Venerdì 23 luglio ricorre il 71° anniversario della prima visita di Alcide De Gasperi a Matera, che sancì il cambiamento totale della città dei Sassi. Di seguito l’intervento di Nino Vinciguerra per la rubrica “La storia siamo noi”.
Alcide De Gasperi il 23 luglio 1950 visitò Matera. Era un’assolata domenica e a Roma, nella stessa giornata, si inaugurava lo Stadio Olimpico. De Gasperi andò nei Sassi, ascoltò chi li abitava; chiedevano solo il rispetto della propria dignità. Fu impressionato, visse un’esperienza sconvolgente, trovò situazioni che andavano al di là della sua immaginazione. La sua fu una valutazione diretta dei fatti talmente angosciosa da turbarlo, da commuoverlo sino alle lacrime. Toccò con le proprie mani la miseria. Anche sua moglie Francesca Romani, che lo accompagnò nel viaggio, fu profondamente colpita nel vedere le drammatiche condizioni di quella popolazione che viveva nel buio, non solo delle caverne. Subito dopo aver visitato i Sassi, il Presidente del Consiglio, parlando in Piazza Vittorio Veneto a una folla immensa, promise un intervento tempestivo per risolvere l’allucinante problema. Alcide De Gasperi però, tornato a Roma, desiderò ardentemente che quella gente vedesse la luce, venisse allo scoperto lasciando il buio di quella vita e, mantenendo fede all’impegno assunto, promosse immediatamente un disegno di legge sullo sfollamento e sul risanamento dei Sassi che, preparato da una commissione di studio presieduta da Emilio Colombo, il Parlamento approvò all’unanimità il 17 maggio 1952 (Legge 619 detta anche «Legge Colombo») autorizzando una spesa di 5 miliardi e 200 milioni di lire (Fondi che, pur elevati, non furono sufficienti e si resero necessari finanziamenti integrativi che il Parlamento approvò (Legge 299 del 21 marzo 1959 e Legge n.126 del 28 febbraio 1967). Probabilmente si deve al grande statista trentino e al parlamentare lucano il merito di aver fatto uscire Cristo da Eboli e di averlo fatto giungere negli antri della lontana Matera. Non bisogna però disconoscere il grande impegno che per questo problema profusero anche l’on. Michele Bianco con la Proposta di Legge n. 1882 del 6 marzo 1951 «Risanamento dei quartieri popolari “Sassi” di Matera e costruzione di abitazioni per contadini, operai e artigiani» e l’allora sindaco della città Giovanni Padula. Quest’ultimo, quasi clandestinamente, fece compagnia al Presidente del Consiglio nel suo viaggio di ritorno a Roma con il treno che partì da Bari. Padula e De Gasperi parlarono tanto, naturalmente del grave problema che aveva toccato il cuore dell’illustre parlamentare. Rientrato a Matera il Sindaco fece presente che il Presidente del Consiglio, senza mezzi termini, gli aveva suggerito un perentorio quanto significativo «non perdete tempo». A gennaio 1954 al sindaco di Matera Lamacchia, giunse la comunicazione del Sottosegretario LL.PP. Emilio Colombo: «Lieto di annunziarLe approvazione Piano trasferimento Sassi di Matera». Pertanto, dopo le assurde condizioni di vita, denunciate già nel 1938 dal Direttore Sanitario di Matera Luca Crispino, che aveva fatto emergere «il carattere angusto e malsano dei Sassi» definendone «bassissimo il livello di vivibilità», i vecchi rioni furono abbandonati per abitare case degne di essere chiamate tali.
Fu un esodo e i Sassi, gradualmente, si svuotarono. Non c’erano più donne e neanche i lunghi fili con la biancheria stesa ad asciugare; non c’erano più uomini «senza età, con le labbra serrate di chi conosce l’inutilità della parola», né traini, né muli; per i vicoli non si incontravano più i bambini con il sorriso triste che si rincorrevano, strillavano e improvvisavano giochi. Non si udivano più filastrocche e nenie, né si sentivano più gli acri odori. Era rimasto il silenzio, rotto da ovattati rumori, da lontani cigolii, da rintocchi di campane; erano vuote le grotte nelle quali, per secoli, s’era annidata la miseria, un nemico che non vinse mai la dignità dei “quindicimila cavernicoli” che abitavano i Sassi. Un velo di tristezza avvolgeva chi andava verso i nuovi rioni “fuori Mater”, e forse rivedevano il film della loro vita nei Sassi. Privazioni, sacrifici, operosità, gioia, umiliazioni e dolori. L’abbandono dei Sassi comportò la perdita del Vicinato, «un contesto antropologico di straordinaria complessità, un labirinto urbano ed umano», una cultura in cui era «ramificato un millenario sistema di vita» che poneva le sue basi sul rispetto, sulla solidarietà, sul mutuo sostegno, sul coinvolgimento, sul rapporto umano.