Referendum Giustizia, intervento Consigliere regionale Polese. Di seguito il testo integrale.
Io penso ai tanti innocenti che sono stati condannati e costretti a subire detenzioni e pene ingiuste per la troppa fretta o per deliri giustizialisti non motivati dai fatti. Purtroppo. Io penso alle storture di un ordinamento giudiziario che è troppo ancorato a logiche di 70 e 80 anni fa. A idee e metodi che sono superati dalla storia. E’ questa la mia convinzione di base sui quesiti della Riforma della Giustizia sui quali oggi siamo chiamati a esprimerci anche in quest’aula per dare più forza al referendum e spingere il Parlamento a prendere una decisione e fare la sua parte senza troppi tatticismi.
Ho fatto questa premessa perché voglio sgombrare fin dall’inizio del mio intervento qualsiasi interpretazione fantasiosa in modo da evitare inutili strumentalizzazioni di una vicenda che a mio di vedere è di altissima valenza umana e civile prima che politica. E lo dico sull’onda di quanto già espresso con poche e semplici parole dal leader del mio partito, Matteo Renzi, alcuni giorni fa “Non penso a Salvini ma a Tortora”. Parole che faccio mie, senza infingimenti o furbizie, visto che io stesso domenica mattina mi sono recato ai banchetti organizzati dagli amici del Psi e di + Europa a Lauria per firmare il referendum ‘per un giustizia giusta’.
Io credo che bisognerebbe partire da una lettura di questa iniziativa del Consiglio regionale partendo dai fatti e dall’approfondimento della materia senza innamorarci troppo di un dibattito da ‘tifosi’ che sul tema Giustizia a partire dalla proposta di Riforma presentata dall’ex ministro Bonafede si è avvelenato.
E per questo spero che in quest’aula oggi si superino i soliti cliché fatti di confronti su posizioni rigide frutto di letture superficiali e si riescano ad approvare i sei atti legati al Referendum abrogativo in questione perché e lo ribadisco oggi noi tutti abbiamo la possibilità di dare il nostro piccolo contributo a cambiare in meglio il paese.
E con lo stesso auspicio mi auguro che si superino le prese di posizione atte (e lo dico per primo a me stesso nel ruolo di legislatore regionale ma anche di avvocato) a delegittimare, in maniera più o meno consapevole, quel sistema giudiziario che è stato strattonato per troppi anni fino a liquefare quel confine che non dovrebbe mai dovuto essere superato tra diritto, diritti e falsi moralismi, inutili quanto dannosi.
Viviamo un’epoca di derive e di depotenziamento del pensiero pesante a favore dell’approssimazione e del difetto. Un’epoca in cui l’aggressività ha preso spazio anche in contesti istituzionali come questo.
Io mi professo, e non da oggi, un garantista. E credo che in questo Paese sia arrivato il momento di non cedere più alle tentazioni e alle comodità di svicolare in duelli dialettici in cui si aggredisce il pensiero altrui al solo scopo di assecondare gogne mediatiche che sono state, a ben vedere, il germe non solo del populismo ma anche di quella pulsione giustizialista che tanti danni ha fatto non solo alla nostra tenuta civile ma anche a persone che hanno nomi e cognomi e che hanno sentimenti e famiglie. In questo Paese va riscoperto il valore della Giustizia nella sua accezione più alta.
Per tutti questi motivi io sono convintamente a favore di questo Referendum a prescindere dalle sigle e dalle targhe che inevitabilmente sono già state assegnate.
E’ grande l’occasione, come del resto sta accadendo in parlamento, di mettere finalmente la parola fine a quel tentativo ormai decaduto di una pasticciata riforma della Giustizia da parte di un ex ministro, che rivoluzionava, tra le altre cose, il concetto stesso della presunzione di innocenza.
La verità è che abbiamo un sistema che andrebbe migliorato, e di tanto, in altri fondamentali aspetti come il diritto alla verità, al giusto processo, a tempi processuali più consoni alla vita delle persone. Credo siamo tutti consapevoli che da una indagine penale derivano effetti dirompenti per la vita di un padre, di una madre, di un figlio, di un ammalato.
Vengo rapidamente ai principi che sostegno al centro di questa vicenda referendaria.
Primo quesito: In particolare ritengo doveroso ‘liberare’ il Consiglio superiore della Magistratura da quel sistema ‘elettorale’ per le nomine a incarichi importanti che prevede che un magistrato che voglia essere eletto debba trovare delle firme a sostegno della propria candidatura. Liberando da questo vincolo si liberebbe la magistratura da quella stortura che sono le correnti interne alla magistratura stessa.
Secondo quesito: parla della responsabilità dei magistrati in caso di danni accertati. In questo caso credo sia importante che il giudice che ha sbagliato paghi personalmente e non tramite lo Stato per i danni causati alle parti.
Terzo quesito: Sul procedimento di valutazione anche io sono convinto che la valutazione quadriennale del magistrato non venga effettuata solo internamente per evitare inevitabili sovrapposizioni tra controllore e controllato e logiche di corporativismo.
Quarto quesito: è quello che più appassiona noi avvocati. La separazione delle carriere dei magistrati. I primi tentativi di modifica di questo aspetto della giustizia penale sono stati in passato una delle principali battaglie di Marco Pannella e del suo Partito Radicale. Adesso, il tema è di nuovo al centro dell’attenzione politica e credo vada risolto il vulnus.
Quinto quesito referendario: si occupa di aspetti strettamente processuali, mirando a prevenire eventuali abusi delle misure cautelari. In pratica con il referendum di prova a mettere un limite alla facilità con la quale si potrebbe abusare di provvedimenti che nati come emergenziali sono diventati troppo spesso prassi. Troppo spesso infatti, le misure cautelari si sono trasformate in una sorta di una forma anticipatoria della pena. Il che è in violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Sesto quesito referendario: mira all’abrogazione di un intero provvedimento normativo, ossia del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità meglio noto come decreto Severino. La normativa prevede la non possibilità di candidarsi, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Se da un lato appare una norma sacrosanta dall’altra ci sono punti di debolezza: il decreto ha creato spesso dei vuoti di potere e la sospensione temporanea dai pubblici uffici di soggetti innocenti poi reintegrati. Inoltre non ha risolto il problema della corruzione, ma determinato solamente delle intrusioni nella vita politica. Insomma per tutte queste ragioni, io voto sì.
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