Come di consueto, CONFAPI ha inviato al prefetto Luigi Pizzi la relazione sull’andamento dell’economia nella provincia di Matera, relativa all’anno 2011.
Nell’anno trascorso il segno meno ha caratterizzato tutti i principali indicatori economici. In particolare, la produzione industriale ha continuato a calare anche nel 2011 e il calo ha interessato tutti i comparti produttivi, con una flessione più accentuata nell’edilizia, che più degli altri ha scontato la crisi di liquidità.
Nel 2011 la provincia di Matera è regredita ai livelli di 15-20 anni fa, con un ulteriore deterioramento del clima di fiducia di imprese e consumatori, una debole domanda interna e una scarsa propensione all’export. I 23 fallimenti decretati dal Tribunale di Matera nel 2011 sono soltanto la punta di un iceberg che alla base presenta migliaia di piccole imprese in sofferenza e un mercato del lavoro sempre più asfittico.
La particolare caratteristica di questa di crisi, rispetto alle precedenti fasi congiunturali negative, oltre alla sua pervicace durata nel tempo, è costituita dalla carenza di liquidità. Molte imprese, cioè, pur avendo i conti economici in ordine, presentano flussi di cassa negativi.
Secondo Confapi l’economia è ferma soprattutto perché il flusso di denaro che mette in moto il circuito economico si è inaridito. Le imprese sono strette da un lato dai ritardati pagamenti che, per coloro che operano con la pubblica amministrazione, sono bloccati già a marzo dal vincolo del Patto di Stabilità Interno, dall’altro da una ristrettezza del credito bancario che non ha fiducia nella solvibilità delle aziende. Si crea così un circolo vizioso per cui le banche non credono nella capacità di ripresa dell’economia, ma le imprese hanno bisogno del credito proprio per rimettere in piedi il circuito economico.
Tuttavia, non ci sono soltanto il Patto di Stabilità e il credit crunch alla base dell’attuale recessione. Perdura, infatti, una perdita di competitività dell’intero Paese e della nostra provincia dovuta ad una scarsa propensione all’innovazione di prodotti e di processi produttivi per un calo degli investimenti da parte delle imprese. A cui si aggiunge la persistente debolezza dei consumi, che è concausa di bassa crescita.
Esistono, comunque, casi di imprese di eccellenza che stanno cogliendo l’opportunità offerta da questa crisi per aumentare gli investimenti e patrimonializzare le proprie aziende, ottenendo maggior valore aggiunto con produzioni rinnovate, acquistando nuovi macchinari o aggredendo nuovi mercati esteri. E, naturalmente, aumentando i livelli occupazionali. Alla base di tutto c’è l’attaccamento al territorio che solo le pmi locali possono garantire.
A pesare fortemente sui bilanci aziendali continua ad essere la spesa per l’energia. Basti pensare che le aree industriali della provincia di Matera sono ancora prive della rete del gas metano, con costi enormi per l’approvvigionamento energetico delle imprese ivi insediate (gpl € 1,10/kg).
La situazione più disastrosa si avverte sul piano occupazionale, con una perdita secca di numerosi posti di lavoro, soprattutto nel settore delle costruzioni, e con un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, compresa la cassa integrazione in deroga. Per le piccole e medie imprese, tuttavia, la vera ricchezza è costituita dai dipendenti, per cui nelle aziende con oltre 15 dipendenti aumenta il ricorso ai contratti di solidarietà difensiva per evitare l’istituto della mobilità, cioè i licenziamenti.
Per quanto riguarda l’andamento settoriale, il comparto più colpito dalla crisi è quello delle costruzioni che risente in modo particolare del calo degli appalti pubblici e della domanda interna, ma soprattutto di una cronica carenza di liquidità dovuta ad una crescita del 42% dei mancati pagamenti e ad un sistema bancario miope che – con poche eccezioni – impiega altrove la raccolta locale. Anche il mercato dell’edilizia privata registra una contrazione, soprattutto nel capoluogo a causa del ritardo nel varo di importanti strumenti urbanistici, dei cosiddetti Piano Casa 1 e 2 e di consistenti investimenti di edilizia economica e popolare.
Tutto ciò ha portato a numerose chiusure aziendali, con un saldo negativo di nati-mortalità e alla perdita di parecchi posti di lavoro, con numeri che non sono da meno a quelli relativi al settore manifatturiero: 5.000 unità in meno dal 2008; 1.000 nel 2011, pari al 25% del forza lavoro complessiva impiegata nel settore; 84 imprese hanno chiuso l’attività nel secondo semestre del 2011.
Il distretto del mobile imbottito, archiviati definitivamente i fasti di un tempo che sembra lontano un secolo, procede con ordinativi a breve scadenza e con alti e bassi, scarse prospettive di crescita e un ricorso sempre più frequente alla cassa integrazione per superare i momenti di calo oppure ai contratti di solidarietà, se non alla mobilità, per sopravvivere in un mercato sempre più agguerrito e concorrenziale, dove tuttavia la concorrenza non sempre è leale.
Tra i settori in lieve ripresa o stazionari vi sono la meccanica, la chimica e la plastica-gomma; segnali incoraggianti arrivano dal settore dei rifiuti e da quello dell’energia; decisamente in crescita l’ICT e l’agroalimentare; si conferma altalenante il turismo. Ulteriori settori in crisi, invece, sono il tessile-abbigliamento, il commercio (soprattutto quello al dettaglio), i servizi, l’autotrasporto. Il settore impiantistico si mantiene sui livelli pregressi grazie alle manutenzioni.
Il mercato del lavoro ha fatto registrare un segno negativo, unitamente all’aumento del ricorso alla cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga. Le ore di Cig straordinaria e in deroga hanno superato di gran lunga quelle della Cig ordinaria, a dimostrazione del fatto che i tempi della crisi si stanno allungando.
Ancora una volta la domanda riguarda soprattutto figure tecniche specializzate, mentre l’offerta, altamente scolarizzata, propone laureati e diplomati che non incrociano la domanda delle aziende. Le imprese richiedono un’esperienza lavorativa e la maggior parte delle assunzioni avviene nelle imprese con meno di 50 dipendenti. I tecnici e gli altamente specializzati sono le figure più richieste. I giovani godono di maggiore fiducia rispetto agli altri a causa della loro maggiore intraprendenza e versatilità. Le donne sono ancora in numero inferiore rispetto agli uomini.
Per quanto riguarda il quadro di fiducia delle imprese, permane un diffuso clima di incertezza a causa delle condizioni strutturali negative, comprese quelle croniche come la penuria di infrastrutture e l’inefficienza della pubblica amministrazione.
A differenza dei due anni precedenti, nel 2011 il saldo nati-mortalità aziendale è stato negativo, con una prevalenza di nuove aziende di servizi rispetto a quelle manifatturiere e delle società rispetto alle ditte individuali.
Nel 2011 si è acuita la difficoltà ad ottenere credito bancario, con un atteggiamento restrittivo delle banche che spesso non ha trovato giustificazione nel merito creditizio delle imprese richiedenti e con una chiusura pregiudiziale nei confronti dell’edilizia. Il comparto delle costruzioni, infatti, ha subito addirittura una preclusione da parte del sistema creditizio, pregiudizialmente contrario a sostenerne le aziende e assolutamente privo di fiducia in esse.
Nel 2012, aumentando il divario territoriale tra Nord e Sud e deteriorandosi ulteriormente il clima di sfiducia di imprese e consumatori, tutte le componenti della domanda interna potrebbero avere un segno negativo.
Le ultime due manovre finanziarie, pur necessarie per il contenimento della spesa pubblica e il riequilibrio dei conti pubblici, hanno tuttavia soffocato ulteriormente la crescita con l’aumento della pressione fiscale e dei costi dei servizi. I consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese sono depressi e la fiducia del sistema imprenditoriale ne risente in negativo. Esiste, nondimeno, una voglia degli imprenditori, soprattutto dei più giovani, di invertire il ciclo economico negativo e di cambiamento della prospettiva. A partire dalla riforma del mercato del lavoro.