Si è spenta all’età di 81 anni Maria Ilva Biolcanti, in arte Milva, cantante e attrice di Goro, centro della provincia di Ferrara.
Milva, volto multimediale, doppia e tripla personalità. Per molti è stata la “Pantera di Goro”, provincia ferrarese, ai tempi in cui cantava a Sanremo col capello ribelle e il vestito di mammà Il mare nel cassetto testi di Marotta, arrivando terza e diventando pure la terza voce della nuova trinità con Mina e Vanoni; per altri è stata l’attrice il cui gene vocale fu modificato da Strehler, Pigmalione che la lanciò nell’universo di Brecht, del teatro impegnato di Weiss; per altri ancora resta la partner di Piazzolla in alcune indimenticabili serate di Tango, ma la si può identificare anche come prima donna di musical, quando «passeggiava» con Gino Bramieri in Angeli in bandiera di Garinei e Giovannini, 1969.
Di sicuro Maria Ilva Biolcati, classe ‘39, è stata caparbia e ribelle, non si è mai negata nulla, in tv neanche il Cantatutto con Villa e Arigliano nel 63-64, neanche Milva club, arrivando fino all’Olympia di Parigi, alla Scala con La vera storia di Berio-Calvino nell’82 e al Regio di Torino in Orfeo all’inferno di Offenbach. Un coraggio ripagato dal successo internazionale specie in Germania, grazie alla padronanza della lingua, dove nel 62 incide Liebelei.
Certo, la prima cosa bella è che a 16 anni inizia a cantare come dilettante, si esibisce come Sabrina nelle balere emiliane ma intanto studia lirica a Bologna. Alla Rai vince un concorso che la spedisce nel gennaio 60 a Sanremo, tempi dell’Italia del boom e della Dolce vita. La prima sera, effetto mediatico pop, diventa un personaggio per il look, diciamo, non sofisticato: al festival tornerà ciclicamente nel corso della sua carriera oltre una dozzina di volte e nel ‘62 arriva seconda con Tango italiano.
Tra i molti uomini-manager che nel corso del tempo l’hanno trasformata, il primo fu Maurizio Corgnati, marito-regista (e padre della sua unica figlia Martina), seguìto da altri incontri che hanno sempre segnato il suo destino artistico, da Mario Piave a Strehler e altri filosofi attori complici. Non diventa mai la my fair lady del copione, continua per 50 anni a riprovare e ricominciare per il gusto della sfida e quasi sempre con talento e successo, sia che fosse un cortile sia che fosse un tabarin. Dapprima rilancia la musica pop finendo sul palco del Lirico il 25 aprile ‘64 con Foà per i Canti della Libertà, invitata da Grassi; poi si specializza in musica colta, quindi non solo i recital di song brechtiani che, guardata a vista, rendeva benissimo specie l’indimenticata Jenny delle Spelonche dell’Opera da tre soldi ereditata da Milly, ma anche tutto il repertorio espressionista del cabaret tedesco e della canzone italiana sentimental grottesca tra le due guerre («Ma cos’è questa crisi?», sempre al Piccolo): è un’emanazione del mito di Marlene, Lotte Lenya fino a Ute Lemper.
A Berlino vince con I sette peccati capitali dei piccolo borghesima ogni tanto, dopo aver provato perfino col padovano del Ruzante, si concede vacanze popolari alla tv (Un mandarino per Teo e Mai di sabato signora Lisistrata di Garinei e Giovannini con Bramieri, Al Paradise e Palcoscenico) e al Festival di Sanremo, per allenarsi a qualsiasi stile, esigenza e pubblico. Nel 70 debutta alla Carnegie Hall di New York, nel ‘73 affronta l’Opera da tre soldi con Modugno, nel ‘78 Diario della assassinata di Negri alla Piccola Scala.
Un po’ alla volta quella ragazza sprovveduta e provinciale apparsa così indifesa è diventata radical chic, autoreferenziale, neo sofisticata anche in una certa posa che però sempre prevedeva lungo studio e preparazione, perché con certi autori e registi non si scherza. Eccola con Piazzolla a Milano, alcuni recital memorabili, ripetuti a Parigi in trionfo e rieditati in un bello spettacolo di Pippo Crivelli. Vince premi, pubblica album di alto gradimento anche culturale da La rossa con canzoni di Jannacci a Milva e dintorni e Svegliando l’amante che dorme in collaborazione con Battiato. Certo, qualcosa non va sempre per il verso giusto, come la Lulu di Wedekind che affronta in prosa diretta da Sepe, La storia di Zazà o Tosca, ovvero prima dell’alba di Rattigan, spettacolo funestato una domenica pomeriggio a Milano dal suicidio del suo partner e amico Luigi Pistilli. A scadenza fissa torna il mago dei prodigi Strehler a farle un nuovo tagliando artistico, sempre con Brecht che affronta nel ‘95 nel recital portato in giro per tre anni in tutto il mondo, Non sempre splende la luna, ultimo incontro col genio che le aveva rifatto il volto, la voce e la scheda elettorale. Col cinema si è sempre «presa» poco, ma qualche tentativo c’è stato:La bellezza di Ippolita con la Lollo diretto da Zagni fra le nebbie di una stazione di servizio, D’amor si muore da Patroni Griffi, Via degli specchi, Celluloide di Lizzani (la storia di Roma città aperta) e un documentario di Herzog (la Germania è la sua seconda patria artistica) sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa, su cui ha da tempo in mente un film Bernardo Bertolucci.