Lunedì 19 aprile si sono registrati ulteriori sviluppi nell’operazione Cashback eseguita lo scorso 22 gennaio, che portò all’applicazione di misure cautelari di ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali nei confronti di quattro soggetti: Donato Cristofaro e Antonio Mecca, associati presso la locale Casa Circondariale e Gianvito Larotonda e Gianluca Santoro posti agli arresti domiciliari, in relazione a plurimi episodi di peculato ai danni dei Comuni di Ripacandida, Oppido Lucano, Genzano di Lucania e Cancellara. In particolare, a seguito di ulteriori indagini coordinate da questa Procura e svolte dalla Guardia di Finanza, Comando Provinciale di Potenza ed Aliquota Guardia di Finanza della sez. Polizia Giudiziaria presso la Procura della Repubblica, è risultata aggravata la posizione di due degli indagati: gli imprenditori Gianvito Larotonda di Atella e Gianluca Santoro di Ruvo del Monte, sulla base delle nuove evidenze investigative, già alla misura degli AADD, sono stati tradotti presso il carcere di Potenza.
In particolare, come emerso da un quadro indizio ritenuto grave dal Giudice delle indagini preliminari di Potenza che ha disposto la misura della custodia in carcere su richiesta di questo Ufficio:
Il Larotonda disattendendo agli obblighi conseguenti al regime limitativo della libertà personale cui era sottoposto, che prevede, tra gli altri, il divieto di comunicazioni con soggetti terzi ad esclusione dei propri legali e dei familiari conviventi, intratteneva numerose conversazioni telefoniche, in cui, peraltro, si intratteneva su fatti attinenti alle indagini in corso. Al contempo, provvedeva, altresì, ad impartire istruzioni e disposizioni sulla prosecuzione e gestione della sua attività imprenditoriale, prefigurando, già, una nuova veste giuridica da dare alla società coinvolte negli episodi delittuosi contestati per ovviare alle problematiche conseguenti ad un’eventuale sentenza di condanna; il Santoro non soltanto conversava con soggetti terzi, cercando di trovare anch’egli degli escamotage per garantirsi una continuità aziendale, dando in tal senso sia disposizioni per dirottare i pagamenti in arrivo verso nuovi conti ed evitare il sequestro, sia ipotizzando la creazione di una nuova società da intestare a un prestanome, ma millantava la possibilità di suoi familiari di “addomesticare” le indagini e riottenere velocemente quantomeno la libertà personale.
Nel contempo, la Guardia di Finanza, su direttive di questo Ufficio, hanno proseguito le investigazioni con una meticolosa ricostruzione delle movimentazioni finanziarie individuando ulteriori beni da sottoporre alla misura reale del sequestro preventivo per equivalente disposta nel medesimo procedimento penale, sequestrando disponibilità sui conti dei quattro indagati per oltre 1,2 milioni di euro.