazie che sei prete felice, libero!
Servo inutile ma seminatore di pace,
curi le ferite, lavi le piaghe dei cuori affranti,
versi l’olio della consolazione
e il vino della speranza.
Grazie che sei prete felice, libero, in ascolto!
Uomo tra gli uomini
con la pazienza di Dio
disponibile verso tutti
con la delicatezza del padre premuroso.
Grazie che sei prete felice, libero,
in ascolto di Gesù!
Parli di Dio con la tua vita,
ogni tuo gesto è perla preziosa,
ogni parola è balsamo che cura,
ogni tua lacrima pioggia che irriga la storia.
Grazie che sei prete felice, libero,
in ascolto di Gesù che agisce in te!
I tuoi sguardi illuminano,
i tuoi sorrisi emozionano,
le tue mani liberano,
il tuo cuore innamorato genera vita.
Grazie che sei prete felice, libero,
in ascolto di Gesù che agisce in te sempre!
Lasci ovunque una traccia di Dio,
viandante che lungo il cammino,
semini la speranza
di un’esistenza straordinaria.
Grazie che sei prete!
Assetato e affamato di conoscere,
in ascolto della voce dello Spirito
pastore che rallenta il passo
per la pecora rimasta indietro.
Grazie che sei prete!
Pronto a soffrire in silenzio,
colmo di amore gratuito,
ti lasci consolare dal Padre
invocando aiuto e luce.
Grazie che sei prete in mezzo a tutti!
Tu che guardi dalla prospettiva degli ultimi
favorisci la giustizia,
tendi la mano a chi è caduto
pur consapevole della tua debolezza.
Grazie! Semplicemente perché sei prete!
Il tuo vescovo
✠ Don Pino