L’avvocato venosino Arturo Raffaele Covella ha inviato una lettera aperta alla nostra redazione per denunciare violazioni dei diritti perpetrate ai danni dei migranti ospiti nel Centro per i rimpatri di Palazzo San Gervasio.
Di seguito la nota integrale
Gentile Direttore,
mi vedo costretto a scrivere questa lettera per denunciare le intollerabili violazioni dei diritti umani che si consumano in questo territorio nei confronti dei cittadini stranieri trattenuti presso il Cpr di Palazzo San Gervasio.
Premetto che sono un avvocato e che potrei essere tacciato dai malpensanti di avere un interesse particolare in questa vicenda. Così non è. Nella mia vita ho ricevuto un grande dono e ho deciso di ricambiare cercando di aiutare come io sono stato aiutato. Ecco perché rispetto a queste persone la mia attività è di puro volontariato, di assistenza gratuita, di sostegno e di denuncia.
Nelle scorse settimane, sono stato contattato personalmente e per il tramite dell’Osservatorio Migranti Basilicata da familiari di ragazzi tunisini prelevati in Sicilia e trasferiti nel Cpr di Palazzo San Gervasio. Ragazzi che da quel momento sono scomparsi nel nulla e sono diventati oggetti nelle mani di un sistema di rastrellamento e rimpatrio messo in atto dal nostro Paese.
Nessuna comunicazione ai familiari anche per giorni, nessun contatto con avvocati, telefonini cellulari sequestrati e silenzio totale per impedire ogni comunicazione con il mondo esterno. Tutto questo almeno fino al momento della convalida della loro espulsione davanti al Giudice di pace di Melfi. Solo dopo una sommaria udienza con l’assistenza di un legale nominato in loco senza alcuna conoscenza del singolo caso, ecco ricomparire magicamente queste persone per una breve telefonata nella quale si annuncia che “tutto è compiuto”. Ed infatti, dopo poche ore, il ragazzo si ritrova su un aereo diretto in Tunisia.
In questa vicenda già di per sé così disumana, si aggiungono questioni molto più grandi che attengono al mancato rispetto dei diritti dei soggetti sottoposti a quella che è stata definita “detenzione amministrativa”. Le raccomandazioni del Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale sono completamente ignorate, le norme poste a tutela dei diritti costituzionali di libertà e di difesa sono aggirate, la dignità di queste persone è calpestata.
Tutto questo nel silenzio generale e con un muro di gomma tirato su ad arte da chi dovrebbe essere tutore della legge e rappresentate massimo delle garanzie dello Stato di diritto. Le comunicazioni ufficiali inviate agli organismi più disparati, alle istituzioni di questo territorio e a chi gestisce quel Centro, rimbalzano contro quel muro di gomma e tornano indietro. Nessuno si muove, nessuno alza un dito, nessuno si chiede ma cosa sta accadendo? Eppure le registrazioni delle telefonate fatte dai familiari di quelle persone sono chiare. Eppure le mancate risposte alle mail inviate a mezzo pec sono evidenti. Eppure gli esposti e le denunce presentate da associazioni e avvocati negli ultimi anni si moltiplicano.
Personalmente ho paura a vivere in un Paese dove puoi essere prelevato per strada, portato via nella notte e allontanato da tutti, rinchiuso in un “carcere” senza che di te si sappia nulla per giorni e giorni. Personalmente ho paura quando vedo che come sia facile calpestare il diritto del singolo e operare una sommaria e formale giustizia, Personalmente ho paura a vivere in uno Stato che non tiene in alcun conto le sofferenze degli individui, che non pensa ai rapporti familiari e al dolore di chi fuori da quel Centro attende una risposta, un cenno, una telefonata.
Dispiace constatare che nel nostro Paese possa accadere tutto questo. Dispiace, da uomo di diritto, vedere calpestate le leggi in una maniera così oscena. Dispiace vedere in azione un potere così arrogante e subdolo da non avere nessuna cura e nessuna compassione per le vite di queste persone che vengono private di ogni dignità e di ogni umanità.
Dopo aver cercato in tutti modi di rompere questo muro di gomma, non mi rimane altro che denunciare, alzare la voce, urlare con tutto il fiato che ho quanto sta accadendo, nella speranza che qualcuno decida di muoversi e di prendere atto che non si può più tollerare questa situazione.