“L’approvazione definitiva in Senato della legge di Delegazione europea 2019-2020 è sicuramente un passo avanti per l’agricoltura. Avremo più strumenti per contrastare le pratiche commerciali sleali nel rapporto tra le imprese e i produttori, ponendo un freno ad aste al ribasso e vendite sottocosto, fissando un limite ai ritardi nei pagamenti e introducendo sanzioni più efficaci. L’intento è certamente quello di dare più leve agli agricoltori, e soprattutto ai piccoli, per far valere i loro diritti, tra cui il principale è sicuramente un reddito dignitoso. Tuttavia, per quanto questi nuovi strumenti normativi siano una buona notizia, non bastano per cambiare il paradigma che vige da troppi anni nel settore agricolo”.
Lo scrive sulla sua pagina Facebook il senatore Saverio De Bonis, membro della IX Commissione Agricoltura del Senato, nel commentare l’approvazione definitiva della legge di Delegazione europea 2019-2020 con cui vengono recepite 38 direttive comunitarie ed è adeguata la normativa nazionale a 17 regolamenti UE: https://www.facebook.com/178948469536215/posts/965550194209368/
“Un paradigma – continua il senatore – che vede per esempio negli accordi di filiera un cappio che viene messo di fatto al collo degli agricoltori, costretti ad accettare i prezzi fissati dagli industriali, in spregio a qualsiasi buona regola di vero libero mercato. Nel settore agricolo vige questa anomalia per cui non è chi produce a indicare il prezzo del prodotto, bensì chi lo acquista. Liberare il settore agricolo da queste costrizioni e affidare la formazione dei prezzi alle istituzioni delle CUN, come si sta cercando di fare con il grano, sarebbe sicuramente una scelta politica rivoluzionaria. Inoltre, andrebbe introdotto il principio di qualità e salubrità come valore di mercato. Sempre per tornare all’esempio del grano, l’assenza di contaminanti dovrebbe essere un fattore da tenere in considerazione nella formazione del prezzo di mercato. Questo principio potrebbe essere applicato a tutti gli altri segmenti. In questo modo si darebbe una grossa mano a quell’agricoltura biologica che, almeno sulla carta, in sede comunitaria e nazionale si dice di voler tutelare, ma che vede ancora una considerazione largamente insufficiente”.