“Bisogna uscire dalla facile retorica dei ‘furbetti del reddito di cittadinanza’ e avviare una seria riflessione fondata sui dati per capire quali sono i punti da migliorare della misura, in particolare per quanto riguarda il capitolo delle politiche attive del lavoro”. È quanto sostiene il centro studi della Cisl Basilicata “Pensiero Futuro” che ha dedicato un focus al reddito di cittadinanza e al reddito di emergenza. Partiamo dai dati. “In base all’ultima rilevazione dell’Inps aggiornata al maggio 2021 – riporta il centro studi – in Basilicata i nuclei familiari che percepiscono il reddito o la pensione di cittadinanza sono 11.136, con una preminenza della provincia di Potenza (6.922) su quella di Matera (4.214), per un totale di persone prese in carico di 22.158 (8.635 nel materano e 13.523 nel potentino). L’importo medio mensile dell’assegno da reddito di cittadinanza è di 495,21 euro, cifra che sale a 501,58 se consideriamo la sola provincia di Potenza e scende a 484.75 euro se prendiamo in considerazione i soli nuclei familiari della provincia di Matera, mentre per la pensione di cittadinanza l’importo medio è di 219 euro nella provincia di Matera e di 245 euro nella provincia di Potenza”.
Nel dossier del centro studi, curato da Luana Franchini, si riporta anche che “per quanto riguarda la Basilicata, la percentuale dei nuclei dei richiedenti che dal 2019 usufruiscono del reddito/pensione di cittadinanza si aggira intorno all’1 per cento. Ricordiamo, inoltre, che esiste anche una misura regionale di contrasto alla povertà che si chiama reddito minimo di inserimento che al momento riguarda una platea di beneficiari composta da 1.524 persone appartenenti ad una fascia di popolazione particolarmente vulnerabile e fragile attualmente coinvolti in interventi di pubblica utilità e di cittadinanza attiva per una durata di tre mesi”.
Il focus del centro studi della Cisl Basilicata si sofferma anche sul reddito di emergenza “varato dal governo nazionale ai sensi dell’art. 82 del DL 34/2020 che a livello regionale ha interessato nella prima fase della pandemia (maggio-agosto 2020) 4.677 nuclei familiari per un totale di 10.328 persone coinvolte, così suddivise: nella provincia di Matera 1.686 nuclei familiari per un totale di 3.765 persone coinvolte con un importo medio mensile pari a 542 euro; nella provincia di Potenza 2.991 nuclei familiari per un totale di 6.563 persone coinvolte con un importo medio mensile pari a 542 euro, la misura è poi proseguita anche nel periodo settembre-dicembre sostanzialmente con lo stesso andamento”, spiega il centro studi della Cisl.
Quale bilancio si può fare delle varie misure adottate? “Il reddito di cittadinanza nella sua impostazione teorica è stato sovraccaricato di funzioni”, spiega il dossier del centro studi sottolineando che “il decreto istitutivo lo ha presentato come misura ‘fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro’. E questo lo ha sovraccaricato anche di aspettative soprattutto rispetto alle ricadute occupazionali, ma è stato proprio l’inserimento lavorativo reale il vero punto di caduta della misura. Tuttavia, le difficoltà non provengono solo dall’offerta (scarse competenze e capacità dei disoccupati) ma anche da quello della domanda (disponibilità di posti e richieste da parte delle imprese)”.
“Le politiche attive, quelle affidate ai centri per l’impiego e ai navigator, hanno infatti un’elevata probabilità di fallire nei contesti privi di opportunità d’impiego. Nella maggior parte dei casi, gli ‘avviabili’ al lavoro rischiano di trasformarsi da poveri in cerca di lavoro a lavoratori poveri e precari”. Pertanto, secondo l’esponente della Cisl lucana “è urgente intensificare gli sforzi, sennò è ben difficile che i patti di servizio e quelli di lavoro possano produrre risultati. In particolare nel Mezzogiorno il reddito di cittadinanza rischia di degenerare in un mero sussidio a perdere”.
“È utile ricordare che il reddito di cittadinanza si compone di due elementi: un beneficio economico (parte passiva) erogato a coloro che rispettano i requisiti di accesso stabiliti e la partecipazione ad attività concordate con il nucleo (parte attiva) che possono essere promosse dai servizi sociali allo scopo di mettere le persone in povertà in condizione di superare lo stato di disagio sociale in cui si trovano, oppure dai centri per l’impiego per il potenziamento delle competenze professionali. Quindi, un’analisi dell’attuazione della misura non può prescindere dal considerare come si sia concretizzato sui territori lo sviluppo della parte attiva della misura”.
“A questo proposito – continua il dossier – il monitoraggio dell’Anpal sui centri per l’impiego riferisce che degli 11.600 ingressi necessari nei Cpi sono stati assunti al 31 marzo 2021 circa 950 unità. Il dato più eclatante è che tra le dieci regioni che non hanno proceduto all’assunzione di neanche una unità tramite i Cpi sulla base dei piano dei fabbisogni del personale c’è la regione Basilicata i cui centri per l’impiego versano in una condizione di drammatica carenza di personale. A questo va aggiunto il fatto che con un’età media dei dipendenti intorno ai 55 anni le competenze sono inevitabilmente non al passo con i bisogni formativi ed informativi della platea di utenti. Eppure, il fulcro delle politiche attive per i percettori del reddito dovevano essere proprio i centri per l’impiego regionali: ad essi, infatti, contestualmente alla legge che ha istituito il reddito di cittadinanza, sono state destinate risorse per raddoppiare gli organici. Invece – osserva Franchini – nei centri per l’impiego lucani l’organico non solo non è raddoppiato, ma è notevolmente diminuito per effetto dei pensionamenti”.
“Pertanto, in Basilicata, alle già note difficili condizioni di mercato nell’incontro domanda-offerta di lavoro della platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza, si aggiungono (ed in questo le politiche della Regione possono fare la differenza) anche ostili condizioni di infrastrutturazione sociale, ossia profonda carenza di personale dedicato all’inserimento lavorativo delle persone. L’insuccesso della parte di politica attiva di questa misura di contrasto alla povertà diventa quindi cosa scontata, ma mette anche in luce chiaramente su dove e come bisogna intervenire. Tra l’altro, il rafforzamento dei centri per l’impiego e dei servizi di orientamento al lavoro, oltre che migliorare l’incontro domanda-offerta di lavoro, quindi il servizio, aumenterebbe già di per sé l’occupazione con nuovi inserimenti lavorativi nelle file del personale dedicato, producendo un duplice beneficio”.
“Questo approfondimento è ancor più attuale alla luce del recente rapporto della Caritas sul reddito di cittadinanza che definisce tale misura un intervento ben finanziato ed erogato ad un’alta quota degli aventi diritto. Una misura che ha protetto una rilevante fascia della popolazione dalle conseguenze economiche della pandemia. Il rapporto quantifica che il 44 per cento dei nuclei poveri fruisce della misura e il restante 56 per cento ovviamente no. In altre parole, poco più della metà dei poveri non ha il reddito di cittadinanza, questo indica che tra i tanti fronti su cui bisogna lavorare c’è quello di raggiungere effettivamente i veri poveri che spesso sono così isolati e abbandonati a loro stessi da non essere informati della misura di sostegno o non avere la possibilità e gli strumenti cognitivi e materiali per presentare domanda”.